TESTO Commento su Giovanni 13,20
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Giovedì della IV settimana di Pasqua (07/05/2009)
Vangelo: Gv 13,20
Dalla Parola del giorno
Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù disse loro: “In verità, in verità vi dico: chi accoglie colui che io manderò accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato.”
Come vivere questa Parola?
Il gesto che Gesù fa è di estrema importanza ed è la ‘porta’ (per così dire) per comprendere il valore e il senso profondo di un atteggiamento tanto necessario (soprattutto oggi!) per realizzare una relazionalità guarita da esclusivismi, discriminazioni, pregiudizi, condanne e altro.
Gesù, il Maestro per eccellenza, si china a terra e lava quel che quotidianamente (soprattutto allora che si camminava a piedi nudi o coi sandali) s’insudicia. È un gesto tipicamente emblematico. Simboleggia una profonda umiltà e un atteggiamento di servizio. Ed è qui che la Parola oggi mi aiuta a cogliere quello che, soprattutto nella nostra epoca, è la premessa indispensabile a vivere in pace e con letizia i rapporti interpersonali, a cominciare da quelli all’interno della famiglia.
Non è forse la radice di tanti malumori quel legarsi al dito le piccole offese o incomprensioni? Non è suscettibilità orgogliosa il pretendere dall’altro che riconosca per primo di aver sbagliato? Quel disinvolto lavare i piedi sporchi dei discepoli da parte di Gesù, il Maestro per eccellenza è illuminante sulla necessità di quell’umiltà che non è mai, assolutamente mai avvilimento o misconoscimento della nostra dignità. Anzi ci fa capire che è un lasciar circolare liberamente quel venticello di grazia, di amore, di riconciliazione, di pace e di gioia che sono, in confronto dell’ACCOGLIERE L’ALTRO, come il soffio del venticello primaverile che, nel sole, dischiude i fiori.
Signore, dischiudi il mio cuore. Spaccane le durezze di orgoglio e di pretese egoiche. Fa' che scopra nell’atteggiamento del servizio un aspetto concomitante all’accogliere vivo di amore.
La voce di un dottore della Chiesa
Dobbiamo scendere dalla vanità dell'orgoglio fino all'umiltà, per elevarci di lì fino a conquistare i vertici della vera grandezza; ma questo proposito non poteva esserci ispirato in modo tanto più brillante quanto più delicato, in modo che la nostra arroganza fosse repressa non con la violenza ma con la persuasione, se il Verbo non fosse intervenuto.
S. Agostino