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TESTO Fatti per la vita

don Marco Pratesi  

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/06/2009)

Brano biblico: Sap 1,13-15; 2,23-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 5,21-43

21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

La lettura unisce due passi alquanto distanti, che fanno comunque parte di un più ampio confronto tra giusti ed empi. Ambedue si comprendono meglio tenendo presente quanto li precede. L'affermazione "Dio non ha creato la morte" è preceduta da "non affannatevi a cercare la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani" (1,12); e quella secondo la quale "Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità" da "(gli empi) non conoscono i misteriosi segreti di Dio; non sperano ricompensa per la rettitudine né credono a un premio per una vita irreprensibile" (2,22). Questo inquadramento è importante per chiarire che cosa abbia di mira l'autore ("Salomone", cf. 7,7-11): egli intende combattere una visione del mondo e della vita - appunto quella degli empi - secondo la quale l'orizzonte ultimo della vita umana è la morte. La vita degli empi si struttura attorno al principio che "siamo nati per caso" (2,2) per scomparire nel nulla dopo un breve attimo. Mentalità magistralmente illustrata nel discorso a loro attribuito in 2,1-20 (che vale la pena leggere). A ciò il sapiente controbatte: siamo solo noi a consegnare la vita alla morte, sbagliando a impostarla (cf. 1,12). Dio infatti "non ha creato morte" (come sarebbe forse meglio tradurre il v. 13), non ha costruito la sua creazione in modo che essa porti morte, ma vita: le creature non sono portatrici di morte ma di vita, in esse non si cela alcun veleno, alcun potere mortifero (cf. 1,13-14). Diversamente, Dio non avrebbe potuto godere della sua creazione. In realtà, nessuna morte può prevalere sulla "giustizia", cioè sulla comunione con Dio (cf. 1,15). Se anche ciò sembra accadere, si tratta solo di apparenza (cf. 3,2-3). Se siamo creati da Dio a sua immagine, siamo fatti per la vita, a immagine della sua eternità. Creando, Dio ha impresso nell'uomo una tensione verso la vita, e a una vita non soggetta alla morte, vita eterna. A meno che non ci si metta dalla parte della morte, non si "faccia alleanza" con essa (1,16) e, ritenendola amica, la si chiami a regnare su noi, dandosi da fare a cercarla (1,12). Certo, si può scegliere di "appartenere" alla morte (1,16; 2,24, alla lettera "essere della sua parte"); e allora si farà esperienza di che cosa essa davvero significhi.

La morte dunque non fa affatto parte del progetto creatore, è invece risultato del cattivo uso della libertà umana. Ma non soltanto: essa è anche frutto dell'"invidia del diavolo", prodotta dall'ostilità di forze spirituali maligne, che intendono distruggere l'opera di Dio e fare della creazione precisamente il "regno dell'Ade" (1,14). Quando si sceglie il male si fa proprio il progetto demoniaco, si entra in un progetto ben più ampio, profondo e tenebroso di quel che non si pensi, abisso di cui ci si rende conto appieno soltanto quando esso ci abbia inghiottiti.

Lo Spirito di sapienza conferisce una crescente percezione della netta differenza tra le due vie. Quando essa, all'opposto, si indebolisce, talora arrivando addirittura a scambiare la vita per morte e viceversa, si è in quella che il nostro autore chiama l'"empietà". "Due sono le vie, una della vita e una della morte, e fra queste due vie la differenza è grande", così si apre un catechismo della chiesa antica (Didaché 1,1). La Sapienza ci ammonisce: "distingui bene, respingi la morte, prendi la via della vita".

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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