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TESTO La purificazione - 3

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (05/07/2009)

Vangelo: Mc 6,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,1-6

1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

A uno che ha chiesto l'aiuto di Gesù e a Lui ha anche aperto il cuore chiedendo perdono delle proprie colpe, che cosa resta da fare? Gli resta solo di seguire il suo Maestro; ma a questo punto, prima di incamminarsi seriamente dietro al Signore, si rende necessaria l'ultima purificazione, ossia quella di cambiare le proprie idee.

Si tratta della conversione della mente, altrettanto necessaria quanto la conversione del comportamento.

Le convinzioni a cui siamo più gelosamente attaccati spesso altro non sono che giustificazioni dei nostri comportamenti. Quindi finché uno non ha corretto le proprie azioni, non può migliorare nemmeno il proprio modo di pensare.

Ma quando uno si è impegnato seriamente nello sforzo di vincere se stesso e fare il bene allora, nel momento di interrogarsi su quello che è giusto, proprio lì nascono i problemi.

È tanto difficile stabilire che cosa sia valido e che cosa sbagliato, che il più delle volte si lascia perdere. È successo così anche a Nazaret, con Gesù.

Il "falegname, il figlio di Maria" fu una persona rispettabile finché rimase dentro i limiti della normalità e diventò un problema, quando incominciò la sua missione di profeta.

Fino ai trent'anni Gesù aveva lavorato come tutti e nessuno aveva niente da dire, la sua persona invece diventa motivo di scandalo da quando parla e agisce in qualità di Salvatore.

Nessuno gli contesta le parole di sapienza, e nemmeno i miracoli, ma la gente del suo paese non riusciva a capire che cosa c'entrava questo con il suo modo di fare di prima. La conclusione fu che, almeno per quella volta, non se ne fece niente.

Guardando alla mentalità delle masse si può riscontrare una strana tendenza, dare fiducia a chi non la merita, ma sa approfittare della credulità e invece sospettare di chi è bene intenzionato, capace, ma non sa fingere.

Con Gesù capitò così: la folla urlante chiese libero Barabba che era un brigante e mandò a morte il suo vero Re e Salvatore.

Di questo destino di rifiuto e opposizione Gesù esperimenta un anticipo a Nazaret, in quella che considerava la sua patria, sede dei suoi affetti e dei ricordi più belli. Egli stesso commenta_ «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».

La conseguenza è che nel villaggio di provenienza Gesù non può compiere nessun prodigio, salvo dice l'evangelista qualche rara eccezione. E subito è costretto ad andarsene, veloce come era arrivato. A motivo del trattamento ricevuto egli non interrompe la sua missione, ma non può non meravigliarsi dell'incredulità con cui era stato accolto.

Prima di Gesù la stessa sorte di disprezzo e ripulsa era toccato a quasi tutti i profeti dell'Antico Testamento. La prima lettura ce ne offre un esempio in Ezechiele. Nel momento stesso in cui lo chiama, Dio lo avverte: "Io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me..." Ma, "ascoltino o non ascoltino... sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro."

Le letture di oggi ci insegnano che per essere cristiani autentici non basta non far niente di male, e non è sufficiente solo far del bene, occorre essere apposto anche con le idee, ossia credere nella maniera giusta.

Sarebbe stato molto più comodo per tutti che il Signore venendo sulla terra avesse fatto agli uomini una rivelazione per così dire da saldi di fine stagione, avesse previsto per ciascuno come gli sarebbero andati gli affari, se avesse avuto salute oppure no, insomma avesse pronosticato un futuro immediato.

La religione classica dei greci e dei romani si imperniava proprio su queste risposte che nei santuari i fedeli potevano ricevere. In cambio di un'offerta il sacerdote pagano interrogava le sorti e poi dava l'oracolo, favorevole oppure no, il più delle volte ambiguo, in ogni caso ricevuto con ossequio dei richiedenti.

Lo stesso rito si ripete oggi in maniera più banale, ma sempre a pagamento, negli appartamenti di santoni, maghi, stregoni, cartomanti, che ricevono di persona, anche su appuntamento oppure per telefono e che fanno pubblicità in televisione e sui giornali.

Questa non è la religione di Gesù. Le parole del Vangelo e in generale quelle della Bibbia sono controcorrente, non seguono l'opinione generale, anzi il più delle volte se ne distaccano e occorre uno sforzo personale per aderirvi.

Ce lo conferma san Paolo. Lui che era così pieno di entusiasmo ad un certo punto deve fare i conti con i limiti di una malattia fastidiosa. Per essere guarito da questo male, ci dice, per ben tre volte aveva pregato il Signore, ma non era stato ascoltato. Gesù gli aveva risposto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza".

Affidando le sue paure e le sue speranze nelle mani del Signore san Paolo conclude: sia nella salute che nella malattia l'importante è vivere sempre uniti a Gesù. Vicino al Signore si è forti anche quando si è deboli.

Da queste parole comprendiamo che San Paolo era riuscito a portare a termine il cambiamento di mentalità a cui accennavo in apertura. Questa trasformazione per san Paolo non fu senza fatica, ma nemmeno senza merito.

Anche per noi il cambio delle idee e delle aspettative, in una parola il cambio del modo di guardare alla vita, è altrettanto necessario di un comportamento moralmente buono, altrimenti rischiamo di perdere quello che c'è di più bello nella nostra fede, ossia il rapporto personale con Gesù.

 

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