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TESTO Il mio Signore e il mio Dio

mons. Gianfranco Poma

II Domenica di Pasqua (Anno C) (11/04/2010)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Nella seconda domenica di Pasqua la Liturgia ci fa vivere l'esperienza pasquale narrata dal Vangelo di Giovanni nel cap. 20,19-31 e ci conduce a ripercorrere l'itinerario compiuto dai primi discepoli per arrivare alla fede. "Il mio Signore e il mio Dio", è la risposta di Tommaso all'invito rivoltogli da Gesù: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco e non essere non credente, ma credente". Tommaso a sua volta a chi gli annunciava: "Abbiamo visto il Signore", rispondeva: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo fianco, non credo". Alla decisione di Tommaso di non credere alla testimonianza dei Dodici se non vede e non tocca il segno dei chiodi, corrisponde l'iniziativa di Gesù il quale rivolge personalmente la parola al suo discepolo. E' interessante notare la differenza della condizione posta da Tommaso quando diventa richiesta fatta a lui da Gesù: mentre Tommaso condiziona la sua fede alla visione del segno dei chiodi, Gesù apre un dialogo nel quale si intrecciano i segni, simboli da leggere. Gesù dice a Tommaso: "metti qui il tuo dito, tendi la tua mano" come egli aveva preteso, ma gli chiede: "guarda le mie mani...metti la tua mano nel mio fianco". In realtà Gesù chiede a Tommaso di "non pretendere" un segno per credere, ma di saper vedere e toccare i segni che già "gli sono stati dati", le sue mani e il suo fianco, la sua umanità offerta: in tutto il Vangelo, Giovanni ha mostrato che non ci sono i segni per credere, ma chi crede vede i segni. "Non essere non credente, ma credente": a Tommaso Gesù chiede di abbandonarsi con un atto di libertà alla fede, così vedrà "le sue mani e il suo fianco" come segno dell'infinito amore al quale può affidarsi totalmente. E Tommaso si affida, diventa credente: non ha più bisogno di avere prove materiali per credere, entra nel dialogo con Gesù che gli ha dato tutto, e gli risponde: "Il mio Signore e il mio Dio". Questa confessione è la più grande che sia fatta da un discepolo in tutto il Vangelo. Tommaso ha conosciuto chi è Gesù: ha toccato, ha guardato, ha conosciuto l'amore che Gesù ha per lui. Può dire: "Il mio Signore", a chi lo ha amato sino a quel punto e in quel modo, può affidare tutta la sua vita, senza timore di perdere la propria libertà. E può dire: "Il mio Dio". Tommaso ha capito quello che l'autore del prologo dice del Logos divino che si è fatto "carne": "Dio nessuno lo ha mai visto: l'Unigenito Figlio, che è Dio ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato (Giov.1,18)". Il Figlio che ha assunto la carne fino alla morte, ci ha rivelato che Dio è un infinito mistero di amore: adesso che ha guardato quelle mani, vuote di tutto per poter solo donare, ha messo le mani nel fianco, diventato fonte di vita, Tommaso può non aver più paura di un Dio giudice terribile, perché ha conosciuto un Dio che è solo Amore, che vuol fare di ogni uomo un figlio da amare come Padre.

Adesso Tommaso ha percorso tutto il cammino: è diventato credente e diventa testimone di fede. Per un istante ha condizionato la fede ad una esperienza sensibile: ma anche questo è significativo nell'itinerario della fede. Conoscere il dubbio non è contro la fede, ci impedisce anzi di scambiare la fede con una esaltazione religiosa o con una allucinazione psicologica. Ma soprattutto Tommaso ci introduce nella comprensione della specificità della fede cristiana che non è generica fede in Dio, ma è arrivare a dire a Gesù, visto e toccato nella sua carne offerta fino alla morte, segno tangibile dell'Amore di Dio che ha vinto l'odio, la paura, il peccato e la morte: "Mio Signore e mio Dio", sentendo che proprio da Lui viene la pace, la gioia, da Lui viene lo Spirito che porta la creazione al suo compimento, da Lui viene una forza di amore che per-dona, un Amore incontenibile che muove uomini e donne perché ne diventino messaggeri nel mondo.

Tommaso ci conduce alla fede in Gesù, Signore e Dio, e si compie così l'itinerario attraverso il quale diventa "esperienza" l'affermazione del Prologo: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Giov.1,14).

Per comprendere e per vivere più intensamente l'esperienza che il brano che stiamo leggendo ci propone, possiamo fare ancora due osservazioni. La prima riguarda Tommaso, presente in modo particolare nel Vangelo di Giovanni: in tutti i passi in cui è nominato (tranne 14,5) si sottolinea che Tommaso è "detto Didimo", che vuol dire "gemello". Certo questa sottolineatura è voluta (il nome Tommaso di origine aramaica significa già "gemello"): gemello di chi e gemello perché? Forse l'evangelista vuol dire che ogni lettore (e quindi noi) è il gemello di Tommaso: ciascuno di noi vive dentro di sé l'esperienza di Tommaso, i suoi entusiasmi e i suoi dubbi, le fughe in avanti e i cedimenti, per poter arrivare, come lui, a lasciarsi vincere dall'amore sguarnito di Gesù.

O forse l'evangelista vuol dirci che Tommaso è "gemello" di se stesso: anche in lui, come in tutti noi, convive il credente e il non credente; anche lui, come ciascuno di noi, deve continuare ad ascoltare la Parola di Gesù: "Non essere non credente, ma credente". Anche per lui, come per noi, in realtà, la fede non è mai un itinerario concluso ma un viaggio che riprende sempre di nuovo, e la confessione: "Mio Signore e mio Dio" non può mai essere confuso con un gratificante tentativo di possesso definitivo di Dio.

La seconda osservazione è che i commentatori ritengono che il nostro brano, collocato "alla sera del primo giorno della settimana", quello che per la comunità cristiana è già diventato "il giorno del Signore", ci faccia rivivere una liturgia eucaristica nella quale la comunità fa l'esperienza della presenza di Gesù, che dona pace, gioia, comunica lo Spirito, rinnova la vita, e invia testimoni dell'amore del Padre nel mondo. Anche questo è un invito per noi: è nella celebrazione liturgica dell'eucaristia che viviamo la nostra esperienza pasquale.

Con questa pagina, con l'esperienza di fede dei Dodici e di Tommaso, il Vangelo di Giovanni, raggiunto il suo obbiettivo, dichiarato esplicitamente nel v.31: "perché voi crediate e credendo abbiate la vita nel suo nome", si conclude.

 

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