TESTO Una lezione di giustizia
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V Domenica di Quaresima (Anno C) (01/04/2001)
Vangelo: Gv 8,1-11
1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
E' proprio vero che gli uomini imparano poco o nulla dalla storia. Da Adamo ed Eva, tutti ci portiamo addosso una povertà d'animo, che tante volte si traduce in deplorevole debolezza. Tutti, sono certo, sentono dentro di sé quel "soffio divino", che ci rende simili al Padre, che è voglia di bontà, gioia, santità. E' come il "richiamo" alla natura di figli di Dio, che ci fa sentire la voglia di cielo. In altre parole vorremmo saper conoscere voli di aquila e poi ci troviamo a sperimentare il peggio di noi stessi, che sentiamo come un doloroso strappo alla nostra voglia di bellezza di animo.
In quei momenti dolorosi, al posto della misericordia, troviamo l'impietoso dito puntato in segno di disprezzo e condanna...come se la nostra storia di errori, non fosse comune storia di uomini deboli.
Ci fu un tempo, che è ancora parte della nostra storia moderna, in cui anche il solo avviso di garanzia, emesso dai giudici, diventava immediatamente condanna, come se ciò, che era un sospetto da appurare, fosse già colpa da condannare. E l'avviso di garanzia troppe volte veniva accompagnato dallo spettacolo delle manette esibite in TV. Era come additare al pubblico disprezzo chi magari poi risultava immune da ogni colpa. Ma quel riprovevole spettacolo 'uccideva' la dignità della persona che, se anche fosse poi risultata colpevole nel processo, non doveva mai essere intaccata.
Ricordiamo con dolore i processi trasmessi in TV. Era una vera condanna alla gogna; cosa di altri tempi, non certo maestri di civiltà. E' giusto che chi commette reato contro la società venga processato e, se colpevole, venga condannato. Ma è ancora più giusto che chi ha sbagliato, sia pure se condannato a subire una pena, conosca la via della misericordia, che è un difficile, necessario ritorno alla bellezza della gioia di vivere, con il desiderio di "volo di aquila", che è il richiamo del Padre, che "non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva".
Tra le tante cose che ho sperimentato nella mia vita di pastore di anime, ho avuto 1a fortuna di visitare quelli che noi chiamiamo 'detenuti' nelle carceri. E di carceri ne ho davvero visitato tante. Soprattutto al tempo dei terroristi. Andavo da loro come il padre che cerca di aiutare a riconoscere l'errore commesso, ma nello stesso tempo lasciando la certezza che c'era Qualcuno che li amava tanto, che sperava e cercava di poterli riabbracciare.
Ricordo molto bene come, quell'opera di amore, non venisse accolta bene da tanti. La chiamavano con disprezzo 'perdonopolì. Ed una volta dopo un pubblico convegno alcuni, senza troppi giri di parole, mi dissero: "Quello che sta facendo nelle carceri è davvero incomprensibile e deplorevole...ma glielo perdoniamo per tutto quanto ha operato nel Belice". Come se riportare uno 'a casa', fosse una colpa.
Capitò anche a Gesù di trovarsi di fronte a questa esperienza. Preferisco riportarla come è nel Vangelo, per non oscurare la bellezza divina che vi è nel racconto. Una bellezza che dovrebbe attraversare anche i nostri giorni, perché i fatti e gli atteggiamenti sono gli stessi. "Gesù si avvia verso il tempio e tutto il popolo andava da Lui ed Egli, sedutosi, li ammaestrava. Gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?" Questo dicevano per metterLo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra". Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino all'ultimo. Rimase solo Gesù con la donna, là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata"? Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse "Neanch'io ti condanno: va e d'ora in poi non peccare più". (Gv.8,1-11)
Quella donna, sorpresa in fragrante adulterio, buttata lì in mezzo alla piazza, sotto il disprezzo e la condanna di tutti, rappresenta veramente ciascuno di noi, quando conosciamo la vergogna del peccato.
Gli scribi e i farisei, è la gente si sente 'a posto con la coscienza' anche se su questa terra nessuno può dirsi a posto con la coscienza se si confronta con la giustizia di Dio – e crede di avere il diritto-dovere di 'lapidare', ossia di 'chiudere la visione del cielo, che è ciò che ci fa camminare anche quando siamo caduti'. Gesù è il Cuore del Padre che sa di che pasta siamo fatti e mette in bella evidenza ciò di cui abbiamo bisogno quando ci 'sentiamo morti per la colpa' e ci offre gratuitamente il sorriso del ritorno alla gioia di vivere nel perdono.
Forse non abbiamo capito che, quando siamo per terra, non abbiamo proprio bisogno di dita puntate nella condanna, ma di mani tese che ci aiutino a rialzarci e ci dicano "io non ti condanno: va in pace e non peccare più".
E' di ciò che noi Sacerdoti facciamo, in questo tempo di Quaresima, nel sacramento della penitenza. Ed è davvero ritorno alla vita, sentirsi 'perdonati da Dio'. Chissà allora perché continuiamo a prendere la parte di accusatori, quando sentiamo nel cuore il bisogno di perdono!
Dio, il Padre, a noi che chiediamo perdono, così ci accoglie: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa" (Is.43, 18-20).