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TESTO Conversione e Rivelazione

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

II Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2010)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Il tempo di Quaresima, come si è detto più volte, rispecchia in un periodo liturgico il nostro impegno radicale alla conversione. E' un tempo liturgico nel quale siamo chiamati a vivere con maggiore speditezza il proposito di conversione a Dio che ci impegna in tutti i tempi dell'anno. Tale itinerario, che come abbiamo visto la scorsa Domenica ci impegna anche nella lotta contro le tentazioni e le insidie del maligno, non può tuttavia avere luogo fin quando noi non consideriamo che, prima ancora che noi lo cercassimo, è stato il Signore stesso a venire incontro a noi. Dio ci ha cercati egli per primo, noi non facciamo che corrispondere al suo appello di riconciliazione e di conseguenza ci convertiamo a lui.

Mosso dal suo amore per l'umanità peccatrice, Dio si è rivelato all'uomo, cioè si è manifestato e reso visibile pur mantenendo il suo mistero ineffabile. Che vuol dire Rivelazione?. Secondo alcuni teologi, significa che Dio mostra una sua qualità, un suo attributo, una caratteristica; secondo altri pensatori che egli manifesta se stesso agli uomini in certe situazioni della vita, secondo altri significa che egli manifesta il suo mistero. La teologia del Concilio Vaticano II, che è quella preferibile a tutte le altre, insegna che la rivelazione è autocomunicazione di Dio: egli non ha mostrato solo qualcosa di se stesso, non ha manifestato solamente la sua grandezza e la sua potenza, ma ci ha donato se stesso. Certo, Dio non si è rivelato in modo tale che noi potessimo comprenderlo definitivamente ed esaurientemente comprendere tutto di lui (non sarebbe più Dio), ma ha mostrato se stesso, ha voluto comunicare con noi accompagnandoci fino in fondo e percorrendo con noi la nostra storia e l'intera vicenda umana. E questo in modo più eclatante in Gesù Cristo, nel quale egli ha mostrato tutto se stesso, comunicandoci definitivamente tutto il suo mistero: in Cristo Verbo fatto carne, Dio ha comunicato gli "arcana celorum", i segreti del Regno dei Cieli.

In sintesi, noi siamo spronati ad un itinerario di conversione non in forza delle nostre capacità personali di conoscere Dio o di comunicare con lui e neppure in ragione dei nostri meriti o delle nostre qualità, ma semplicemente in conseguenza del fatto che Dio ci si è rivelato e che ha voluto mostrare sollecitudine e amore nei nostri confronti.

Proprio queste pagine quaresimali odierne ci ragguagliano della previa rivelazione divina per cui noi siamo sollecitati alla conversione seria e radicale. Già ad Abramo (I Lettura) Dio si autocomunica come fedele alla promessa di una grande discendenza della quale egli sarà il capostipite, che viene suggellata dal simbolo del fuoco e del braciere che passa fra le vittime animali divise; promessa che si realizza di fatto con la straordinaria nascita di un figlio nonostante l'età avanzata di Sara. Il fuoco è sempre stato nella Bibbia immagine di Dio che assiste e che guida il suo popolo, purificandolo e rinnovandolo dai suoi peccati; in questa circostanza, la torcia ardente è espressione della manifestazione gratuita di Dio che conferma Abramo nelle sue promesse assistendolo nella sua smisurata discendenza.

Ma il culmine della Rivelazione è Gesù Cristo. Egli è la Rivelazione in pienezza essendo l'eletto del Padre e colui attraverso il quale noi accediamo al Padre e appunto sul monte, luogo per antonomasia della manifestazione divina, egli mostra la sua grandezza a tre spettatori, uno dei quali, Pietro, renderà testimonianza di quanto ha visto convincendo i suoi uditori di non riferire favole ingegnosamente inventate, ma di raccontare episodi vissuti in prima persona (2Pt 1, 16-18) che lo hanno illuminato sulla grandezza di Dio che si dispone a vantaggio dell'uomo, convincendolo della divinità di Cristo, della sua potenza e della sua gloria e soprattutto su come questa divinità si è spesa per l'uomo nell'evento tragico di Gerusalemme con cui Dio ci ha comprati non a prezzo di cose corruttibili, ma con il sangue del suo Figlio (1Pt 1, 18 - 19). Pietro insomma potrà attestare inesorabilmente come veritiero di aver esperito la gloria di Dio su quel monte nel quale vedeva il Cristo nel suo vero aspetto di Dio Incarnato incorruttibile e glorioso, prefigurato dalla Legge (Mosè) e dai profeti (Elia); ebbene quel Signore glorioso, che fino a poche ore prima egli assieme a Giacomo e Giovanni avevano visto semplicemente sotto l'aspetto umano seppure carismatico e fautore di prodigi, che solo nella fede avevano potuto visionare nella sua vera essenza e che adesso contemplano attoniti nella pienezza della sua divinità indiscutibile e manifesta, è in procinto di fare ingresso a Gerusalemme dove per volontà del Padre darà se stesso in riscatto di tutti. Sarà quello il momento culmine della vera rivelazione di un Dio amore che si assoggetta all'uomo per liberare l'uomo e di questo evento il Tabor è adesso una prefigurazione. Nella croce si realizzerà la definitività della rivelazione divina che mentre metterà in evidenza la grandezza di un Dio amore costringerà l'uomo alla presa di coscienza della propria limitatezza e delle ostinazione in senso opposto a quella che è la sua stessa dignità, perché mostrerà la vicinanza di Dio con l'uomo e al contempo quanto sia ridicolo che l'uomo si allontani da Dio, cioè dalla verità che lo rende libero. Scrive Ratzinger in un suo saggio teologico: "La croce è rivelazione. Essa non ci rivela una cosa qualsiasi, bensì Dio e l'uomo. Ci svela chi Dio è e come l'uomo è... Il fatto che il vero Giusto, allorché apparve, sia diventato il Crocifisso, colui che dalla giustizia fu consegnato alla morte, ci dice implacabilmente chi sia l'uomo. La verità dell'uomo è la sua mancanza di verità... La croce, però, non rivela soltanto l'uomo, ma rivela anche Dio: ecco Dio tale da identificarsi con l'uomo, fin nel profondo di questo abisso, tale da salvarlo nell'istante stesso in cui lo giudica. Nell'abisso del fallimento umano si rivela l'abisso ancora più insondabile dell'amore divino. La croce quindi è veramente il centro della Rivelazione, una rivelazione che non ci svela qualche massima sinora a noi ignota, ma noi stessi, rivelando noi davanti a Dio e rivelando Dio in mezzo a noi."

Ma se la croce è rivelazione, la trasfigurazione è un preludio di questa croce: essa precede il cammino verso Gerusalemme ed è preludio di quello che è l'aspetto più singolare e umanamente impensabile di un Dio che ama l'uomo sino alla fine poiché nell'evento del Tabor Dio si manifesta nella pienezza affinché l'uomo si convinca e si converta a questa pienezza; la rivelazione che Dio fa di se stesso si trasforma in una sorta di dialogo e di confidenza che da Pietro, Giacomo e Giovanni si estende a tutta l'umanità. La trasfigurazione sul Tabor ci rende esterrefatti e stupiti di come Dio glorioso e invitto si lasci vincere dalle percosse di un flagello; di come Lui, libero e fautore di libertà si lasci catturare e avvincere da catene; lui autore della vita e si lasci avvincere dalla morte; lui dalle vesti smaglianti di tanto candore si lasci imbrattare le membra e le vesti di sangue. Ma soprattutto ci lascia straniti di come Dio, che potrebbe dettare leggi e governarci con autorità indiscussa, si avvalga dell'amore come mezzo di persuasione umana. Pietro Giacomo e Giovanni sono stupiti e incerti, ma anche meravigliati di avere scoperto tanta gratuità divina e non vogiono più scendere dal monte.

E' proprio vero. E' bello stare con il Signore tutte le volte che si sperimenta la Sua compagnia e si comprende la grandezza del suo disegno di amore; si vorrebbe restare sempre con Lui dimentichi di ogni cosa relativamente ai problemi della vita di tutti i giorni, alle ansie e alle lotte continue, ma è ancora più bello se il nostro Tabor si trasferisce nella vita di tutti i giorni e se la sua efficacia viene da parte nostra testimoniata a tutti con la coerenza della vita .

 

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