TESTO La parabola dei doni e della responsabilità
don Gianluca Peschiera (ragazzi) Centro Pastorale Ragazzi
don Gianluca Peschiera (ragazzi) è uno dei tuoi autori preferiti di commenti al Vangelo?
Entrando in Qumran nella nuova modalità di accesso, potrai ritrovare più velocemente i suoi commenti e quelli degli altri tuoi autori preferiti!
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/11/2008)
Vangelo: Mt 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”».
A ciascuno Dio ha dato una ricchezza che, unita a quella degli altri, può diventare un patrimonio immenso.
La parabola dei talenti invita a riflettere sulla responsabilità di ciascuno. Il Signore affida all’uomo la vita come moneta preziosa da trafficare, perché vuole che esperimenti che ... “c’è più gioia nel dare che nel ricevere!”.
Qualcuno purtroppo cade nello sbaglio di pensare che Dio sia duro, ma, al contrario, è uno che ha molta stima di ciascuno.
Dal Vangelo secondo Matteo (25,14-30)
In quel tempo Gesù disse: «Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».
Probabilmente è stato Erasmo da Rotterdam, celebre umanista del 1500, a trasformare, sulla scorta di questa parabola, il termine “talento” in un vocabolo indicante più genericamente attitudine, dono.
Ma, cercando di capire bene il testo evangelico, qual è il punto di partenza della parabola? Non è l’impegno umano – letto spesso in chiave moralistica – ma è la grazia di Dio: è Lui rappresentato nell’uomo che offre i suoi beni ai servi. Se non ci fosse quell’inizio divino, l’uomo resterebbe avvolto nel suo limite. Ecco però che irrompe Dio con i suoi doni, con il suo Figlio e il suo Regno. Ma è proprio a questo punto che appare la seconda dimensione, quella più comune e popolare: il dono si trasforma in un impegno.
Il talento non è una perla da custodire gelosamente in uno scrigno, ma è una moneta che deve crescere e fruttificare; è unità di misura di un’autentica religiosità. Non si accontenta di considerare la grazia e tutti i doni divini come un freddo possesso, ma come un caloroso invito alla condivisione.
Recuperando il contesto della parabola (siamo nel vangelo di Matteo nei discorsi di Gesù intorno alle tematiche sulle “cose ultime”, quelle legate alla fine e al fine dell’esistenza) notiamo anche una atmosfera della narrazione drammatica: il tesoro che abbiamo tra le mani non è un ornamento, ma una pietra di paragone della nostra vita che è valutata secondo l’amore manifestatoci da Gesù.
Anche le parabole circostanti delle vergini sagge e stolte e il cosiddetto giudizio universale hanno un messaggio simile, con una “chiusa” dai toni - all’apparenza – inquietanti. Ma anch’esse richiamano il tema della responsabilità e della fiducia di Dio, non la sua presunta durezza, che è, al contrario, respinta con forza.
Un’errata rappresentazione di Dio come “duro” porterebbe alla paura (vedi terzo servo). Ma questa presunta durezza del padrone è respinta con forza. Facciamo caso alla risposta dello stesso padrone: “ ... sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso”. Non è ripreso il tema della durezza, semmai la capacità che è propria di un Dio amore, creativamente all’opera anche di fronte a situazioni spiacevoli, di, come dice un proverbio, “scrivere diritto sulle righe storte”, cioè recuperare anche le persone che hanno voltato le spalle al progetto insito nel cuore dell’umanità attraverso una caparbietà da Dio!
Gesù rivela un Padre misericordioso, il vignaiolo che ricompensa largamente tanto i lavoratori della prima come dell’ultima ora, e non lo Zeus armato di fulmini o il fiscalista che premia o punisce in base a criteri meritocratici.
L’ANGOLO DELLE CURIOSITA’: IL VALORE DI UN TALENTO
A livello monetario, il talento era 6000 dramme o denari. Se si pensa che la retribuzione giornaliera di un operaio si aggirava su un solo denaro, si può comprendere bene l’importanza dell’incarico affidato dal signore della parabola ai suoi dipendenti.
Proviamo una traduzione in euro approssimativa: 1gg lavorativa: 40 euro circa; 1 talento=6000x40= 240.000 euro. Cinque talenti sono più di 1 milione di euro!