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TESTO La missione di Mosè

don Romeo Maggioni   Home Page

VI domenica dopo Pentecoste (Anno B) (12/07/2009)

Vangelo: Mt 11,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,27-30

27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Il libro dell’Esodo, il secondo della Bibbia, è chiamato il “vangelo del Primo Testamento”; in esso sono narrati fatti storici avvenuti nella vicenda dell’antico Israele, ma letti dalla Scrittura come prefigurazione di ciò che avverrà in pienezza col nuovo Israele e il nuovo Mosè, cioè il Messia, Gesù di Nazaret.

In più, questi episodi sono presentati come emblematici delle tappe e dello stile con cui Dio opera la salvezza col suo popolo di sempre: una liberazione, per mano di un suo inviato, una alleanza, la prova del deserto per giungere alla terra promessa di felicità e di vita che è la vita eterna del paradiso.

Leggiamo l’Esodo e Mosè pensando al Cristo.

1) IL NOME

Per segni, anzitutto, Dio rivela qualcosa della sua identità: il roveto ardente che non si consuma, il rispetto richiesto per il luogo santo (“Togliti i sandali”), la dichiarazione di un legame antico (“Il Signore, Dio dei vostri padri”) e infine la rivelazione del nome misterioso. Il roveto allude alla perennità di vita di Dio, al suo bruciare vitale, segno di un amore incandescente (ricordiamo: “Dio è amore”, 1Gv 4,8.16), e insieme alla trascendenza, e quindi invito all’adorazione. Il “Dio dei padri” allude ad un disegno antico di Dio sull’uomo per chiamarlo, già dai tempi di Abramo, ad una alleanza, frutto di una sua iniziativa di salvezza per farsi un popolo che gli appartenga. Infine il Nome: Io sono Colui che sono.., cioè Colui che scoprirai esserti vicino e liberatore coi fatti che mi vedrai compiere in mezzo a questo popolo!

“Ho osservato la miseria del mio popolo, conosco le sue sofferenze, ..e sono sceso a liberarlo”. Questa è l’opera di Dio: una liberazione e una salvezza; e a Mosè affida la missione. “Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me”. Non diciamo mai che Dio non sa: sente sempre il grido del povero che a lui si rivolge; ma la sua onnipotenza si slega solo al grido d’aiuto di una preghiera fiduciosa. “Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo”. L’agire di Dio passa dentro la storia: per intermediari, per eventi all’apparenza comuni, addirittura attraverso anche fatti negativi, quali possono essere le colpe degli uomini, per.. scrivere dritto anche sulle nostre righe storte!

I mezzi e lo stile di Dio sono però .. così diversi dai nostri! “Chi sono io per andare dal faraone?” E più avanti, sempre titubante e restio, dirà: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore. Manda chi vuoi mandare!” (Es 4,10.13). Mandane un altro, io non me la sento! Mosè s’era già buttato con entusiasmo giovanile a liberare il suo popolo.., ma per iniziativa sua, forse con spavalderia personale; ed era fallito. Ritiratosi a vita privata, ora non credeva più a grandi imprese né presumeva più di sé. E’ proprio qui che Dio lo chiama, ma per agire a nome e con la potenza di Dio: “Va’, Io sarò con te!”. Dirà san Paolo, proprio parlando delle imprese di Dio: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono (nel caso, la potenza d’Egitto), perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 2,27-28). Perché cioè si veda che l’opera è tutta di Dio e non risorsa umana.

2) IL FIGLIO

Il nuovo Mosè, che è Gesù, si presenta anzitutto come il rivelatore pieno del Padre: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). Tutto il vangelo di Giovanni presenta Gesù come l’incarnazione del Dio invisibile, resosi visibile in quel suo Figlio, fino giungere costui a dire: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9 ), perché “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Al tempo stesso dichiara esplicitamente di fare tutto e solo quello che il Padre gli ha detto, e agire per sua delega e sua forza: “Tutto è stato dato a me dal padre mio”. In lui siamo venuti a conoscere ben oltre il Nome di Dio; addirittura svelandoci la Sua vita più privata, quando Gesù ci ha parlato della Trinità e del suo progetto sull’uomo di chiamare ognuno a farvi parte.

“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò”. Ritorna qui il medesimo termine: ‘oppressione’. Di Gesù si dice: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36). Ben pesante è la schiavitù dell’uomo di fronte alla morte, alla fragilità della sua volontà di bene, alla poca coscienza del senso vero della sua vita e all’incertezza della suo destino; senza parlare dei mali e dei guai del vivere sociale, e degli imprevisti e delle sofferenze della vita quotidiana. E magari anche delle schiavitù fisiche e delle illibertà che abitano ancora molta parte del nostro pianeta. L’opera di Cristo e della Chiesa si qualifica appunto in una redenzione, col far conoscere l’amore di Dio e nell’operare una promozione e liberazione nell’esercizio della carità. Cosa sarebbe il mondo senza la speranza cristiana?

Ma nello stile della debolezza e della piena confidenza nella forza di Dio. E’ stata l’esperienza anche di Paolo: “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione” (Epist.). Orgoglioso della sua missione, ma trepidante per la propria inadeguatezza al compito, e appoggiandosi solo sulla grazia di Cristo. “La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza”. Quando si lamentava col Signore, si sentiva ripetere: “Ti basta la mia grazia” (2Cor 12,9). Coraggio, io sono con te! E’ la formula della vera efficacia dell’apostolato, “perché la fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza divina”. Credere per Dio e in Dio, non per la... simpatia dell’uomo!

Anche la mansuetudine fa parte dello stile apostolico. “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Lo raccomandava san Pietro: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1Pt 3,15-16). Anche di Mosè è scritto: “Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra” (Nm 12,3). Così che appaia davvero che “il giogo del Signore è dolce e il suo peso leggero”.

 

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