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TESTO Signore, tu sai che ti voglio bene

mons. Gianfranco Poma

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III Domenica di Pasqua (Anno C) (18/04/2010)

Vangelo: Gv 21,1-19(forma breve Gv 21,1-14) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 21,1-19

1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

La liturgia della terza domenica di Pasqua propone alla nostra lettura il cap. 21 del Vangelo di Giovanni, un testo che i commentatori ritengono una aggiunta all'opera già conclusa con il capitolo precedente, un epilogo che aggiunge al Vangelo una dimensione ecclesiologica e che, mentre riflette la situazione dei primi cristiani e costituisce una professione di fede delle comunità giovanee, offre alla Chiesa di tutti i tempi una guida che illumina il suo cammino e uno specchio nel quale riflettersi per conservare l'autenticità del suo volto nel mutare della storia. Nell'insieme del Vangelo di Giovanni, Pietro non ha il posto di onore che ha nei Sinottici, anche se nel cap.20 gli viene riservato un certo primato: in questo epilogo Gesù stesso gli attribuisce la responsabilità del suo gregge e fondandosi sul dialogo tra Gesù e Pietro, la comunità giovannea riconosce la sua appartenenza alla Chiesa di Pietro. Così la pagina conclusiva del Vangelo di Giovanni ci rivela l'immagine autentica della Chiesa come è percepita con grande chiarezza sin dagli inizi della sua storia: la Chiesa è per sua natura una comunione di chiese che percorrono vie e vivono esperienze diverse. Fondandosi sul dialogo tra Gesù e Pietro, la comunità giovannea che nell'esperienza dell' "Amore" trova il principio che garantisce la sua autenticità, riconosce la sua appartenenza alla Chiesa di Pietro, a sua volta chiamato a riconoscere che il suo ministero di "pastore del gregge di Cristo" si fonda sull'autenticità del suo amore per Cristo.

Si tratta di un capitolo che nel succedersi delle parti ha una profonda unità, fino ad arrivare alla conclusione (che la liturgia odierna non ci fa leggere) che pure presenta un notevole valore ecclesiologico: "Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere" (Giov.21,24-25). Il discepolo che Gesù ama, quello che egli vuole che "rimanga", è colui "che testimonia e ha scritto queste cose": è uno dei discepoli dei quali il Vangelo dice che dall'inizio "andarono, videro dove egli sta, e rimasero con lui" (Giov. 1,39). Il discepolo che "Gesù ama" non ha nome nel Vangelo di Giovanni, si caratterizza soltanto per la relazione che ha con Gesù: è "amato" da Lui. E' questo discepolo che all'annuncio di Maria: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto", esce con Pietro, corre con lui al sepolcro, ma è più veloce di lui, eppure giunto al sepolcro aspetta Pietro e lo lascia entrare per primo. Ma il primo che, entrato, "vide e credette" (Gio.20,8), è lui, il "discepolo che Gesù ama": ha visto il sepolcro vuoto, ha capito che "bisognava" che Gesù arrivasse a quel vertice di amore (Giov.13,1), ha creduto che il vuoto del sepolcro è l'inizio della pienezza dell'amore, perché l'amore di Gesù nel quale il discepolo "rimane"per sempre, è fedele. E' ancora lui, il "discepolo che Gesù amava", che quel mattino, dopo una notte in cui sette discepoli, con Pietro, erano tornati alla pesca ma non avevano preso nulla, riconosce che Gesù li aspetta sulla riva e contro ogni logica li spinge a gettare le reti: "E' il Signore". (Giov.21,7) La relazione di amore che Gesù ha stabilito con il suo discepolo, non è finita, anzi è più viva e più forte di prima: adesso è l'amore che spinge il discepolo a testimoniarlo. "E' il Signore": l'amore che lo ha spinto a donare tutto è la sua forza ed è la forza della sua comunità. E il primo ad accogliere la testimonianza del discepolo "amato" è Pietro. Nella volontà ripetuta con insistenza da Gesù che il discepolo "che egli amava" "rimanga", si manifesta la certezza che l'amore di Gesù rimarrà per sempre, ci sarà sempre un discepolo "amato" da Lui e che ogni discepolo di Gesù "rimane amato": la Chiesa è la comunità dei discepoli che "rimangono nell'amore di Cristo" (Giov.15,9). Il cap.21 del vangelo di Giovanni ci descrive precisamente questa comunità avvolta dall'amore di Colui che è diventato "il Signore".

Accanto al "discepolo che Gesù amava" sta sempre Pietro (nei primi capitoli degli Atti degli apostoli sono sempre insieme Pietro e Giovanni): accanto all'amore sta l'istituzione.

Nel Vangelo di Giovanni l'attenzione rivolta al "discepolo che Gesù amava" si trova pure per Pietro: possiamo ritenere che il cap.21 rappresenti il punto di arrivo del cammino che Gesù fa percorrere a Pietro, accanto all'altro discepolo. Il discepolo amato potrebbe portare il nome di tutti i discepoli, sia di quelli di cui parla il racconto evangelico, sia dei lettori successivi, tranne il nome di Pietro. I due discepoli quando sono presentati insieme, non possono essere confusi tra loro: se uno è il discepolo "amato", Pietro potrebbe essere il discepolo "non amato". Nel quarto Vangelo, Pietro non è tra i primi discepoli chiamati da Gesù, non riceve la promessa delle chiavi del Regno dei cieli, non comprende il gesto di Gesù che lava i piedi ai discepoli (13,6), è distante da Gesù nell'ultima cena (13,23), compie un gesto disapprovato da Gesù (18,10), rinnega Gesù (18,15)...Leggendo tutti i passi che lo riguardano, cominciando dalla esclamazione del cap.6,68 si può concludere che Pietro sia preoccupato in realtà di mettersi al primo posto per mostrare che egli "ama" Gesù. Il cammino che Gesù gli fa compiere vuole condurlo a capire che egli deve prima lasciarsi amare da Gesù: solo dopo può amare davvero Gesù. Il solo del gruppo che non è chiamato "discepolo amato" è "Simone di Giovanni": Gesù per tre volte lo interroga, per fargli prendere coscienza della fragilità del "suo" amore, per fargli comprendere quanto in realtà Gesù lo ami, tanto da affidargli il suo gregge. Solo chi si lascia amare da Gesù può amarlo: l'istituzione nella Chiesa non ha senso se non è la manifestazione della forza dell'amore di Gesù, e per essere tale deve svuotarsi da ogni equivoca velleità di essere un amore che nasca solo dalla volontà dell'uomo di amare. Pietro è chiamato ad amare Gesù più di tutti gli altri: ma proprio per questo, deve lasciarsi amare più di tutti gli altri, deve morire a se stesso più di tutti gli altri.

Il "discepolo che Gesù amava" ha scritto tutte queste cose e Pietro testimonia che ha detto il vero: la Chiesa è la comunità che si lascia amare da Gesù e che testimonia nei secoli di non smarrire l'Amore di Gesù. Il mistero di Gesù, narrato in questi ventun capitoli, è inesauribile: termina la lettura del libro ma non la forza dell'Amore. Ogni anno, leggendo queste pagine, siamo invitati a gustare il vino di Cana, le fonti di acqua viva, il pane di vita, e tutta la ricchezza della grazia che riusciamo a sentire solo rimanendo chini sul petto di Colui che ci ha amato sino all'estremo.

 

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