TESTO Non essere più incredulo, ma credente!
don Roberto Rossi Parrocchia Regina Pacis
II Domenica di Pasqua (Anno C) (11/04/2010)
Vangelo: Gv 20,19-31
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Nell'attuale contesto storico e culturale, la fede in Gesù Cristo è sempre meno scontata, sia all'interno delle nostre comunità cristiane, sia soprattutto tra i giovani, posti di fronte alle grandi sfide di oggi, alla ricerca di "senso" e di prospettive per il futuro. Le difficoltà e le oscurità del credere sono ben descritte in questo incontro di Gesù risorto con il discepolo Tommaso che rappresenta tutti noi, le nostre lentezze nel cammino di fede, le nostre crisi e le nostre paure.
Dobbiamo fare i conti con il "Tommaso" presente in ciascuno di noi, quando la fede in Gesù è messa a dura prova dai ritmi vorticosi del lavoro, delle vicende familiari, da un fallimento, da una malattia, dalla morte di una persona cara, e non riusciamo a rileggere la nostra vita, alla luce della sua Parola, a ritrovare segni di speranza.
Tommaso esprime il dramma di quanti sono delusi e non credono più in un futuro migliore, di coloro che rinunciano a pensare, a sognare, a credere che i sogni si possono trasformare in realtà fidandoci di Lui.
La fede è un dono, ma anche una conquista che richiede tempi lunghi, tappe di maturazione, accompagnamento di educatori e di testimoni autentici che sappiano porsi al fianco dei giovani, con disponibilità e volontà di camminare insieme, superando pregiudizi, e schemi prefissati. Il brano esprime bene il ruolo delle nostre comunità chiamate ad attualizzare la proclamazione dei discepoli: «Abbiamo visto il Signore!».
Sembra proprio che Giovanni voglia invitarci a VEDERE, ad aprire gli occhi, a riconoscere i SEGNI della PRESENZA di GESU' RISORTO. Ora, dopo la morte di Gesù c'è in Lui una preoccupazione: MOSTRARCI CHE VERAMENTE GESU' E' RISUSCITATO, CHE GESU' E' UN GESU' VIVO, non morto.
Tutto il capitolo 20 del Vangelo di Giovanni vuole mostrarci che Gesù è Risuscitato, che Gesù è il Vivente e si mostra vivo ai discepoli. Gesù appare a tutti loro e tutti gioiscono nel vedere il Signore. All'incontro però manca Tommaso, uno dei dodici. Forse Giovanni poteva tralasciare di raccontare questo fatto. Perché lo racconta con tanta forza e dettagli? Chi è Tommaso?
Tommaso è un tipo che voleva vederci chiaro. Tommaso era gemello, ma gemello di chi? Il Vangelo non lo dice. E forse si capisce perché. Perché gli siamo gemelli un po' tutti. Viviamo in un secolo in cui è difficile fidarsi, non si ha fiducia nemmeno nella propria ombra. Per credere non basta l'ascolto, come per Maria, per lei è stato sufficiente udire le parole dell'Angelo per abbandonarsi completamente al progetto di Dio. Non basta neppure vedere, così come è bastato ai pastori di Betlemme. Videro un bambino e ritornarono glorificando Dio per tutto quello che avevano udito e visto.
A Tommaso non è sufficiente ascoltare il racconto degli altri Apostoli che avevano visto il Risorto: egli vuole toccare, mettere la propria mano nei buchi dei chiodi, nella ferita, solo così crederà. Anche noi vogliamo toccare per credere, come Tommaso, il nostro gemello. Anzi più di Tommaso, perché in fondo lui volle toccare, ma poi di fatto non lo fece. Seppe arrestarsi alle soglie del suo folle realismo. Lasciò che i certificati di garanzia da lui pretesi gli si sciogliessero tra le dita come sigilli di ceralacca sotto la fiamma di una candela. Cadde in ginocchio, alle frontiere luminose di quegli spazi di carne che non ebbe più il coraggio di manipolare.
Per noi è diverso. Il dubbio è divenuto cultura. L'incredulità, virtù. La diffidenza sistema. Non crediamo nemmeno davanti all'evidenza delle cose. L'oggettività è passata di moda da un pezzo e la soggettività dubita di se stessa. Tutto è diventato confusione. Come allora poter cogliere i segni del Risorto? Per vederci chiaro c'è bisogno di trasparenza, di rapporti veri, di sguardi limpidi, di gesti efficaci, di parole chiare.
Dov'era Tommaso la prima volta in cui è apparso Gesù? Il Vangelo non lo dice. Forse voleva capire da solo, trovare da solo una risposta davanti al Crocifisso. Ma da solo è incapace di riconoscere il Risorto.
Quando Tommaso è capace di vedere e riconoscere il Risorto? Tommaso vede Gesù quando si riunisce con i suoi, quando accetta di essere Comunità, quando esce dalla sua solitudine e accetta umilmente di stare con gli altri anche se non riesce a comprenderli pienamente nella loro esperienza, fino in fondo. Accettando di stare con gli altri è in grado di riconoscere la Presenza di Gesù in mezzo ai suoi, di fare la professione di fede più bella e semplice del Vangelo: "Mio Signore e mio Dio!".
E il Vangelo di oggi termina con una bellissima beatitudine che ci tocca tutti: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno". Dopo che il Vangelo di Giovanni è tutto centrato in questo VEDERE, sembra un controsenso terminare con questa beatitudine: "Beato te, che pur non avendo visto, credi". Allora è più importante CREDERE che VEDERE. Solo credendo i nostri occhi diventano capaci di VEDERE, di vedere nella trasparenza, di vedere oltre: oltre la morte, la vita; oltre il dolore, la gioia; oltre il sepolcro vuoto, la resurrezione; oltre le ferite e le piaghe del crocifisso, la gloria del Risorto.