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TESTO Il disprezzo di chi si ritiene più sapiente e capace degli altri

padre Antonio Rungi

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (05/07/2009)

Vangelo: Mc 6,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Celebriamo oggi la XIV domenica del tempo ordinario e il vangelo ci parla di Gesù Cristo impegnato in una speciale lezione nella sinagoga ai sapienti della sua patria. C’è chi lo ascolta e lo apprezza e chi lo rifiuta e disprezza, mettendo in discussione la sua origine e la sua possibilità di poter dire e fare qualcosa di diverso rispetto ai sapienti del suo tempo. Se c’è una nota importante e da sottolineare in questo vangelo di oggi è il fatto che Gesù metta in evidenza proprio l’essere disprezzato da chi si presume di essere migliore e più capace degli altri e soprattutto il fatto che stranamente, ma vero, in ogni esperienza umana è che questo avvenga tra i parenti, tra la gente che si conosce e negli stessi ambienti di vita quotidiana e paesana. Quante gelosie ed invidie, quante cattiverie quando una persona si afferma per capacità e merito, senza appoggi e raccomandazioni, senza alcun sostegno di nessun genere, ma tutto quale espressione di doni e carismi di Dio e di risposta cosciente e responsabile a tali doni. Il successo sociale, la carriera, la capacità di convincimento che hanno i santi, soprattutto di origini povere, contadine ci dicono come certi parametri umani, sociali, economici, politici, religiosi per valutare la sapienza, l’intelligenza, le capacità saltano davanti a chi è santo già in vita, perché profondamente immerso nella grazia e nell’amicizia di Dio.

Qui ci troviamo di fronte a Dio stesso, al Figlio di Dio che assume il ruolo, che spetta esclusivamente a Lui, di Maestro e Guida, e che parla ai presunti sapienti del suo tempo. Il Vangelo di Marco che ci sta accompagnando in queste domeniche del tempo ordinario dell’Anno B è molto efficace nell'illustrare e documentare la situazione in cui Cristo si trova ad operare in ragione della sua stessa missione di inviato del Padre. Un invio rivolto prima di tutto alla sua gente e alla sua terra. Ecco perché il testo ci riporta all’origine della missione di Cristo che è quella di partire dai vicini. Quanto sia attuale questo insegnamento lo comprendiamo da noi stessi. La prima conversione, la prima accettazione della parola di Dio deve avvenire in noi, poi deve avvenire dentro coloro che sono i nostri parenti e concittadini e poi estendersi al mondo intero. L’opera di risanamento morale, religioso parte dai più stretti collaboratori, da quelli che presumono di sapere tutto anche tra noi. I guai maggiori di un allentamento dalla fede e della repulsione verso il sacro a Dio lo riscontriamo nelle nostre famiglie ove si vive come se Dio non esistesse. Gesù parte dalla sua città e poi passa oltre. Per dire che abbiamo anche il dovere di andare oltre quando chi ci sta vicino ha già compreso ed accettato il messaggio oppure lo ha rifiutato. Non ci possiamo fermare davanti ai primi o ripetuti ostacoli. Chi non ha sperimentato nelle cose che dice la gelosia, l’invidia, la cattiveria, la denigrazione, la delegittimazione, la manipolazione? Tutti possiamo raccontare fatti e vicende personali che la dicono lunga su come è il nostro approccio umano e religioso nei confronti dei nostri simili. Le origini umili e non nobili non differenziano le capacità di amare Dio e di annunciare la sua parola agli uomini di ogni tempo. I grandi santi e testimoni di Cristo sono per lo più di origini umili, perché nella condizione di umiltà Dio meglio parla al cuore umano. La fede semplice della gente semplice è più convincente e accattivante rispetto ai grandi discorsi di alta teologia. Gesù usa il linguaggio della semplicità e ci indica la strada della semplicità per accogliere Dio e la sua parola nella nostra vita.

Un esempio ulteriore di questo tipo di insegnamento-apprendimento religioso che siamo chiamati a fare è anche il profeta Ezechiele. Nel brano della prima lettura odierna il profeta viene scelto dal Signore quale inviato ad un popolo ribelle contro Dio, sono figli testardi e dal cuore indurito. Termini ed affermazioni forti per dire come è difficile trasmettere il linguaggio della fede in un mondo immerso nelle tenebre dell’errore e del piacere. Anche se non ascoltano è doveroso comunque trasmettere la parola della verità. Nessuno può venire meno al dovere dell’annuncio della missione. Gli effetti e i risultati sono riservati a Dio, ma il profeta deve annunciare, deve parlare nel nome di Dio a costo di rischiare la vita o di essere frainteso. Quante volte sperimentiamo anche noi tutto questo. Seminiamo tanto e non raccogliamo niente dovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo. E’ evidente che non dobbiamo tanto guardare ai risultati, ma è doveroso impegnarsi e comunque annunciare. Molte persone anche nel campo della pastorale parrocchiale guardano agli effetti e ai risultati immediati che spesso sono deludenti e scoraggiano sul nascere progetti e buoni intenti. Ma bisogna avere pazienza, sapere attendere i tempi di Dio e quelli degli altri. Non tutti rispondono subito e immediatamente e non tutti sono disponibili in quel momento. La smania efficientistica e pragmatica può determinare anche nel campo della pastorale e dell’evangelizzazione quel sistema di pensiero moderno che ha come scopo fondamentale il progettare secondo criteri umani e sociologici, dimenticandosi i tempi di Dio e delle persone. Superare questa cultura non significa non avere progetti o non programmare il lavoro pastorale, ma è anche avere la coscienza che molto dipende dalla risposta personale a livello di fede e di impegno religioso individuale. Rispetto al passato oggi si sono moltiplicate le iniziative pastorali. Quali i risultati?

San Paolo Apostolo ci riporta alla realtà anche in questo discorso con quanto scrive nella sua seconda lettera ai Corinzi. Non bisogna montare in superbia in campo religioso. Ci sono persone che si vantano di tutto quello che fanno, dicono, realizzano, passano come unici, insostituibili, i primi della classe sempre e comunque, gli onniscienti e i sapienti, i competenti in tutto e capaci di tutto. Quanta illusione e quanta superbia che Dio spesso abbatte in questi soggetti con piccole grandi scrollate fisiche o altre prove della vita. Allora ci si accorge di quanto siamo tutti servi inutili e allora rinasce in noi quella volontà di incontrare Cristo davvero e di portare Cristo agli altri e non tanto la nostra persona, le nostre idee, i nostri pensieri, le nostre aspirazioni che coincidono sempre più frequentemente con la carriera, con il successo, con l’affermazione, con la rincorsa di titoli e posti anche nella comunità cristiana e nella Chiesa. Essere umili, farsi da parte, scegliere gli ultimi posti non è un dovere morale degli ultimi che già sono ultimi, ma dei primi che vogliono essere sempre i primi e non cedono di un posto perché i secondi possano almeno ogni tanto avere la soddisfazione ed il riconoscimento di quello che fanno, anche se non lo cercano, né vogliono che lo si dica. Stranamente non sempre i più capaci e più portati sono posti in determinati uffici per il bene degli altri; ma spesso per una sorta di politica pastorale, rivalse, riscatti, rivalutazioni ci si trova di fronte ad un frequente e continuo cambiamento che spesso porta il disorientamento, la gelosia, l’invidia, la contestazione, e le cattiverie, le calunnie, che e in molti casi generano il completo rifiuto della pratica religiosa.

Sia questa la nostra preghiera: O Padre, togli il velo dai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione. Amen.

 

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