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TESTO Il mare in fasce

don Marco Pratesi   Il grano e la zizzania

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (21/06/2009)

Brano biblico: Gb 38,1.8-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,35-41

35In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

La breve lettura si trova all'inizio del primo discorso col quale Dio risponde alla contestazione di Giobbe riguardo al problema della sofferenza umana (38,1-40,5). Introdotto dal v. 1 (il Signore parla dall'uragano, come nelle grandi teofanie), Dio risponde facendo a sua volta domande. Il nostro brano è parte di una serie di quattro domande: la prima (vv. 4-7) riguarda la creazione della terra, la seconda (8-11, la nostra pericope) del mare, la terza (12-15) lo spuntare del giorno, la quarta (16-21) l'abisso tenebroso e la morte.

Il discorso di Dio mira nel complesso a mostrare che Giobbe - l'uomo - non ha titolo per valutare nell'insieme l'opera di Dio ed emettere un verdetto sul progetto complessivo che ci sta dietro: "Chi è mai costui che oscura il mio progetto con parole da ignorante?" (v. 2).

I quattro elementi su cui vertono le domande sembrano disposti a coppie antitetiche: terra e mare, luce e tenebra. L'uomo non ha la capacità di penetrare efficacemente la realtà né nel suo aspetto luminoso, solare, positivo, né nel suo lato scuro e negativo.

Il mare evoca per eccellenza una forza incontenibile, straripante, estranea, ingestibile, sempre sul punto di inghiottire il mondo umano e la vita. Dio però lo ha chiuso in limiti precisi e invalicabili e anzi - immagine singolare - il mare è presentato di fronte a lui come un neonato, che Dio avvolge in fasce, in questo caso molto particolari: nube e oscurità. Dio domina completamente il mare e la sua forza. Chi può dire altrettanto? "Dominare" significa afferrare e tenere in pugno, sia nel senso di comprendere che di gestire. L'uomo non ha di per sé questa capacità, e quando lo dimentica "oscura" il progetto di Dio, non in se stesso ma nella propria vita e nella propria coscienza.

Tutto ciò Dio lo ricorda a Giobbe non per opprimerlo col senso di inferiorità e imporre la propria supremazia, ma per chiedergli fiducia. L'esatta presa d'atto dei propri limiti serve per edificare il rapporto Dio-uomo su basi autentiche, veritiere. Il progetto di Dio non si limita comunque a questa pur necessaria e indispensabile umiltà, non finisce qui. Un giorno il Dio che "parla dall'uragano" si farà infante, e poi uomo che comanda al mare. Conoscienza e potenza sono sì legate, ma non come vorrebbe l'umana illusione di onnipotenza: conoscendo l'umiltà di Dio, partecipiamo al suo potere. Solo allora "sapere è potere": nell'umiltà fiduciosa il mare anche per noi diviene un neonato in fasce.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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