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TESTO Dio ha scelto i poveri: e noi come li trattiamo?

mons. Antonio Riboldi

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (10/09/2000)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 7,31-37

31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

E' incredibile come i mass-media da tempo facciano ogni sforzo per convincerci che "siamo ricchi, che in Italia, tutto sommato, stiamo veramente bene". Ricordo un articolo che rimproverava a noi italiani di avere un complesso di colpa per il fatto di avere raggiunto un buon livello di benessere: un complesso di colpa che ci porterebbe, secondo il giornalista, a comportarci da "poveri con molti soldi in tasca". Riferendosi poi alla preoccupazione che è e deve essere presente nella Chiesa per quanti questo benessere o ricchezza non hanno (e sono ben 10 milioni circa), definiva tale preoccupazione un sentimento un poco medievale, comprensibile solo per chi professa una religione come quella di Cristo.

Quando poi nelle varie inchieste che si fanno a getto continuo sullo stato vero di salute della nazione viene fuori che esistono sacche, e numerose, di miseria vera e propria (e chi vi scrive è testimone diretto di tanta miseria che non è neppure immaginabile nelle zone di benessere) si provoca un certo fastidio: come quando in una riunione di gente vestita bene si affaccia uno vestito con semplicità o peggio con povertà.

Ricordo sempre un fatto che mi è capitato tanti anni fa visitando gli emigrati della mia parrocchia di S. Ninfa in Venezuela. Rimanevo sconcertato dai tanti agglomerati di favelas che circondavano le città o si infittivano in luoghi poco distanti dalla città. Casupole nella favela altro non sono che miseri rifugi al cui confronto la baracca è una reggia. Poche lastre di lamiera, sorrette da quattro pali di legno e dentro un'intera famiglia, con misere cuccette e pochi arnesi per la cucina e per pavimento la nuda terra. Bastava una pioggia torrenziale a spazzare via tutto: e ciò capitava spesso tra l'indifferenza generale. Mi fermavo sconcertato a guardare con grande fastidio di chi mi accompagnava, e mi chiedevo come mai potessero esistere simili obbrobri alla dignità dell'uomo: come potevano essere permessi dalla coscienza umana, cristiana e civile.

Una sera fui invitato a prendere un rinfresco tra i meravigliosi palazzi di Caracas. Con i miei ospiti vi erano alcuni venezuelani il cui benessere e la cui bellezza balzavano prepotentemente agli occhi. Non riuscii a trattenere la domanda che avevo sempre sulla lingua e non sapevo a chi rivolgere: "Chi sono quelli che abitano nelle favelas? Sono poveri? Sono degli emigrati?". Ebbi una risposta immediata, secca come la lama di una spada: "Quelli lì sono venezuelani, sono campesinos". Insomma, erano creature che avevano persino perso il diritto alla cittadinanza nella categoria uomini: erano solo "quelli lì". La stessa risposta, se badate bene, l'avremo ovunque in un paese, in una città, in un palazzo dove ci sono dei poveri, dei "diversi" da noi. "Sono quelli lì" che devono rimanere sempre nell'ombra per non oscurare lo splendore della ricchezza o del benessere, che altro non è che la bieca luce dell'egoismo. Quello che è peggio, antievangelico, che nulla cioè ha a che fare con Gesù e con il Suo Regno, è l'idolatria del benessere e dei ricchi. Questi oggi vanno di moda, almeno in Italia: campeggiano su tutte le riviste; la loro vita, i loro vizi, le loro abitudini diventano il "Vangelo" che tanti, troppi seguono. Una volta sulle pareti di casa campeggiavano immagini di Santi: oggi sulle pareti della nostra fantasia o della nostra coscienza campeggiano le immagini di chi ha raggiunto ricchezza e prestigio. Quanti inchini, quanta attenzione a chi ha o fa mostra di avere! E la povera gente? "Quelli lì", gli emarginati anche dal diritto ad una dignità di vita? La Chiesa, interprete del Cuore di Dio, li ha scelti come privilegiati: non solo, ma cerca di adattare il proprio stile di vita ai poveri, perché questi siano meno poveri; fino a tappezzare la propria coscienza della loro immagine, fino a riempire il proprio cuore delle loro angosce. O almeno cerca di farlo.

Insomma il Cristiano, la Chiesa, in contraddizione aperta con il mondo, ha scelto i poveri. "Ascoltate fratelli miei carissimi – scrive l'apostolo san Giacomo –: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?". E per farci capire bene tale scelta, si raccomanda: "Fratelli, non mescolate ai vostri favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della Gloria. Supponiamo che entri ad una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu, siediti qui comodamente", e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure: "Siediti qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?" (Gc 2, 1-5).

In fondo è la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro, tradotta in termini più comprensibili – e pratici.

C'è veramente da farsi un esame di coscienza tutti, alla luce di questa scomoda, ma necessaria parola di Dio. Un esame che ci dica fino a che punto la corsa al benessere ci ha costretti a edificare tanti altari a falsi dei da non avere più posto per un altare a Dio e ai poveri di Dio. Un esame che ci dica se "quelli lì" li trattiamo davvero con amore.

 

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