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TESTO La sapienza che si fa pane

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/08/2009)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Anche nella liturgia odierna si insiste sul concetto di Gesù pane di vita, ma questa volta il discorso assume connotati molto più consistenti. Osserviamo in primo luogo come il libro dei Proverbi (I Lettura) si incentri sulla Sapienza che, intraprendente e dinamica, “si è costruita la casa... ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola.” Poi invita: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato.” E ammannisce una tavola di ricche vivande alla quale sono invitati tutti gli uomini di tutti i tempi, che vivono la profondità del convito divino che raduna, riunisce nella comunione, libera e salva.

La Sapienza nell’Antico Testamento era innanzitutto prerogativa umana come capacità di agire cercando sempre Dio e salvaguardando se medesimi dal male; era caratteristica dell’uomo saggio che sapeva guardare il mondo e la vita sotto l’aspetto della volontà del Signore, mettendo in atto ogni cosa nella consapevolezza di realizzare la chiamata divina. Successivamente, dopo attenta riflessione, essa viene identificata anche come una qualità del Dio vivente, un dono o una prerogativa che scaturisce dallo stesso Signore e che Questi elargisce agli uomini a piene mani (Sir 1 – 3): essa è la presenza di Dio nell’anima dell’uomo, il dispiegarsi delle opere divine nel mondo soprattutto nel processo della creazione e l’intervento pronto e mirato di Dio a favore del singolo e della collettività; essa viene descritta come organizzatrice di un banchetto di sontuose vivande i cui elementi irrinunciabili, di spicco, sono il pane e il vino. In questi due alimenti la sapienza mostra di voler offrire il meglio delle vivande agli uomini e se è vero che nella Bibbia il banchetto è sinonimo di salvezza e di comunione gioiosa con il Signore, nel pane e nel vino tale assunto di festosità piena ha la sua massima configurazione: mangiando il pane e il vino della Sapienza, si vive la piena comunione con Dio e si realizza l’adempimento dei propri desideri e il raggiungimento delle promesse. La Sapienza di Dio è apportatrice della gioia e della salvezza perenne simboleggiata da un pasto di vivande consistenti che tuttavia non sarebbe lauto se mancassero pane e vino. Sempre la Sapienza invita l’uomo alla partecipazione attiva a questo atto di comunione commensale soprattutto nell’esortazione ad evitare la Follia, il male e la deprezzabile dispersione morale dell’uomo.

Il Nuovo Testamento identifica la Sapienza con Cristo: secondo Paolo egli infatti è per noi “sapienza, giustificazione e redenzione” (1Cor 1, 30) nonché sapienza che non appartiene a questo mondo (1 Cor 2, 6); Cristo è per l’apostolo “potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 23 – 24), ma è soprattutto Giovanni che accomuna le caratteristiche della Sapienza dell’Antico Testamento con il Verbo fatto uomo poiché il Padre manifestandoci il Figlio Parola fatta carne ci rivela la sua bontà, magnanimità e la sua sapienza. Cristo è la Sapienza del Padre, che non soltanto si è costruita una casa, ma che ha voluto abitare e interagire con gli uomini “ponendo la sua tenda “ in mezzo a tutti noi.

Sempre Cristo invita ancora una volta tutti quanti al banchetto della gioia e invita ciascuno a mangiare il pane e bere il vino, identificando questa volta egli medesimo con questi due elementi: “io sono il pane vivo disceso dal ciel... chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Nella mentalità dell’Antico Testamento era aberrante che si potesse pensare alla consumazione del sangue durante un pasto e il “mangiare la carne e bere il sangue” poteva avere sentore di antropofagia; ed è per questo che un simile modo di rivolgersi da parte di Gesù desta subito scalpore e disorientamento. Eppure Gesù si mostra molto esplicito e risolutivo quando associa la sua carne con il “pane” e il suo sangue (sia pure in un secondo momento) con il vino: Egli vuole dire innanzitutto che il nostro “nutrimento” di lui deve consistere nell’immedesimazione e nell’accoglienza piena del suo mistero, nella nostra configurazione a lui e nell’assunzione che di lui facciamo in tutti gli ambiti della vita, ma nell’espressione “mangiare la mia carne e bere il mio sangue” si riscontra anche l’invito diretto e perentorio alla consumazione del suo corpo sotto le specie del pane materiale e quindi si fa riferimento immediato all’Eucarestia. Con questo sacramento, nel quale Gesù presenzia inqualificabilmente sotto le apparenze del pane e del vino ripresentando la tragicità dei momenti del suo sacrificio sulla croce, noi siamo invitati al banchetto lauto e cospicuo della vita nell’assunzione del pane e del vino che allietano e risollevano per sempre e siamo avvinti dalla forte presenza coinvolgente di Cristo Sapienza eterna del Padre.

In questi versetti giovannei si completa il senso delle affermazioni quanto a Gesù Cristo pane vivo disceso dal cielo e si rende esplicito il nostro atteggiamento nei suoi confronti che è quello della fiducia e dell’accoglienza, dell’apertura e della libera assimilazione senza riserve, della coscienza piena nell’assimilazione spontanea di Gesù che va preso come centro totalizzante prioritario della nostra vita; ma anche quello della nutrizione materiale del Sacramento, che garantisce le possibilità suddette.

 

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