TESTO Commento su Giovanni 1,1-18 (forma breve Giovanni 1,1-5.9-14)
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Natale del Signore - Messa del Giorno (25/12/2008)
Vangelo: Gv 1,1-18 (forma breve Gv 1,1-5.9-14)
1In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
6Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
11Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
12A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
16Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Il Natale non è una bella favola che ogni anno viene riproposta in una grande varietà di forme, particolarmente nella celebrazione della Chiesa e nel presepe. Il Natale è invece un avvenimento realmente accaduto, che ha cambiato la storia, anche se molti continuano a ignorarlo o fingono di ignorarlo, e magari tendono a cancellare o a occultare i simboli che lo richiamano.
Un lieto evento, l’evento più lieto che il cuore dell’uomo potesse sognare. Un lieto evento che continua ad accadere oggi e ha la forza prodigiosa di cambiare la vita di innumerevoli persone e l’intera società. E tutti sono chiamati a lasciarsi coinvolgere.
Questo evento superlativamente lieto ci è stato narrato stanotte attraverso il racconto incantevole della nascita di Gesù a Betlemme, dal Vangelo di Luca.
Oggi ci viene proposto in una pagina che è forse la più alta e profonda di tutta la Scrittura. Possiamo considerarla una riflessione teologica, una contemplazione, traboccante di meraviglia e di gioia, che ha come contenuto il mistero dell’Incarnazione. Si presenta col carattere di una testimonianza oculare.
Questa pagina ci invita a concentrare l’attenzione sul vero “cuore” del Natale.
Se riusciamo a non lasciarci distrarre da un contesto fuorviante e dispersivo; se riusciamo a non accontentarci della dolcezza sentimentale che questa festa comunica; ma se riusciamo a cogliere il centro del mistero che oggi celebriamo, allora ci sentiremo come... travolti. Incredibile, ma vero! L’imprevedibile è accaduto! “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Occorrerebbe misurare la realtà di questi due termini: il Verbo (che da sempre “era presso Dio” ed “era Dio”, cioè la pienezza infinita e traboccante dell’essere e della vita) e la “carne” (che indica l’uomo nella sua radicale debolezza e precarietà, nella sua distanza abissale da Dio). L’amore ha congiunto questi due estremi.
Tra i miliardi di uomini che fin dall’inizio hanno popolato la Terra, nella “processione” ininterrotta di buoni- cattivi, piccoli- grandi, ricchi- poveri, felici- infelici, tutti “nomadi” in cammino, uno era Dio. Uno fra i tanti, mescolato con loro nel condividere la medesima esperienza. Uno di noi è Dio. Si coglie in questo la manifestazione di un amore inaudito e, quindi, la smentita più solenne di quella concezione di Dio che non di rado possiamo ritrovare anche dentro di noi: un Dio incapace di un interesse reale nei nostri confronti e troppo lontano perché giungano a lui le grida dei poveri, dei soli, dei disperati...
Si rivela, invece come un Dio che si è “scomodato”, si è “compromesso” fino al punto di donarci ciò che aveva di più caro: il proprio Figlio. Per usare un’immagine, vedendo gli uomini che stavano affogando nei flutti di un mare in tempesta, non ha offerto un qualche appiglio, non ha gettato loro un salvagente perché si arrangiassero in qualche modo, ma si è gettato in mare lui stesso rischiando di morire... “Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi, escluso il peccato” (GS 22).
Se ogni bimbo è un dono che Dio fa alla famiglia e all’intera società, il bimbo di Betlemme è il Dono più grande che Dio potesse farci.
Questo bimbo è l’espressione viva e palpitante dell’amore del Padre. È il volto umano di Dio: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv. 14,9). È la rivelazione definitiva di Dio agli uomini: “Dio, che... aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb. 1,1-6: II lettura). Questo bimbo è Dio, il Figlio di Dio, che non è venuto tra noi come un turista, come un visitatore frettoloso e di passaggio, ma si è inserito radicalmente nella razza umana, divenendo un membro della famiglia umana: un compagno di viaggio che condivide gioie, fatiche, sofferenze fino all’esperienza della morte. Dio si è fatto talmente uno di noi che una ragazza può dire a Dio: “Tu sei mio figlio!”. E Dio può dire ad una ragazza: “Tu sei la mia mamma!”.
Attraverso il Figlio divenuto uomo è la Trinità intera che si rivela e si dona, entrando in relazione d’amore con gli uomini e chiamandoli a prendere parte alla vita della famiglia divina. Una presenza che si attua in modo particolarmente intenso nell’Eucaristia. È qui che “il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all’umanità come sorgente di vita divina” (Giovanni Paolo II).
Il Figlio di Dio infatti, prendendo da noi la natura umana, in cambio ci regala la sua figliolanza divina. Ci unisce a sé e ci comunica il suo stesso rapporto filiale: ci rende capaci di chiamare Dio, come Lui e con Lui, col dolcissimo nome di “Abbà” = papà. “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Famiglia di fratelli, di cui Egli è il “primogenito” (Rm. 8,29).
“Il Verbo si fece carne”. Ciò significa che la Bellezza “si fece carne”, la Verità, la Gioia, la Giustizia, l’Amore “si fece carne”. Bellezza, Verità, Giustizia, Gioia, Amore erano un uomo nato da donna, che camminava per le strade di questo mondo. Che molti hanno potuto incontrare e anche noi oggi. Dio non è un’idea filosofica, ma è l’Amore che ha scelto di farsi uomo per esserci vicino e farci felici della sua stessa felicità.
Chi contempla e comincia a comprendere il significato del Natale si sente afferrare da un grande stupore, da una immensa gratitudine, da una gioia indicibile: “il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la Vita” (San Leone Magno) .
“Vi annunzio una grande gioia”. L’angelo è messaggero di Dio, che parla appunto attraverso di lui. Quindi è Dio stesso che ancora oggi ci invita a gioire. La gioia per questa nascita è anzitutto di Dio: Dio è felice per averci donato questo bambino. È la sua gioia che vuole parteciparci. Mi riscopro veramente felice perché il Salvatore è nato anche per me?
E cresce nel cuore una incrollabile fiducia: “Io non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo. Io lo amo, perché Egli non è che amore e misericordia” (S. Teresa di Gesù Bambino).
Fiducia in Dio e fiducia nell’uomo, in ogni uomo: che meraviglia essere uomo, se il Figlio di Dio ha scelto di diventare uomo! A Natale non celebriamo soltanto la nascita di Gesù. Natale è anche la festa della nostra nascita, la festa della nascita dell’uomo. È la scoperta nuova di quanto valga io, tu, ogni uomo. Se Dio si è fatto bambino, se è nato in una stalla, se ha pianto e ha riso e ha giocato come tutti i bambini, se ha legato la sua esperienza di vita a quella dell’uomo; allora non si può far soffrire o lasciar soffrire un uomo, chiunque egli sia, senza colpire direttamente il Figlio di Dio, divenuto nostro fratello, il primo fratello. Ogni uomo è mio fratello. In ogni uomo si riflette il volto di quel primo fratello.
Natale, allora, è una memoria scomoda: contesta fortemente ogni scelta, ogni abitudine e comportamento, ogni stile di vita non improntati alla solidarietà e all’attenzione concreta verso chi soffre, verso i poveri, gli ultimi con i quali Egli si è identificato. Quei poveri, quegli ultimi che spesso sono più vicini a noi di quanto non pensiamo e sono forse anche in casa nostra. Da quando con l’incarnazione il Figlio di Dio si è legato ad ogni uomo e ha legato ogni uomo a sé, l’amore concreto donato a chiunque è realmente donato a Lui.
Il Natale ci ricorda che il Figlio di Dio, assumendo la nostra umanità, è venuto a trapiantare qui sulla terra un modo nuovo di vivere, una nuova cultura, un nuovo stile di rapporti: la cultura della Trinità, la civiltà della Trinità, che è amore scambievole (“come in cielo così in terra”). Noi tradiamo il Natale quando non amiamo e non ci amiamo.
Ma l’amore è possibile, una nuova società è possibile. Se l’umanamente impossibile è accaduto (la nascita da una Vergine, e soprattutto la nascita di un uomo- Dio), allora ciascuno, qualunque sia la sua età anagrafica, può e deve dire: Io oggi rinasco, ricomincio, perché l’incontro col Salvatore mi rigenera a vita nuova.
Il presepe, che viene allestito in ogni chiesa e lodevolmente anche nelle case, visualizza una storia, non una fiaba. La storia dell’eterno Vivente, il Salvatore Gesù, nella sua relazione d’amore con noi e con tutti gli uomini ai quali ci manda ad annunziarlo: “Da duemila anni la Chiesa è la culla dove Maria depone Gesù e lo affida all’adorazione e alla contemplazione di tutti i popoli” (Giovanni Paolo II).
Il nostro desiderio è che la nostra comunità parrocchiale ed ogni nostra famiglia o gruppo, anzi ogni singola persona, diventino sempre più culla, cioè “presepe” vivo dove Maria continua a deporre Gesù, luogo dove Gesù continua a nascere e rinascere per la gioia di tutti gli uomini.
Il grande sogno del Bambino di Betlemme è fare di tutti gli uomini una sola famiglia. È trasferire nel cuore dell’umanità l’atmosfera di famiglia, l’incendio d’amore che brucia nella Trinità, da dove Egli proviene. La realizzazione di tale sogno dipende anche da me e da te. Essere sempre più famiglia è lo scopo del Natale. Quale famiglia migliore di quella di Betlemme? Ci insegna la legge fondamentale che è l’amore scambievole. Il Natale è appunto Gesù tra Maria e Giuseppe uniti nell’amore. È qui che si compie pienamente il “venne ad abitare in mezzo a noi”. Ma continua ad accadere in modo particolare là dove ci si ama a vicenda. Far nascere e rinascere Gesù attraverso i gesti concreti dell’amore fraterno: ecco il Natale! Può esserlo ogni giorno dell’anno.