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TESTO Tempo di sciogliere le vele

mons. Antonio Riboldi

Tutti i Santi (01/11/1997)

Vangelo: Mt 5,1-12a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 5,1-12

In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Così S. Paolo definiva la morte. Lui sapeva molto bene che sciogliere le vele significava lasciare questa sponda, la terra, su cui tutti approdiamo con la nascita, per una breve permanenza; ma alla fine nessuno può evitare di "sciogliere le vele".

Nessuno di noi ha scelto il tempo della nascita. Nessuno può determinare il tempo della morte. L'uno e l'altro sono nelle mani di Dio.

Quando ero giovane e iniziavo il mio cammino su questa terra, il mio Padre spirituale (questa meravigliosa guida per la vita, che tutti gli uomini che amano la verità dovrebbero avere) amava ripetermi: "Ci sono tre vocazioni che sono di ogni uomo: la prima è quella di quando Dio ci dona la vita e questo lo fa solo per un grande amore; la seconda vocazione è questa vita, o meglio il progetto che Dio ha dato da vivere, che poi è il solo senso della vita; la terza vocazione è il ritorno alla casa da cui siamo partiti ed a cui siamo chiamati a tornare, ossia il Cielo. La vita è come una breve parentesi di una eternità che siamo chiamati ora a interpretare e poi a vivere". E lui, il mio prezioso Padre spirituale, Padre Clemente Rebora, un grande poeta del nostro secolo che gli studiosi stanno riscoprendo, davvero visse in pienezza questo momento sulla terra; e quando "sciolse le vele", credo proprio che quelle vele lo portarono in Cielo.

Ma quanti la pensano così? E soprattutto quanti interpretano costruendo tutto su misura della vita eterna, dove è la sola realizzazione di noi stessi? "Non è saggia – affermava Paolo VI, all'avvicinarsi del suo incontro con il Padre – la cecità davanti all'immancabile sorte della morte. Vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale: io, chi sono? Che cosa resta di me? Dove vado? E perciò, che debbo fare? Quali sono le mie responsabilità? E vedo che, anche rispetto alla vita presente, è vano avere speranze; le vere speranze sono per l'aldilà".

Ma c'è troppa gente che vive in questa cecità, ed è tragico. Quanta gente ho accompagnato in vita ed in morte! Quanti ho visto "sciogliere le vele". In alcuni si aveva la netta impressione che gli occhi si chiudessero su questo mondo su cui erano passati "come stranieri" ma si aprivano finalmente sulla luce del Cielo. In altri appariva una vera cecità, tragica cecità!

Voglio ricordare due esempi. Mia madre: morì a 99 anni e 6 mesi, carica di una vita esemplare, vissuta in una fede senza esitazioni ed in una dedizione alla volontà di Dio, facendo fino in fondo la sua vocazione di moglie e madre. Avvicinandosi la sua fine volle spogliarsi di tutto. Diede a noi figli ogni cosa, quel poco che possedeva. A me diede il suo anello e volle che fosse il mio anello di vescovo; ai miei fratelli le poche cose che possedeva. Nella tasca del suo povero grembiule aveva solo una crosta di pane ed un piccolo pezzo di parmigiano. Quando cercavo di convincerla ad avere qualche soldo mi rispondeva: "Voglio nulla. Non vorrei che presentandomi a Dio con qualche cosa in tasca, mi chieda conto perché non l'avevo speso in opere buone". Morì dolcemente, come quando finalmente al termine di una lunga fatica, come è la vita, si trovano due braccia che ti accolgono e ti dicono: "Vieni benedetta nella casa del Padre". Il suo volto, da morta, portava il sorriso di una felicità che sembrava già possedesse.

Un triste ricordo è di un uomo che aveva vissuto la vita rincorrendo la ricchezza. Teneva sempre vicino a sé nella malattia i suoi libretti di risparmio, la sua ricchezza, che non è moneta per aprire il Cielo. Morì disperato stringendo forte nelle mani quei libretti che non gli servivano più. E il suo volto conservò una disperazione che impressionava.

In questi giorni tutti andiamo a visitare i nostri cari, quelli che nella vita ci furono vicini, condivisero le nostre gioie e angosce e fanno parte quindi della nostra stessa vita. Li onoriamo con qualche fiore o cero. Ma il ricordo più bello è comunicare con loro nella preghiera, nel suffragio, nelle opere di bene. Loro ci hanno preceduto. Un giorno li ritroveremo. Anzi loro restano con noi, vicino a noi, per la comunione dei Santi. Potessero parlare, cosa ci direbbero loro che sono nella verità a noi che forse la ignoriamo? Ascoltiamoli per un momento.

In questi giorni anch'io mi recherò nei cimiteri della mia Diocesi. Incontrerò tantissime anime defunte e i loro parenti, ma il nostro incontro sarà nella solenne celebrazione della Eucarestia, preludio della vita celeste. Pregherò volentieri anche per i vostri cari defunti, potete stare certi, in attesa anch'io, come tutti, dell'ora in cui saremo chiamati a "sciogliere le vele".

 

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