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TESTO Dall’ascolto di Dio la luce della verità

padre Ermes Ronchi

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (06/09/2009)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Il racconto della guari­gione del sordomuto non è il semplice reso­conto di un miracolo, ben­sì un segno che contiene quello che il Signore Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo, che ha un nodo in cuore, un nodo in gola; quello che vorrebbe realizzare con questa mia u­manità infantile e immatu­ra che non sa ascoltare e non sa dialogare.

Che io sia uomo di ascolto, innanzitutto: «sordo» infat­ti ha la stessa radice di «as­surdo». Entra nell’assurdo chi non sa ascoltare Dio e gli altri, e lascia andare a vuoto tutte le parole. Esce dall’assurdo chi impara ad ascoltare.

«E gli condussero un sordo­muto». Un uomo prigionie­ro del silenzio, una vita chiusa, accartocciata su se stessa come la sua lingua, un non-uomo.
Gesù lo porta in disparte,

per un dialogo fatto esclu­sivamente di sguardi: Io e te soli, dice Gesù all’uomo che non è ancora uomo. E sei così importante che ora le mie dita ti lavorano di nuo­vo, come un Creatore che plasmi da capo l’argilla di A­damo.

Gesù inizia a comunicare così, senza parole, con il so­lo calore delle mani, con una carezza sugli orecchi, sulla bocca. Con quel volto fra le sue mani guarda in alto e sospira. E l’uomo co­mincia a guarire.

Il mio volto fra le sue mani! E poi quel sospiro. Geme il Signore il suo dolore per il dolore del mondo, geme per tante vite che non ce la fan­no a sfuggire all’ombra del­l’assurdo, geme e fanno pia­ga in lui tutti i silenzi ostili della terra, tutte le relazioni spezzate...

E infine ecco la parola che salva: «Effatà», «Apriti», ar­rivata così fino a noi, nella lingua di Gesù, viva ancora nel rito del Battesimo.

Apriti, come si apre una porta all’ospite, una finestra al sole. Apriti come si apre uno scrigno prezioso o una prigione del cuore. Apriti

come quando cede un argi­ne o una diga o si spalanca la pietra del sepolcro e la vi­ta dilaga. Non vivere chiuso, apriti alla Parola, al gemito e al giubilo del creato.

«E comandò loro di non dir­lo a nessuno». Gesù aiuta senza condizioni. Per lui è più importante la gioia del sordomuto, che non la sua gratitudine; la sua felicità conta di più, e di lui infatti non sapremo più nulla, scomparso nel gorgo della vita ritrovata.

Il Vangelo di Marco riferirà ancora solo due altri mira­coli, la guarigione di due ciechi. Per dire: prima è l’a­scolto poi viene la luce. Solo se hai accolto in te la parola di Dio vedrai bene, capi­rai la verità di ciò che vedi, il senso di ciò che accade.

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