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TESTO Commento su Giovanni 10,11-18

don Stefano Varnavà

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (03/05/2009)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Una prima osservazione su questo brano del Vangelo è che solamente Lui, Gesù, è il buon Pastore.

Ci sono tante altre persone che si sforzano (o si sforzeranno) di agire come Gesù, ma solo Lui è il buon Pastore.

Buon Pastore: bisogna stare attenti a non abusare di questo termine. C'è una unicità in Gesù che non è possibile imitare, anche se nell'ambito della spiritualità esiste tutto un discorso sull'imitazione di Cristo, Attenzione quindi alle utopie!

Utopie date da tanti particolari, primo: Gesù dice;: "Io conosco le Mie pecore, una ad una". Noi cosa conosciamo degli altri?

Vi chiedo cosa conosce di noi il Papa, il Vescovo, un Parroco o un Prete? Questi possono solo conoscere delle nostre manifestazioni esterne, e in base a quelle cercare di interpretare. Cercano... ma non necessariamente interpretano.

Nel concetto di pastore metto anche i genitori: anch'essi, in un certo senso, sono dei pastori, ma... anche loro difficilmente conoscono i loro figli.

I genitori che pretendono di conoscere i propri figli si illudono; quando il bambino cresce è come un fiore, o meglio un alberello, il quale, in determinati momenti, o stagioni della vita, "butta fuori" cose nuove. Il bambino a tre anni ha delle manifestazioni nuove che non aveva a due; a otto anni ha manifestazioni che non aveva a sei; e così a dodici, quindici, sedici...: manifestazioni diverse, delle quali i genitori devono tenere conto.

I genitori, i superiori, i cosiddetti pastori umani, non devono avere degli schemi fissi e in base a quelli giudicare tutto: bisogna essere elastici. Una delle prime caratteristiche del pastore è l'elasticità.

Nessuno di noi può presumere di conoscere le pecorelle una ad una, quindi nessuno di noi è veramente pastore perché il vero pastore conosce ognuna delle sue pecore.

Gesù è il vero e solo Pastore perché solo Dio conosce le persone una ad una.

"Io sono il buon Pastore": Gesù è il buon Pastore e non (ripeto) il Papa, il Vescovo, il Prete..., invece esiste la presunzione di sentirsi pastori.

Sul foglietto che avete in mano c'è un discorso apparentemente secondario: "Oggi giornata mondiale delle vocazioni", invece è tutt'altro che secondario perché le vocazioni devono avere come base il concetto di pastore.

Altra caratteristica del buon Pastore è che solamente Gesù può dire: "Io offro la Mia vita per poi riprenderla di nuovo".

Quando un uomo dà la sua vita (oppure diventa vecchio) non può riprendersela di nuovo! Anche da questo vediamo che un uomo non può essere il buon Pastore.

"Io sono il buon Pastore": solo Gesù può dire queste parole; solo Gesù ha potuto offrire la propria vita e poi, dopo tre giorni, riprendersela di nuovo. Nessuno di noi risorgerà dopo tre giorni!

Quando un genitore è morto, è morto, e non può fare più niente su questa terra con il corpo: potrà agire con lo spirito, potrà agire con la preghiera... ma non potrà riprendere di nuovo la sua vita terrena, proprio come quando a una donna che genera un figlio: la vista le "cala", e... le Diottrie perse sono perse definitivamente!

"Io sono il buon Pastore": dice Gesù!

Ulteriore caratteristica del buon Pastore: "Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste Io devo condurre".

Il buon Pastore deve guidare altre pecore che non sono di "questo" ovile, invece certa gente dice: "Solo la Chiesa cattolica è il luogo dove ci si salva!", e tenta, con sforzi sovrumani, di far diventare tutti cattolici, tutti dello stesso ovile.

C'è una missionarietà sbagliata; c'è una vocazione sacerdotale o religiosa che è stata fraintesa. L'ovile non è la Chiesa cattolica, tantomeno quella romana. L'ovile di Gesù Cristo è: "Ascolteranno la Mia voce e diventeranno un solo gregge di un solo Pastore". La Sua Chiesa, la Chiesa di Gesù Cristo è una Chiesa invisibile, anche se in realtà ne esiste una visibile che Lui ha cercato di "costruire" con i Suoi apostoli e alla quale tiene.

Quando eravamo piccoli ci insegnavano che c'era la Chiesa trionfante (il Paradiso), la Chiesa purgante (il purgatorio) e la Chiesa operante su questa terra; giusto, ma C'è anche la Chiesa vera, quella del buon Pastore che va al di sopra dei nostri limiti, che va al di sopra di quello che noi vediamo. C'è una Chiesa spirituale che è data dalla carità di Cristo e non dalla fastosità esterna o dai raduni "oceanici" davanti a chi si proclama e si fa il "buon Pastore".

C'è una Chiesa davanti alla quale noi dobbiamo avere il senso del mistero, il senso dell'umiltà: una Chiesa in cui chiediamo continuamente a Gesù di essere annoverati. Ci vogliono anche i segni esterni nella Chiesa, ma se manca la carità, l'amore a Cristo e la vera umiltà non è vera Chiesa.

Gesù dice: "Io ho il potere di offrirla (la vita) e il potere di riprenderla di nuovo".

Una volta però messo a punto il discorso che il buon Pastore è Gesù, si deve ugualmente tendere alla caratteristica della pastoralità, perché ciascuno di noi, prima o poi, è pastore (anche se non il buon Pastore per eccellenza).

Quando si parla di vocazioni si parla del senso della pastoralità, del senso della paternità e maternità spirituale, o anche fisica, che ci fa assomigliare, anche in minima parte, a Gesù.

Quando si parla di giornata mondiale delle vocazioni, si parla della necessità che alcuni, in una stagione della loro vita, siano un po' pastori.

Si sente dire che le vocazioni diminuiscono...: diminuiscono apparentemente e solo perché tantissime occupazioni, tantissimi aspetti della vita dei sacerdoti (un po' meno delle religiose) sono aspetti supplementari a cui non sono tenuti né i preti né le religiose.

Certo, in un collegio dove c'è una scuola che comporterebbe un gravoso impegno di soldi per gli stipendi degli insegnanti laici, il salesiano, o altro tipo di religioso, viene impegnato tutto il giorno a fare l'insegnante...: ma questa non era la sua vera vocazione.

Se ci sono delle crisi di vocazioni nei sacerdoti e nelle suore è perché questi non riescono a fare i preti o a fare le suore essendo impegnati in tantissimi altri lavori che non hanno niente, o poco, a che fare con la loro vocazione: lavori che potrebbero benissimo essere fatti da laici stipendiati. Bisogna smetterla di parlare di volontariato: è troppo comodo; ci sono dei lavori che vanno fatti e quindi vanno pagati. Se una struttura religiosa vuole determinati servizi (supplementari, non essenziali) deve pagarli!

Il prete deve fare il prete! La suora deve fare la suora!

E' inutile continuare a "buttare" sulle spalle del prete cose a cui lui non dovrebbe pensare.

Faccio un esempio preso dagli "Atti degli Apostoli": "Noi non possiamo pensare alle mense per le vedove e per gli orfani, non possiamo fare i cucinieri perché abbiamo un impegno di apostolato, di diffusione della Parola di Dio a cui dobbiamo tener fede"; detto questo, istituirono dei "diaconi" per mandare avanti questo tipo di mansioni.

La stessa cosa vale anche per le suore: quante di loro si sentono mortificate perché la loro intenzione era quella di consacrarsi al Signore; fare la suora per diffondere il Regno di Dio, e invece si ritrovano impegnate in tantissimi altri servizi, la maggior parte delle volte, solo pratici.

Quindi, ripeto, le crisi delle vocazioni avvengono perché il prete non può fare il prete, e la suora non può fare la suora.

Teniamo poi ben presente che siamo in una società che ha perso il senso della paternità e della maternità, e lo ha perso perché non viene più sviluppato, anche per colpa dei genitori che volendo togliere pesi ai propri figli non li "buttano" nella vita. Quante donne che alla nascita del primo figlio sono "tremebonde" perché figlie uniche (non hanno mai avuto un fratellino più piccolo) e quindi inesperte. Fortunate quelle ragazze che venendo da famiglie numerose hanno dovuto accudire i fratellini più piccoli: in questo modo hanno imparato, anche se magari a volte lo hanno fatto malvolentieri... (avrebbero preferito uscire con le amiche). Io ho avuto un fratello più piccolo di me di quindici anni: i miei genitori erano impegnati tutto il giorno con il lavoro, quindi dovevo accudirlo e vi assicuro che ho imparato. Esperienza importatissima che forma un uomo o una donna!

Esperienza che toglie la paura di addossarsi delle responsabilità. Invece oggigiorno i ragazzi hanno paura a prendersi delle responsabilità!

Chi non vuole prendersi delle responsabilità non può essere pastore. Bisogna educare i giovani alle responsabilità e per fare questo bisogna lasciarli anche sbagliare.

Quando ero in Seminario, io e i miei compagni seminaristi, tutte le domeniche, con delle biciclette scassate si andava negli oratori dei paesi vicini e si faceva esperienza, e l'esperienza è ciò che fa maturare la vocazione.

Oltre a questo c'è anche una disinformazione e una diseducazione che non possono portare a una base e a una capacità di pastoralità.

Oggigiorno c'è un'impazienza giovanile e non una pazienza cristiana. Nei giovani c'è l'esigenza di avere tutto e subito; esperienza data anche dai genitori: telefonicamente ordinano la frutta e subito l'hanno... eppure il tempo per andare a fare la spesa c'è..., ma c'è anche la pigrizia! E alcuni per assecondare la propria pigrizia non guardano neanche ai conti di casa!

Perché la domestica deve andare fino al "supermercato" quando il telefono è di comodo? Perché la "signora" deve tagliare e pulire la verdura del minestrone quando questo è già pronto surgelato?

Esigenza nei giovani di avere tutto e subito; esigenza di raggiungere risultati anche solo apparenti, mentre invece il cristianesimo parla di pazienza, di politica dei tempi lunghi, anche perché non si può forzare subito tutti con la violenza.

Altro aspetto importantissimo del pastore: non essere violento.

In una società in cui l'80% dei ragazzi non trova i genitori quando torna a casa da scuola, in una società in cui le canzoni più popolari e normali descrivono omicidi, stupri e dove nei films di maggior successo ci sono "teste che esplodono" (non so se guardate i films per ragazzi), nessuno deve sorprendersi se i giovani diventano sempre più violenti. E quando un giovane è diventato violento lo si può mandare a fare il prete o la suora?

Oggigiorno c'è l'intolleranza giovanile. Quando ci si trova davanti a degli ostacoli c'è subito il sistema "barbaro" di distruggerli. Lo si vede nella vita matrimoniale: quando ci sono degli ostacoli, via... verso la separazione o il divorzio.

Questa intolleranza che è maggiormente dei giovani è stata assorbita da certi ambienti che hanno insegnato loro l'attaccamento fanatico a ciò di cui sono convinti. Anche le manifestazioni del Papa sono ricche di fanatismo..., ragazzi che lo seguono, piangono, pregano... e poi tornano a casa e sono quelli di prima. La stessa cosa avviene quando vanno ai concerti o ad altre manifestazioni...: rimangono quelli che erano, non si modificano.

Attaccamento fanatico a ciò di cui si è convinti con il disprezzo e la dimenticanza di tutto il resto: "Sono venuto di corsa per sentire la predica della Messa delle 12", e lascia la macchina sul "passo carraio" così che nessuno può più entrare od uscire. Quindi, attaccamento fanatico a certe cose e, dimenticanza e non attenzione a tutte le altre: questa non mi sembra una caratteristica cristiana.

Così pure è per l'umiltà cristiana così diversa dall'orgoglio che pretende di essere sempre in primo piano. Tante persone hanno la vocazione del "capo", mai quella dell'operaio. Tanti giovani sono disoccupati perché non accettano i lavori umili: vogliono solo i primi posti (i lavori che poi vengono accettati dagli estracomunitari ).

Il voler primeggiare sempre in ogni cosa, la "non umiltà" che crede soprattutto, non nel significato del servizio ma nell'affermazione di se stessi: "Io non mi sento realizzato...": quante volte ho sentito questa frase!

Non so in che maniera Gesù Cristo quando è venuto su questa terra si è sentito realizzato!

Un altro aspetto importante che è determinato dal senso della paternità e della maternità è il riconoscimento cristiano di un legame essenziale con il passato. Quante volte invece c'è nei giovani di certi ambienti la reazione istintiva al tradizionale? Il nuovo per il nuovo!

Quante stupidaggini si sono fatte dopo il Concilio nelle Chiese: tolti degli Altari antichi e bellissimi di marmo per mettere dei tavolacci di legno come segno di modernità...: il nuovo per il nuovo, mentre Gesù ci parla di quell'uomo che tiene nella cassapanca le cose antiche e le cose nuove; di quell'uomo che sa che cosa bisogna tenere e che cosa buttare!

Tutte queste caratteristiche sono alla base della vocazione.

Ci sono dei valori laici come la lealtà, la veridicità, l'indole democratica, la fierezza dei convincimenti, il ripudio dei paternalismi di ogni tipo, la fiducia nella ragione, lo spirito critico, la spontaneità affettiva, che non rientrano purtroppo nella tavola dei valori di una certa pedagogia soprannaturalistica al sacerdozio, e che invece il mondo d'oggi richiede come segni di autenticità, mancando i quali tutto il resto sembra una truffa', o una compassionevole alienazione.

Questa è la vocazione, e questi sono i valori che servono sia per il padre di una famiglia che per un padre sacerdote. Sono valori che servono sia per una madre di famiglia che per una madre religiosa. A questo bisogna tenere e guardare.

Nessuno di noi si senta il "buon Pastore!", nessuno di noi si senta il "Padreterno", e sia umile in una casa o in una Chiesa.

Vi leggo un pensiero di Papa Luciani: "Dio ci ha chiamati ad illuminare le coscienze e non a confonderle o a forzarle; ci ha chiamati a parlare con la stessa semplicità con cui si annunciano gli articoli del "Credo apostolico", non a complicare il ragionamento, né ad accarezzare gli uditori; ci ha chiamati a risanare i fratelli e non a terrorizzarli".

Chiudo con una frase "tremenda" detta da Mons. De Luca a Prezzolini: "Non fossi prete, non fossi cristiano, sarei più libero e apparirei disinteressato dicendo queste parole. Ora io sono prete e cristiano e non ho mai creduto che ci fosse più ridicolo mestiere, più indelicata e inumana e anticristiana faccenda che fare il convertitore. Sono cose che Dio a noi Suoi ministri non ha demandato. Noi dobbiamo annunciare, ma che salva è sempre il Signore. è sempre Lui il buon Pastore, il Convertitore. Noi siamo funzionari, signorine del telefono, voci del Padrone, non altro. Quelle faccende del convertire, io l'ho visto bene vivendo e leggendo, se le è sbrigate sempre Lui, il vero buon Pastore".

 

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