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TESTO Il sacrificio di Cristo: la liberazione

don Daniele Muraro   Home Page

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (09/08/2009)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Gesù nel Vangelo mette in collegamento pane del cielo e vita eterna, Eucaristia e resurrezione. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”.

Il confronto è con la manna che sfamò gli Ebrei nel deserto. Il fenomeno durò per qualche anno, fino all’ingresso nella terra promessa poi finì e in ogni caso non liberò dalla morte chi se ne era avvantaggiato. La manna era un cibo di sopravvivenza. Il pane che dà Gesù invece è una caparra di resurrezione.

Quando Gesù dice che è Egli “il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia” di certo ha in mente la morte spirituale. In seguito preciserà “e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.” Dunque chi si nutre dell’Eucaristia non smetterà mai di essere in comunione con Dio e attraverso di Lui con gli altri, neanche nel passaggio oscuro della morte, cioè al momento dell’abbandono della vita fisica. Nell’ora della risurrezione finale poi ai credenti in Cristo il corpo materiale sarà restituito trasformato e non più soggetto alla corruzione del tempo.

Gesù parla del “pane dal cielo”. Gli interlocutori di Gesù però più che guardare in alto avevano gli occhi puntati sulla terra.

A loro non fanno problema le parole sulla resurrezione, uno può promettere quello che vuole e si è liberi di crederci o no, quello che li disturba è la rivendicazione che Gesù fa di essere Dio. Tale infatti infatti è il significato dell’espressione ‘disceso dal cielo’,

Quello che Gesù afferma sta in piedi: non è la congruenza logica del discorso ad essere messa in discussione. Piuttosto gli Ebrei sono infastiditi da premesse e conseguenze del ragionamento: se Gesù può dare se stesso in cibo all’anima allora significa che Egli è Dio e che la sua maniera di fare è quella giusta.

I Giudei non rimproverano a Gesù di essere teorico o spiritualista. Egli non dà nessuna impressione di astrattezza. Piuttosto ai loro orecchi suona esagerata e presuntuosa la sua richiesta. Di Lui pensavano di conoscere tutto a cominciare dall’ascendenza, padre e madre. Egli appartiene alla loro stirpe e alla loro cultura. E mormoravano: “Come può dire: ‘Sono disceso dal cielo’?”.

Parlando in questi termini Gesù metteva in discussione la loro autosufficienza. Per avere la salvezza occorre passare attraverso la sua persona. Essi invece pensavano di potersi salvare da soli.

In seguito diranno: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. È lo stesso Gesù a portarli verso questa conclusione quando afferma: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Il discorso diventa ancora più concreto. Gesù avanza una proposta da prendere o lasciare, ma per indurre i suoi interlocutori ad accettare questo mistero Egil insiste su degli elementi già da loro conosciuti e praticati.

Gli Ebrei avevano un rito in cui mangiavano carne e Dio li visitava: si tratta della Cena Pasquale. Durante quella notte speciale si praticava un sacrificio ammazzando un agnello e arrostendolo al fuoco. Propriamente non era un liturgia di comunione, perché Dio non scendeva a prendere parte ai banchetti, come era convinzione presso i pagani.

Piuttosto fin dal principio la Cena Pasquale fu intesa come sacrificio di liberazione. In Egitto gli Israeliti non avevano un luogo sacro, né un altare. Perciò l’Esodo non dice di offrire gli agnelli uccisi a Dio, ma prescrive di adoperare il sangue per proteggere le case dal passaggio dell'angelo sterminatore. “Il Signore passerà per colpire l’Egitto, vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti; allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire.”

Il primo rito della Pasqua ebraica servì da preservazione contro il pericolo della morte fisica. Qui si aggancia Gesù: gli antenati, i padri furono salvati dallo sterminio perché si erano lasciati custodire. Ora la protezione contro il pericolo viene da Lui stesso; solo Lui è capace di liberare dalla morte spirituale, quella eterna.

È come se Gesù dicesse: il vostro rito consueto fin qui è servito in preparazione al nuovo rito che Io istituirò: quello dell’Eucaristia.

La manna, che non era un cibo non appetitoso ma di ripiego, aveva permesso agli Ebrei di sopravvivere fino all’ingresso nella Terra promessa. Allo stesso modo il sacrificio dell’agnello nella Pasqua ebraica non ha più senso con l'apparire della realtà che esso anticipa, l'offerta di se stesso agli uomini da parte del Figlio di Dio.

Questo è veramente un grande mistero, da accogliere con generosità di cuore e semplicità di fede. Gli Ebrei fecero fatica e molti di loro rifiutarono il dono di Dio. Per loro la Pasqua, cioè il passaggio alla libertà dei figli di Dio, non più schiavi del male, rimase a metà.

Anche noi per godere del mistero dell’Eucaristia dobbiamo fare un passaggio, da una mentalità umana all’accettazione della persona di Gesù uomo e Dio e del suo dono. Solo Lui è la nostra salvezza.

 

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