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TESTO Un alito di vento

don Marco Pratesi   Il grano e la zizzania

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/02/2009)

Brano biblico: Gb 7,1-4.6-7 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,29-39

29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Il brano è parte della risposta di Giobbe (cc. 6-7) al discorso di Elifaz (cc. 4-5), all'interno del primo ciclo di discorsi (cc. 3-14). Qui Giobbe risponde alle parole, anche belle, anche sensate, del sapiente di Teman, facendo semplicemente presente la propria condizione di dolore. Di fronte al dolore, infatti, che cosa possono le giustificazioni razionali? La realtà rimane quel che è, e questa lettura la dipinge servendosi di tre paragoni: il soldato (il v. 1 allude al servizio militare), il bracciante e lo schiavo. Siamo ai gradini più bassi della scala sociale, e tutte sono condizioni nelle quali si lavora, e duramente, per qualcun altro, per opere e cose non proprie, perseguendo fini altrui. Situazioni alle quali ci si sottopone forzatamente, subendo una preponderanza. In questi casi, tuttavia, esiste pur sempre una prospettiva: lo schiavo ha momenti di sollievo, il bracciante il suo salario giornaliero, il soldato può avere il cambio (cf. 14,14). Nella condizione umana, invece, della quale queste condizioni sono immagine, la prospettiva del sollievo si rivela semplicemente un'illusione. La vita umana è vana attesa di qualcosa che non arriva; non c'è salario alle fatiche, non c'è alcun refrigerio, al contrario: ciò che arriva - unico sollievo - è la morte. La vita infatti scorre velocemente, e l'uomo non fa a tempo a sedersi al banchetto della vita che già deve alzarsi e far posto ad altri. Perciò la vita è inquietudine, smania e trepidazione; ansia e affanno, miraggio e illusione (cf. Qo 2,23; Sir 40,1-9). Tutto questo rimane spesso inavvertito, ma emerge con prepotenza quando - come succede a Giobbe - il normale flusso dell'esistenza viene spezzato dal dolore: allora l'assurdo sembra l'ultima parola. E Dio?

Brano mirabile, di grande spessore esistenziale. Che cosa ha da dirci? Non soltanto (anche questo) da che cosa, come cristiani, siamo salvati. Ci dice quello che continuiamo a essere, ovvero quello che di nostro portiamo nel rapporto con Dio; e chi è questo uomo che Dio ha scelto come interlocutore, come amico; essere limitato, ma con una smisurata fame di vita. Le due cose sono da tenere ben presenti, e insieme, per evitare due pericoli. Il primo è l'inavvertenza del limite umano, che dà luogo alla superbia, all'orgogliosa affermazione di sé, tante volte stigmatizzata nella Bibbia. Di fronte a ciò il salmista prega: "Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore" (Sal 90,12). Conservare vivo il senso del limite umano è sapienza, perderlo è stoltezza e vana arroganza. Il secondo rischio è, all'opposto, la disperazione, il cercare la morte (in varie forme) come risposta e rimedio al "male di vivere". Giobbe avverte questo fascino della morte: "Perisca il giorno in cui nacqui!" (3,3). Terribile seduzione della morte come soluzione alla vita!

L'uomo della Bibbia, il credente, rappresentato da Giobbe, sfugge a entrambi queste trappole. Vivi il tuo limite alla presenza del Signore! Vivi la tua sete di vita, la tua inquietudine, la tua angoscia non da solo, ma in rapporto con lui. Sappi chi sei tu, ma sappi anche chi è lui! Così Giobbe troverà una risposta, che anche dopo Cristo conserva valore: non una teoria di cui finalmente è soddisfatto (comunque insoddisfacente e inconcludente), ma il rapporto col Signore. Per questo resta essenziale non imbellettare la realtà con i nostri sistemi razionali e avvertirne tutta la criticità. Dio, vuole essere lui il Salvatore; è questa la sua gloria, e non la cederà ad altri.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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