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TESTO Egli è qui perché siano svelati i pensieri di molti cuori

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (31/01/2010)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù - come Elia ed Eliseo - è mandato non solo per i Giudei

La parola dei profeti è scomoda: ci mostra le trappole in cui siamo caduti seguendo le illusioni della nostra mente e del nostro cuore; mette in discussione le pacifiche convinzioni e i luoghi comuni, con cui ci risparmiamo la fatica di pensare davvero la vita e il mondo; ci rilancia costantemente oltre quei traguardi che a noi sembrano ultimi e decisivi; ci richiama infine il permanente dovere della conversione dei nostri sentimenti ai sentimenti e alla volontà del Signore Gesù di un amore sinceramente generoso verso ogni fratello. Per tutto questo la parola dei profeti non è mai stata di moda. Eppure quanto bisogno - specialmente oggi - avremmo di parole vere ed autentiche, che toccano e trasformano il cuore, parole di profeti veri - noi, uomini e donne del terzo millennio, continuamente assillati e sommersi da parole false e tranquillizzanti che le radio e le tv eruttano senza sosta, parole che vorrebbero spegnere il nostro cervello e farci schiavi di pensieri e di sogni che altri hanno fatto al posto nostro.

La liturgia odierna ci invita a pensare proprio alla sorte dei profeti, sempre necessari e sempre tenuti a distanza, e sotto una tale luce ci presenta gli inizi del ministero di Gesù.

1. Siamo ancora nella sinagoga di Nazaret, nella quale Gesù, come riportato nel vangelo di domenica scorsa (cfr. Lc 4, 14-21) ha letto ed attualizzato alcune parole del profeta Isaia, rivelando ai suoi ascoltatori che è giunto il tempo preannunciato e atteso. Il tempo di Gesù è il tempo in cui finalmente le Scritture sante del popolo di Israele giungono a compimento, e giungono a compimento proprio nella persona del loro compaesano. La reazione degli abitanti del piccolo villaggio di Galilea non si lascia attendere: prima di tutto c'è la meraviglia e lo stupore per le parole di grazia pronunciate da Gesù, nelle quali viene confermata la straordinaria prossimità dell'Altissimo ad ogni figlio del suo popolo, in qualunque situazione egli si venga a trovare. A questa meraviglia segue, però, una domanda che potrebbe svelare altri sentimenti ospitati nel cuore dei presenti. La domanda è: come può costui dire tali cose? Non è il nostro vicino di casa, non è appunto il figlio di Giuseppe? La logica di un tale interrogativo è quella di "normalizzare" la pretesa profetica del figlio di Giuseppe di dare una lettura attualizzante della Scrittura. Come a dire, l'interpretazione della Scrittura offerta da Gesù non ha motivo per accreditarsi. E su questo spunto Gesù compie l'affondo. Non risponde alla domanda circa la sua figliolanza umana, ma ricorda che la missione dei profeti non è quella di essere ben accetti presso il popolo, fosse anche il loro, ma di essere bene accetti presso Dio, anche quando questo possa causare momenti di tensione e di incomprensione. È una provocazione, quella che lancia Gesù, che intende svelare i pensieri dei cuori, se davvero vogliono servire il Signore e accoglierne l'avvento con generosità, oppure se in realtà non vogliono servirsene a loro uso e consumo.

La reazione dei suoi compaesani diventa a questo punto violenta sino all'impensato di un'assemblea liturgica che per poco non si rende complice di un assassinio collettivo, dal quale il Signore Gesù si salva "passando in mezzo a loro".

2. Bisogna, però, evitare una lettura di questo testo di Luca come il racconto di una semplice lite tra compaesani, suscitata da invidie e da gelosie. Che il testo abbia un carattere paradigmatico, finalizzato ad offrire al lettore di tutto il vangelo lucano le chiavi per interpretare il futuro ministero di Gesù, lo dimostra anche l'anacronismo con cui l'evangelista nelle parole del Signore accenna ai miracoli già compiuti a Cafarnao, di cui avremo notizia solo successivamente.

Per questo ci sembra che l'orazione composta dalla Chiesa proprio per la liturgia odierna ci offra le precise coordinate per afferrare il senso più profondo del testo. Leggiamola: "O Dio, che nel profeta accolta dai pagani e rifiutato in patria, manifesti il dramma dell'umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa' che nella tua Chiesa non venga mai meno il coraggio dell'annunzio missionario dell'Evangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...". Al centro, quindi, della vicenda di Gesù nella sinagoga di Nazaret c'è il dramma di tutta l'umanità e non semplicemente quello dei giudei. Un tale dramma consiste nell'aprire generosamente il cuore alla manifestazione che Gesù compie del volto di Dio ovvero nel respingerla. La salvezza dipende infatti dalla disponibilità che gli uomini e le donne hanno a distruggere gli idoli cui affidano la loro libertà e ad abbandonare le immagini mitologiche di un Dio della terra o della stirpe o anche semplicemente di un particolare tipo di culto. Si tratta, invece, di accogliere la rivelazione di un Dio che è essenzialmente Padre e che pertanto ha cura di ogni cucciolo d'uomo. Proprio in questo consiste il ministero profetico di Gesù: nell'annunciare che nessuna convinzione o costituzione o condizione umana possa di per sé stabilire forme di distanza o di esclusione dal cuore del Padre "suo" e Padre "nostro".

3. Questo dramma si ripete nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E consiste, infatti, nello stabilire se la gestione della propria esistenza venga realizzata alla luce di questa presenza graziosa di Dio oppure in modo indipendente da Lui e da quanto di Lui abbiamo saputo dalle parole del Figlio. Insomma, se ci decidiamo a vivere la nostra vita con un progetto che faccia a meno dell'ipotesi Dio oppure se al contrario ci apriamo all'evangelo della divina compagnia. Le tracce di un tale dramma si lasciano facilmente ravvisare nella concreta quotidianità delle nostre vite.

Per questo anche i cristiani sono partecipi della missione profetica di Cristo, come ha scritto Giovanni Paolo II: "Siamo diventati partecipi di questa missione di Cristo-profeta e, in forza della stessa missione, insieme con Lui serviamo la verità divina nella Chiesa. La responsabilità per tale verità significa anche amarla e cercarne la più esatta comprensione, in modo da renderla più vicina a noi stessi e agli altri in tutta la sua forza salvifica, nel suo splendore, nella sua profondità ed insieme semplicità" (Redemptor hominis, 19).

Commento di don Armando Matteo

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2009

 

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