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TESTO Donne e bambini

Marco Pedron   Marco Pedron

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/10/2009)

Vangelo: Mc 10,2-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 10,2-16

2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Siamo nel capitolo 10 di Mc. In questo capitolo Gesù ammaestra i suoi discepoli su vari argomenti: divorzio, matrimonio, bambini, ricchezza, regnare e servire. In tutti questi temi il centro è sempre l’atteggiamento interiore. Ciò che conta è ciò che tu vivi dentro, ciò che tu senti, ciò che hai nel cuore. Non sono tanto le regole o l’osservanza ma è il cuore che determina se tu segui o no Gesù.

In questo vangelo i farisei vanno da Gesù per tendergli una trappola.

Ai farisei in realtà non interessa la questione del matrimonio, ma vogliono avere un permesso per il loro comportamento. Invece di mettersi in discussione cercano giustificazioni. Vogliono cioè “fare giuste” le loro inique azioni.

A quel tempo in Israele era pacifico che un uomo potesse ripudiare la propria moglie. Cioè: il problema era indiscusso; era qualcosa di evidente, qualcosa su cui neppure si discuteva. Se si discuteva, se vi era diversità d’opinione non era tanto se un uomo potesse ripudiare o mandare via la moglie, ma casomai il motivo per cui mandarla via: era necessaria l’infedeltà o bastava molto meno?

Nei fatti a quel tempo una donna poteva essere cacciata per qualsiasi motivo: perché usciva con i capelli sciolti; perché scambiava qualche parola con un estraneo; perché bruciava il pasto, ecc. Insomma, se un maschio voleva, quando voleva, poteva “scaricare” la propria moglie.

Il punto era che la donna a quel tempo non aveva un lavoro proprio se non quello domestico. Così una donna cacciata era una donna destinata “alla fame”, al disonore, esposta ad ogni genere di pericoli, compreso quello di morte per fame, lei e i suoi figli. In questo vangelo allora Gesù si scontra con una mentalità diffusa e data per scontata a quel tempo. Lui si pone in maniera totalmente diversa da ciò che gli altri facevano e pensavano.

Il Dt (24,1) infatti diceva: l’uomo ha diritto al ripudio “se egli, l’uomo, ha trovato in lei qualcosa di vergognoso”. Ma se una cosa la fanno tutti o la vivono tutti non è detta che sia vera! La regola del tempo diceva così: “L’uomo può permettersi tutto, ma se lo fa la donna viene lapidata. L’uomo può ripudiare, mandare via la propria moglie, la moglie no, mai”. Ma perché non era possibile dire: “E’ lecito ad una donna ripudiare un uomo?”. Capite! D’altronde queste leggi erano fatte da maschi! La legge giustificava l comportamento dell’uomo, ma condannava quello della donna. Vi pare giusto? La questione che viene sollevata non è se è lecito ripudiare, ma se è lecito che l’uomo ripudi la donna per qualsiasi motivo. Eppure, pensavano tutti così. Era perfino legge. Era perfino accettato dalle donne! Era un comportamento ovvio per tutti.

Gandhi racconta ad esempio come egli stesso “fu sposato con una donna che non aveva mai visto prima. Nessuno ci trovava niente da dire, perché tutti erano dell’idea che si ci abitua l’uno all’altro e che l’amore, ossia, l’intesa sessuale ad un certo momento verrà da sé”. Tutti erano d’accordo su ciò. Era la mentalità del tempo. La pensavano tutti così. Ma non che fosse giusto... Non che fosse il disegno di Dio.

Perché tutti pensano una cosa, perché tutti danno per giusta o scontata una cosa, non è detto che sia vero.

Il problema dei farisei è se sia giusto agire secondo la legge o no. Se la legge, il diritto lo permette allora è giusto. Quante persone agiscono così (pensate nel mondo del lavoro, della finanza, dell’economia). Dicono: “Si può fare, perché non farlo? Lo fanno tutti, la legge lo permette, perché dovrei non farlo?”.

I farisei si giustificavano dietro la legge di Mosè: “Mosè ce l’ha permesso”. “Sì – dice Gesù – ve l’ha permesso non perché sia giusto ma perché avete un cuore di pietra”. Ve l’ha permesso perché facevate dell’amore un inferno, una alienazione, una totale inautenticità. Ve l’ha permesso per non crocifiggere delle persone. Ma non perché sia il piano di Dio.

Gesù rimanda i farisei all’intenzione originaria, al piano di Dio. E nel piano di Dio maschio e femmina sono alla pari. Dio ha creato l’uomo secondo la modalità maschile e femminile. E lo scopo dell’incontro tra uomo e donna è che lascino le loro famiglie, il loro passato, per diventare una nuova famiglia e una carne sola.

Non c’è unione fisica senza unione delle anime. Non c’è unione fisica senza unione dei cuori. Quindi vi ha permesso di cacciare le vostre mogli perché voi, che non le amate ma che invece le dominate e le trattate come oggetti, fate fare a loro una vita d’inferno. Ve l’ha permesso ma non è il piano di Dio.

Anche Gesù ammette che vi siano delle separazioni e sa che spesso il piano di Dio viene cancellato. Gesù qui non vuole stabilire una prassi: “Non divorziare”; ma si riferisce al senso del matrimonio: “Il piano di Dio è che i due siano una carne sola, cioè un’unione di cuori, di anime, di corpi, di vita, in reciprocità (maschio e femmina), dove nessuno domina e nessuno è superiore”.

Le parole di Gesù, quindi, non hanno nulla a che fare con la prassi ecclesiastica per la quale i divorziati non possono risposarsi.

Con queste parole, invece, Gesù si schiera contro il capriccio maschile e a favore dei diritti delle donne. Gesù si scaglia contro il potere maschile esercitato sulle loro donne, un potere ritenuto naturale, ovvio. Divorziare, diritto solo maschile, era esporre la donna ad una fine e ad una vita miserabile. Pronunciando queste parole, allora, Gesù sta facendo, per quel tempo, un atto davvero rivoluzionario. Gesù dà dignità e diritti alle donne, e non ne avevano a quel tempo! Gesù pone la donna sullo stesso livello del maschio: cosa incredibile per quel tempo! Anche per questo le donne lo amavano. Si sentivano considerate, accettate. In lui trovavano dignità, fiducia.

D’altronde a noi pare scontato ma le donne, pensate in Italia, hanno iniziato a votare solo in questo secolo! La violenza sulle donne, in questa nostra società del 2000, uccide più del cancro e più degli incidenti stradali. Un miliardo di donne, cioè una su tre, sono picchiate o stuprate o mutilate o assassinate per mano del marito, del fidanzato, di un familiare o di un amico. Le donne che hanno subito mutilazioni genitali sono più di 120 milioni. In India nel 1998 sono state bruciate almeno 6000 donne per questioni di dote. In Russia l’anno successivo ne sono morte 14.000 per violenza domestica. Negli Usa viene violentata una donna ogni 90 secondi. In Italia sono 715 mila le donne che hanno dichiarato di aver subito uno stupro o un tentato stupro nel corso della loro vita.

Mark Shagall, un grande pittore ebraico vide questa scena. Con loro viveva anche il padre della moglie. Un giorno il vecchietto non finì una mela e la lasciò lì. Allora la moglie di Shagall andò su tutte le furie con suo padre e gli brontolò. Il loro figlio di sei anni prese il pezzo di mela, lo avvolse in una carta e lo mise via. Sua madre gli disse: “Che fai figliolo?”. “Lo tengo per te mamma, quando anche tu sarai vecchia!”. Uomo o donna, ricco o povero, giovane o vecchio, bianco o nero, cristiano o musulmano, siamo tutti alla pari, abbiamo tutti la medesima dignità. Ma oggi come ieri il messaggio di Gesù è attuale.

Un giorno Alessandro Magno incontrò il filosofo Diogene e gli disse: “Che cosa stai guardando Diogene”. Il filosofo stava guardando un cumulo di ossa: “Non riesco a vedere o mio signore la differenza fra le ossa dei vostri ricchi padri e quelle dei miei poveri padri”.

George Orwell, nel libro 1984: “Tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”. C’è ancora chi si considera il “sesso forte”. Ma quanta insicurezza e debolezza vi dev’essere in chi ha bisogno di considerarsi “forte”? Nessuno è meglio dell’altro: stessa dignità per tutti!

Gesù rimanda a Gn 1,27 dove si dice che Elohim (Dio) creò l’Adam (umanità non sessuata) a sua immagine, a immagine di Elohim lo creò, maschio e femmina (due sessi differenziati) li creò”.

Dobbiamo notare il passaggio dal singolare al plurale: l’uomo e la donna insieme sono immagine di Dio. E se dai due vocaboli ish (‘js-uomo) e ishà (‘sh) prendiamo la differenza (j e h) abbiamo l’inizio del tetragramma divino (jhwh). E’ nell’unione della differenza che Dio si rende presente.

Tutto ciò non è una pura speculazione linguistica ma è fondamento di ogni rapporto uomo-donna. Non per niente la donna è l’altro lato (il termine tradotto con “costola” da cui la donna è tratta dall’uomo indica in realtà l’altro lato o l’ombra) dell’uomo e viceversa. L’uomo deve confrontarsi e integrare l’altro lato per essere veramente se stesso e così per la donna.

Ed essere uno non è fondersi, uni-formarsi, fare le stesse cose, ma è l’unione (la comu-unione, l’alleanza) dell’uomo con l’altro da sé e della donna con l’altro da sé. Questo è il progetto di Dio. Questo vuol dire che le singole identità non si possono confondere. Il maschio deve fare il maschio e la donna dev’essere donna. Non si possono interscambiare. Aiutarsi non vuol dire che questa cosa che la faccia io o tu sia lo stesso.

Pensate nell’educazione dei figli: il papà non può essere la mamma e la mamma non può essere il papà.

La donna è colei che c’è, che avvolge, che custodisce, che ama, che protegge. La donna ama proteggendo, tenendo il piccolo tra le braccia: “Stai qui perché ci sono io che ti proteggerò da ogni male”.

L’uomo maschio è colui che fa', che costruisce, che butta fuori, che si espande nel mondo esterno. Il padre ama autonomizzando: “Adesso è ora che ti stacchi da tua madre e che cammini con le tue gambe”.

La madre è la casa: “Stai qui, qui sei al sicuro, qui c’è qualcuno che ti proteggerà sempre e in ogni caso”. La madre dice: “Qualunque cosa ti succeda, io ci sarò, non ti preoccupare”. Se non ci fosse la madre il figlio si sentirebbe perso, disorientato, in balia di un mondo troppo grande per lui. Lei è il suo rifugio.

E se una madre è troppo presa dal suo lavoro? Se è una donna in carriera? Come crescerà quel figlio? Non crescerà senza radici, senza sostegno emotivo, senza “piedi”, senza fiducia in sé e nella vita? E se una madre gli dà tutto a suo figlio ma non riesce ad emozionarsi con lui, non riesce a giocare con lui, non riesce a stupirsi, a ridere, a piangere con lui; se una madre non riesce a trasmettergli l’intensità dei suoi sentimenti d’amore, d’affetto, d’avvolgimento, non si sentirà abbandonato o solo quel bimbo?

Anche la madre richiama alle regole, ordina e sgrida. Ma il compito di mettere il figlio davanti alle proprie decisioni, alle proprie responsabilità e alla gestione della propria libertà spetta al padre.

Il padre è la direzione. Il padre è colui che dice al figlio: “Non puoi startene sempre in casa. Fuori, diventa te stesso e fatti la tua vita”. Il padre insegna la libertà, il rapporto con il trascendente e i valori. Anche il padre è affettivo (guai se non lo fosse!) ma il suo compito è quello di sottrarre il figlio dalla madre perché faccia la sua strada. Il padre inserisce nella società il figlio e lo costringe a confrontarsi con gli altri suoi pari. Il padre insegna le regole, il confronto e il rispetto degli altri. E’ lui che lo porta alla scuola materna; è lui che lo porta nei gruppi sportivi perché il padre gli insegna l’autonomia, l’arrangiarsi, il dover affrontare i pericoli e i rischi della vita.

E se il padre è sempre al lavoro? E se l’unico valore è produrre? E se il padre non interviene mai per non inimicarsi i figli, perché visto che c’è così poco teme di perdere la loro approvazione? E se il padre non ha valori? E se il padre ha paura o non è autonomo o è un’appendice della madre? E se non sa rapportarsi, come cresceranno quei figli? Non cresceranno senza timone, senza direzione, dove li porta la corrente?

Allora in casa non ci devono essere confusioni: il papà è il papà e la mamma è la mamma, c’è differenza.

Poi c’è questa frase che ci incute paura: “L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”. “Questo è il progetto di Dio, questo è ciò che all’inizio Dio aveva pensato. Non allontanatevi da questo progetto, mai. Non separate mai il rapporto tra due persone dall’amore e dalla relazione”. Rimandando all’inizio Gesù rimanda all’essenziale, al centro, al senso profondo del matrimonio, a come Dio l’ha pensato e voluto. Allora: “L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto” non è un monito, un avvertimento terribile, una minaccia. Vuol dire semplicemente: “Se vengono meno le condizioni essenziali, prime, il matrimonio si scioglie”. I due possono anche stare insieme ma non c’è più linfa', vita, che scorre nel loro albero.

La fedeltà non è tanto non fare qualcosa. Ridurre la fedeltà a non tradire l’altro è banalizzarla. La fedeltà non è solo “stare insieme”, non separarsi. Questa è la fedeltà negativa: non tradire l’altro, non fare alcune cose. Ma la fedeltà di Dio non è non fare qualcosa, ma vivere un valore, qualcosa di grande, di vivo.

Quante coppie sono fedeli nel corpo ma non nel cuore. Stanno insieme, ma non sono insieme, non sono unica carne, un unico spirito, una relazione d’amore. Si sono adattate, sgonfiate, rinchiuse; sono in preda alla paura, alla routine. Non c’è più respiro nel loro rapporto. La fedeltà non può essere solo “non fare questo o quello, non trattare male, non picchiare”.

La fedeltà è un valore e tutti i valori denotano una positività (se non che valori sono!). Il problema dei rapporti non è di stare insieme sempre (indissolubilità giuridica) ma di tenere vivo l’amore. Se si terrà vivo l’amore si starà sempre insieme (indissolubilità dell’anima) in un rapporto profondo, intenso.

Essere fedeli nell’amore è molto di più che essere fedeli nel corpo. A volte mi è difficile raccontarti quello che ho dentro, perché mi vergogno, ma voglio esserti fedele. A volte mi è difficile non dare per scontato il mio amore: non te lo dico, non dimostro, me ne dimentico. A volte mi è difficile fermarmi e guardarti negli occhi e guardare il tuo animo e ciò che sei dentro. A volte mi è difficile ascoltarti, soprattutto quando ce l’hai con me, o quando sono stanco. A volte mi è difficile parlare di certe cose: la nostra sessualità, i miei e i nostri problemi, le incomprensioni; preferirei tralasciare. A volte mi è difficile vincere la pigrizia e portarti fuori ad una pizza, al cinema, a fare una passeggiata. A volte mi è difficile dire di “no” a me per dire di “sì” a noi. A volte mi è difficile non pretendere l’impossibile da te o quello che tu non mi puoi dare. A volte mi è difficile accettare che tu mi dica di “no”. A volte mi è difficile rendermi conto che non sono mi ancora staccato da mia madre e che ti confronto a lei. A volte mi è difficile parlare di questioni spinose, sapendo che se sto zitto mai tu le saprai. A volte mi è difficile sentire che ti amo e commuovermi per te, perché mi dico “che non ho più l’età per certe cose”. A volte è difficile non scaricare su di te le tensioni che accumulo altrove. A volte è difficile arrivare ad un compromesso tra i miei bisogno e i tuoi. A volte è difficile vedere che tu hai ragione e che io sbaglio. A volte è difficile accettare che si ha bisogno di aiuto altrimenti la fiamma dell’amore lentamente ma inesorabilmente muore.

Eppure tutto questo è fedeltà; tutto questo è amore. Tutto questo è creare rapporti, veri, solidi, sinceri, trasparenti, dove ci si da e ci si riceve. Non è l’unione che genera l’amore, ma è l’amore che genera l’unione.

Alcune coppie non si sono mai tradite fisicamente ma ogni giorno si tradiscono con il loro silenzio, con le loro dispute e le loro lotte di potere, con l’allearsi con i figli contro il partner, con strategie manipolatorie molto fini, implicitamente accordandosi che i problemi è meglio non toccarli.

Un giorno un uomo andò “nero” dal maestro: “Maestro ho scoperto mia moglie con un altro uomo!”. E il maestro: “Certo, era stanca di essere senza un uomo!”. Se tu non ci sei, se tu non sei fedele nell’anima, nell’aprirti, nel coinvolgerti, nel metterti in gioco, non ti lamentare il giorno in cui lei ti tradirà perché tu lo stai già facendo.

Dopo il discorso sul matrimonio a Gesù portano dei bambini. Forse è un caso o forse no, ma la collocazione di questo brano posto qui dopo il discorso sul matrimonio ha già un senso profondo: quando non va tra merito e moglie chi ne rimette di più sono sempre i figli.

Il bambino qui non è l’immagine della purezza ma della fiducia totale. Sentirsi bambini vuol dire, per Gesù, sentirsi tra le braccia della vita, protetti, amati e al sicuro. Non c’è da aver paura lì dentro, non c’è da temere fra le sue braccia; lì si è a casa, lì non c’è nulla da dimostrare perché lì si è accettati solo per il fatto di esserci, di esistere. Lì si può essere quello che si è.

Ma per sviluppare questa fiducia radicale nella vita, la fiducia che si è amati, che non c’è da aver paura, che andiamo bene così come siamo al di là di ciò che facciamo o conquistiamo, ci vuole un duro cammino. E’ tutt’altro che un atteggiamento infantile: è essere psicologicamente “adulti”.
Ogni giorno noi viviamo questo brano del vangelo.

C’è il bambino che vuole vivere: il bambino è la parte vulnerabile della mia vita, la parte che sente, che vive, che si lascia andare, che s’abbandona. E’ la parte autentica, è quella che vive.

Poi ci sono i discepoli (come figura archetipa): i discepoli sono i nostri divieti. I discepoli stabiliscono ciò che è bene e ciò che è male, ciò che bisogna fare e ciò che non bisogna fare; ciò che è buono e cattivo. I discepoli vogliono limitare la libertà, la creatività, la gioia del bambino. I discepoli hanno paura della vita, del fluire e dell’intensità del bambino e lo tengono lontano. I discepoli cercano di contenere la vita perché troppo pericolosa.

I discepoli sono tutte quelle voci terribili che ci impediscono di viverci ciò che siamo: “No; questo no!; questo non è bene!; alla tua età?; non ti vergogni?; nascondi questo; non farti veder così!”.

Ma poi, per fortuna, c’è anche Gesù, la parte sacra in me, la parte divina, vera, che accoglie, accarezza e abbraccia il bambino.

Il mio bambino vuole divertirsi e giocare: avrei voglia di farmi una partita di calcetto o di biliardo con gli amici; di andare una sera al cinema o semplicemente di passare una sera a giocare a carte. Allora intervengono i discepoli: “Sei grande, sei adulto, non ti vergogni di voler ancora giocare alla tua età? I grandi non giocano, i grandi fanno le cose serie e “da grandi”. I discepoli non mi permettono di vivermi il piacere del gioco; fosse per loro ci sarebbe sempre da fare, sempre da lavorare, sempre da pensare agli altri e mai tempo per il piacere di vivere.

Per fortuna che c’è Lui, Gesù, che accoglie il mio bisogno: “Ma gioca, divertiti, canta, ridi, sorridi, divertiti, lascia che la gioia della vita pulsi, viva e scorra in te. Non temere d’essere felice e di divertirti”.

Il mio bambino ha bisogno di ascolto: sento di aver bisogno di una “mamma”, di qualcuno che mi ascolti, a cui confidarmi, a cui aprire il mio cuore, a cui raccontare tutto, a cui non tenere nascosto niente. Ma i discepoli dicono: “Tienti tutto per te; chi fa per sé fa per tre; fidarsi è pericoloso, si può essere feriti o traditi; fidarsi è pericoloso, si può essere giudicati o presi in giro; se nessuno sa, nessuno ti può giudicare; se ti tieni tutto per te, terrai la tua bella immagine”.

Per fortuna che c’è Lui: “Vieni qui da me: a me puoi raccontare tutto. Io non ho paura di quello che tu hai dentro, qualunque cosa sia o tu abbia fatto. Con me puoi aprirti, anche se hai paura, anche se temi di vederti veramente per quello che sei”. E Lui mi abbraccia e mi dà la forza di aprirmi perché sono io che temo ciò che ho dentro e non Lui; sono io che mi chiudo perché mi giudico, perché penso che Lui non potrà perdonarmi, che Lui non potrà accettarmi, e non Lui.

C’è un uomo di quarant’anni a cui è morta la madre. Il padre era morto quand’era giovane. La madre per lui era tutto. In realtà, anche se si è sposato, lui non si è mai veramente distaccato da lei. Lei aveva bisogno di lui e a lui sembrava di abbandonarla se non correva sempre lì da lei. Adesso che è morta sta vivendo le pene dell’inferno. Non vuole parlarne con nessuno. Il dolore che ha dentro è l’ultima cosa che le rimane di lei: se ne parla ha paura di perderla. Ma così non potrà mai ritrovarla dentro di sé e nella propria anima. Lui dice: “Nessuno mi può capire! Nessuno sa cosa provo io!”; “No amico è che tu hai una paura folle”.

Il mio bambino ha bisogno di coccole, di contatto, di carezze, di ricevere, di baci. Allora intervengono i discepoli: “Alla tua età? Hai quarant’anni e hai ancora bisogno delle tenerezze e degli “struccotti”? Ma non ti vergogni? Pensa a cosa più serie? Sei grande!”.

Per fortuna che c’è Lui: “Tutti abbiamo bisogno di tenerezza: l’importante è ammetterlo e non sentirsi così superiori da credere di poterne fare a meno. Vieni qui da me, ti abbraccio io”. A volte quando prego mi sento proprio avvolto dalle sue mani calde e forti.

E permetti a chi ti è vicino di accarezzarti, di farti “le coccole”; metti giù la maschera del forte, di chi ne può fare a meno (bugia!) e ritorna ad essere il bambino che ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lui, il bambino che ha bisogno di ricevere. Ti è difficile eh!

So che preferisci aiutare tutti che ricevere un po’ di tenerezza. Perché ricevere amore ti mette nella condizione di ricevere, di aver bisogno: ti fa sentire vulnerabile e debole, e tu preferisci sempre controllare e non scoprirti.

Molte persone sono vogliono essere realmente amate. Se si lasciassero amare, coccolare, l’amore trapasserebbe la crosta difensiva e andrebbe a toccare il dolore, il bambino perso e disperato, il fiume di lacrime che hanno dentro. Allora, per sicurezza, è meglio stare alla larga da tutto questo. E’ che, facendo così, immersi nell’amore rimangono senza amore.

Alcune persone non si faranno mai abbracciare: chissà che mancanza, vuoto d’amore c’è dentro. L’amore, ricordatevelo, è pericoloso perché vi farà sentire bambini, dipendenti, esposti.

C’è un uomo che è un pezzo di ghiaccio. Quando lui era piccolo sua madre è andata a lavorare già a tre mesi. Quando lui piangeva c’era la baby-sitter e se c’era la madre non aveva tempo per lui. Così non ha più pianto (con grande orgoglio della madre che ha detto: “Vedi come si educano i figli”!) ma in realtà il suo cuore si è spezzato. In realtà non prova più niente. Per non soffrire ha deciso di chiudersi. Un uomo così è impossibile d’amare: una donna vive un inferno con un uomo così perché non si apre. Se tu provi ad abbracciarlo lui si irrigidisce. E’ ovvio non può permettersi l’amore, troppo pericoloso: potrebbe far emergere quel bambino disperato che cerca ancora le braccia della madre che si rifiuta a lui. Un uomo così ha bisogno assoluto d’amore ma è la cosa che più rifiuta al mondo: troppo dolorosa!

Una suora mi ha scritto: “Io lo so che nel mio ruolo e nella mia condizione non dovrei averne bisogno, so che non dovrei neppure sentire certe esigenze, ma io ho così bisogno di carezze e di coccole! Ma sono suora, ti immagini se mi facessi accarezzare da qualcuno...”. Gesù le direbbe: “Fallo e non ti vergognare!”.

Il mio bambino ha bisogno di piangere. Guardo un film e mi commuovo; qualche volta mi ascolto e sento commozione per la mia vita, così piccola e così bella; guardo i ragazzi della Cresima o della Prima Comunione e piango dalla gioia. Altre volte, invece, piango perché sto male, perché soffro, perché mi sento solo; piango per cose per cui non dovrei piangere (perché non hanno senso) ma siccome sono ancora piccolo o immaturo mi fanno piangere.

I discepoli intervengono: “Non farti vedere; femminuccia; hai il cuore debole; non devi piangere”. Ma per fortuna che c’è Lui: “Vieni qui e piangiamo insieme. Quante volte anch’io ho pianto!”. Piangere vuol dire sentire e finché si sente si è vivi. Chi non piange mai si è distaccato dalla propria vita. Che c’è di più “grande”, di più bello, di più vivo, che vedere un uomo che piange o si commuove?

Il mio bambino ha bisogno di attenzioni. Ho bisogno che qualcuno mi dica: “Oh, ma come sei vestito bene!; ma che bello che sei!; ma sai che sei stato proprio bravo!; ti amo; sai che sto proprio bene con te!; lo sai che sei importante per me!; è stata una fortuna incontrarti; mi piace stare con te; sei un riferimento per me; lo sai che questa cosa la fai proprio bene; ti voglio bene”.

Allora intervengono le voci dei discepoli: “Vanitoso! Narcisista! Vanesio che non sei altro! Cresci, hai ancora bisogno della conferma degli altri? Non devi aver bisogno di queste cose!”.

Per fortuna che c’è Gesù: “Vieni qui da me. Lo sai che per me sei proprio importante, che mi sei caro, che ti voglio bene; non aver paura del mio amore, permettimi di amarti e di farti sentire tutto il tuo valore”.

Tutti noi abbiamo un bisogno enorme di essere riconosciuti, stimati e apprezzati. Ma spesso quando ci fanno i complimenti, ci scherniamo o sminuiamo.

C’è una donna che è “tirata” come le veline, impeccabile, truccata e vestita sempre all’ultima moda. Quando passa non la puoi non vedere. E’ chiaro che “ha bisogno” di mostrarsi. Ma se tu le dici: “Oh, Paola, ma che bella che sei!”, lei fa un sorrisetto come a dire: “Magari fosse vero!”. Ma prenditi questi complimenti (è quello che cerchi!), non c’è nulla di male. E’ sempre meglio prendersi le cose coscientemente e con consapevolmente che inconsciamente.

Qual è il posto che più desideriamo al mondo? Qual è il posto dove stiamo meglio? Tra le braccia della mamma. Forse non quello di nostra mamma visto che non sempre erano affettive, ma tra le braccia di una madre sì. Quello che tutti noi cerchiamo sono quelle braccia, le braccia della Vita che ti avvolgono, che ti fanno sentire bello come il sole, unico come nessuno altro, vivo come non mai. Quelle braccia dove fuori ci può essere la tempesta ma lì tanto si è al sicuro. Quelle braccia che tu sai che ti proteggeranno da ogni pericolo, da ogni male, da ogni nemico per cui ti puoi abbandonare serenamente e puoi dormire in pace. Quelle braccia che sai non ti percuoteranno, non ti feriranno, non ti schiaffeggeranno, mani di cui non c’è da temere: lì non si è giudicati, lì si è solo e sempre accolti. Quelle braccia dove rifornirti di calore, di affetto, di carezze e di tenerezza finché ce ne è bisogno per poi andare nella vita e ritornare quando si è scarichi.
Vivere ogni giorno fra quelle braccia è vivere al sicuro.
Vivere ogni giorno fra quelle braccia è vivere senza paura.

Vivere quel giorno fra quelle braccia è vivere sempre nell’amore.


Pensiero della Settimana
Solo i bambini entreranno nel regno di Dio.

 

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