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don Ezio Stermieri   Home Page

II Domenica di Quaresima (Anno A) (17/02/2008)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Convertirsi, necessità che la Quaresima comporta, come appello di Dio stesso, è dunque inserirsi in quella tensione, forza, energia che tiene unito l’uomo e lo proietta nella speranza alla realizzazione dell’uomo nuovo Cristo Gesù. E oggi diciamo alla luce della Parola ascoltata, dà unità alla storia e la indirizza passando attraverso la risurrezione di Cristo, verso i Cieli nuovi e la terra nuova.

Subito ci viene incontro Abramo, il primo che si è convertito a Dio, gli è diventato amico, si è fidato di Lui e ha dato inizio alla storia nuova di Alleanza tra Dio e l’umanità. Egli con questo movimento ha posto termine ad una concezione ciclica del tempo e della vita come un ritorno su se stessi. Non è forse anche per noi la superficiale concezione dei nostri giorni come il succedersi di stagioni, occasioni, tensioni, speranza che però inevitabilmente con la morte, implodono su se stesse? Abramo ascolta. “Vattene... verso la terra che io ti indicherò”. In Lui, nella sua fede, anche la nostra vita diventa un andare verso, un oltre che non solo stabilisce una meta, un senso, una realizzazione del tempo della vita, un “oltre” che è Dio stesso e che accolto nella fatica della storia, la cambia: diventiamo segno di benedizione, portatori di un rapporto figliale con Dio che rende fraterne le diversità, le culture, le differenze, fa superare la vecchia concezione della storia con le sue guerre, le sue ingiustizie e sperequazioni, le inimicizie e i facili egoismi nel grande del mondo come nel piccolo dei cuori... Fa intravedere del mondo e degli avvenimenti “quell’oltre” che immette nei giorni che trascorrono voglia di bene, aiuto nella costruzione del bene comune, mette ali per strategie di una politica alta, di una cultura che non si accontenta dell’effimero, del caduco o dell’istinto basso dell’uomo, fa diventare “nazione” così umana da far pensare a tutte le famiglie umane, anche quelle povere, in via di sviluppo, in situazioni di svantaggio di avere un futuro, un domani, situazione in cui chi è in miseria non diventa miserabile ma vede possibile il riscatto, la speranza, il bene da raggiungere. Il Vangelo poi, in un momento della vita di Gesù con i discepoli che l’hanno seguito sul monte, nell’orizzonte nuovo in cui comprenderlo, trasfigurato, ci presenta l’esperienza reale di questa conversione. Anche noi siamo chiamati a constatare la bellezza di guardare non solo a Gesù ma a noi stessi, alle nostre cose quotidiane, ai nostri impegni e rapporti alla luce di quell’oltre, “trans” che rende Cristo sfolgorante. Quell’esperienza non aliena i discepoli dalla storia, anzi li rende capaci di attraversare la fatica, la croce, il non-senso che la vita porta con sé con l’inevitabile dolore, incomprensione, solitudine, tradimento, fuga... E darà a loro e, oggi a noi, le parole, il coraggio di dire che la risurrezione, l’oltre di Gesù è anche il nostro e dà spessore al nostro compito di famiglia cristiana nel pluralismo delle interpretazioni della vita o della storia: essere portatori della bellezza di trasformare il negativo in positivo. Il nostro non è un cristianesimo che annega forza tra le forza contrastanti nella storia, non è una fede che ci aliena dall’impegno della vita in falsi fantasmi di futuri facili o di nirvana raggiunti, è linguaggio, non parole soltanto, è testimonianza che seguendo il Signore, convertendoci a Lui, poniamo la vera rivoluzione del mondo e della storia. Non il facile o sanguinario cambiamento di strutture per un uomo nuovo ma la conversione del cuore e della mentalità dell’uomo per rendere più umane, sul progetto di Dio le categorie della storia. Puntuale allora l’invito di Paolo: “Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”, non certo per una concezione tristi e miserabili, pessimistica della storia ma per quella “vocazione santa”, che fin dall’inizio ma pienamente in Cristo si è manifestata.

 

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