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TESTO Il trono della grazia

don Daniele Muraro   Home Page

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/10/2009)

Vangelo: Mc 10,35-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 10,35-45

35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Il sentimento di onnipotenza è tipico dei bambini. Pensano di poter ottenere tutto e subito. Per fortuna quanto acutamente manifestano il desiderio che li assilla altrettanto velocemente passano ad altro. Inoltre il loro mondo è limitato e per lo più si dedicano a chiedere cose stravaganti, ma non impegnative.

I due apostoli Giacomo e Giovanni invece chiedono di sedere uno alla destra e uno alla sinistra del Maestro, naturalmente al momento della gloria. Non sbagliano interlocutore per la loro supplica, ma sicuramente sono fuori tempo e anche fuori bersaglio.

Infatti Gesù li interrompe: "Voi non sapete quello che chiedete!". Sulla croce Egli si rivolgerà al Padre intercedendo per i suoi uccisori: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".

Aver crocifisso il Signore è una responsabilità ben diversa da quella di chiedere di amministrare il potere insieme con Lui, eppure le due prese di posizione sono collegate da una stessa ignoranza (sarebbe più giusto chiamarla incoscienza).

I due apostoli vedono la gloria conseguente alla passione e vogliono anticipare i tempi, disinteressandosi dei modi. Per ben tre volte Gesù aveva parlato della sua sorte che lo aspettava a Gerusalemme e i due fratelli più ardimentosi avevano ascoltato la profezia, ma subito ne avevano rimosso il contenuto. Era più facile sognare.

Non desideravano niente di meno importante, ma si trattava di qualcosa di pericoloso. Gesù glielo fa subito capire: "Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?" Sono parole per nulla incoraggianti se intese nel retroterra loro proprio, cioè quello dell'Antico Testamento.

Il calice è il segno dell'ira di Dio, come scrive il profeta Isaia: "Levati su, Gerusalemme, che dalla mano del Signore tracannasti il calice della sua ira, la coppa che ti ha stordita"; e Geremia dice: "Prendi dalla mia mano questa coppa di vino della mia ira e falla bere a tutte le nazioni alle quali ti invio".

Gesù, con questa metafora, indica che egli prende su di sé il giudizio di Dio per il male compiuto nel mondo, anche a costo della morte. La stessa cosa vale per il simbolo del battesimo: "Tutte le tue onde e i tuoi flutti si frangono sopra di me". Insomma, con le due immagini, Gesù mostra che il suo cammino non è una carriera verso il potere. Semmai è l'assunzione del male dell'umanità, come disse il Battista: "Ecco l'agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo".

Fra questi mali della storia è compreso anche il desiderio sfrenato di potere. Anche per questo delitto Gesù offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, mostrando attraverso il suo esempio qual è il giusto modo di accostarsi al potere.

Gesù è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato, dice la seconda lettura, ma inclusa la seduzione di un potere non giustificato da un servizio effettivo.

Ricordiamo il contenuto dell'ultima tentazione secondo san Matteo: "Il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai».

Esercitare il potere nella concreta storia politica per lo più vuol dire allearsi alcuni contro pochi. La condanna di Gesù ne è una prova lampante: "davvero in questa città, troviamo scritto negli Atti, Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d'Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato". Da parte sua san Luca aveva già notato nel Vangelo che dopo l'invio di Gesù in catene a Erode, "quel giorno (cioè il Venerdì santo) Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia."

Gesù vuole evitare proprio questo: che l'esercizio del potere nella Chiesa diventi contrapposizione verso un nemico da combattere e distruggere.

La settimana scorsa abbiamo ascoltato il Vangelo del giovane ricco. A san Pietro che si interrogava: "Noi abbiamo lasciato tutto... Che cosa avremo in cambio?" Gesù aveva risposto con la promessa del cento volte tanto. Nella versione secondo Matteo però prima di tale promessa ne troviamo un'altra tralasciata da san Marco: "E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele."

Gesù aveva parlato di troni e subito i due fratelli più temerari, già da lui soprannominati "figli del tuono", cercano di accapparrarsi i posti migliori, quello a destra e quello a sinistra del maestro.

Anche la seconda lettura nomina un trono: si tratta del trono della grazia, del dono gratuito, a cui accostarsi con fiducia sicuri di essere esauditi. Su questo trono sta seduto Gesù dopo "avere attraversato i cieli", cioè dopo essere sceso sulla terra e avere condiviso la nostra condizione umana.

L'autore della lettera agli Ebrei garantisce che presso Lui di tutti possiamo ricevere misericordia e grazia. Gesù è diventato dispensatore di questi tesori dal suo seggio glorioso proprio a motivo della passione. Il suo primo trono fu la croce. Lì dette la sua vita in riscatto per molti, di lì chiese il perdono di Dio per l'umanità peccatrice.

La professione di fede da mantenere ferma di cui ci parla sempre la lettera agli Ebrei dunque non è quella in un Gesù distante, ma in Colui che ha preso parte alla debolezza delle nostre forze e così ci ha trasmesso la potenza del suo amore.

Questa è la speranza del futuro che Gesù alimenta, non l'affermazione di sé a scapito del prossimo che provoca a indignazione e rifiuto, ma il dono della vita che raduna una comunità solidale e la fa crescere in maniera sana e ordinata.

 

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