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TESTO Commento su Giovanni 6,37-40

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Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2008)

Vangelo: Gv 6,37-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,37-40

37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Commemorazione di tutti i defunti... Tutti. Oggi sono presenti tutti, tutti i nostri cari, ma anche – e sono i più – tutti coloro che non abbiamo conosciuto e che non conosceremo mai – tutti coloro che non abbiamo amato e che non abbiamo la forza e il coraggio di amare. Sì, perché tra questi defunti, tra questi “santi” che ieri abbiamo ricordato, ci sono tutti i poveri, i peccatori, coloro che hanno fatto più fatica. Tutti i Giobbe della terra, e non è un caso che la saggezza della Chiesa oggi ci faccia meditare una pagina del libro dell’uomo della terra di Uz. “Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò e i miei occhi lo contempleranno non da straniero” (Gb 19,26-27). Tutti in attesa del giudizio finale, perché il primo giudizio, quello della coscienza, è già stato pronunciato.

Marmeladov è un personaggio di “Delitto e castigo” di F. Dostoevskij. È un poco di buono, un ubriacone che non ama lavorare. Il suo comportamento ha rovinato la sua famiglia. La figlia, Sonia, è stata condotta sul marciapiede. Quest’uomo vive dentro di sé un senso acuto di sconfitta, di fatica e di colpa. È un perdente. Un giorno, nella bettola, ubriaco fradicio, azzarda discorsi sconnessi e in una sorta di visione parla del Giudizio finale.

Dio chiama per primi, accanto a sé, coloro che hanno avuto vite irreprensibili, sante. Sono persone che meritano, almeno secondo un criterio umano, di vivere accanto a Dio. Poi convoca coloro che di bene ne hanno fatto poco, gli ubriaconi come lui e i drogati, coloro che noi, i benpensanti, osiamo definire “i cattivi”. “Allora convocherà noi. ‘Pure voi, fatevi avanti’, dirà, ‘fatevi avanti, ubriaconi, fatevi avanti voi deboli, fatevi avanti figli della vergogna!’. E noi tutti ci faremo avanti vergognosamente e ci terremo in piedi davanti a Lui. Ed Egli ci dirà: ‘ Siete dei porci, fatti all’immagine della Bestia e con il suo marchio; ma venite voi pure!’ E i saggi e gli assennati diranno: ‘Signore, perché Tu accogli questi uomini?’ E Lui dirà: ‘ La ragione per la quale li accolgo, uomini assennati, è che nessuno di loro ha creduto di essere degno di questo’.”

È possibile tutto ciò, oppure è soltanto un vaniloquio da ubriaconi? Non solo è possibile, ma è la nostra speranza. Una speranza, certo, più difficile soggettivamente della stessa fede, ma pur sempre una flebile speranza. Perché il Signore, come recita il salmo 36. “è la mia luce e la mia salvezza... è difesa della mia vita... A lui grido: abbi pietà di me. Il tuo volto, Signore io cerco.... Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”. Perché Gesù ha vissuto un’agonia estrema, come molti malati che abbiamo visto, apparentemente senza alcuna speranza, sul letto di morte. Perché Egli è morto come l’uomo, a causa dell’uomo, per l’uomo, con l’uomo e davanti all’uomo. Quella morte lo ha fatto uno di noi. E questa speranza, come scrive Paolo ai cristiani di Roma, “non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).

Coloro che sperimentano la fatica di vivere possono dunque tranquillamente fissare Gesù inchiodato sulla croce. L’uomo crocifisso che ha percorso le vie dell’assurdo. In genere sono i ricchi, i sazi, coloro che possiedono tutto e che pensano di poter possedere anche le persone, che hanno paura della morte. Una drammatica paura della morte che li porta anche a negarla. Loro, i poveri, no. Almeno non in modo così drammatico, rimozionale. Vivono il faccia a faccia (quotidiano!) con la morte senza drammi: in fondo, che cos’hanno da perdere, loro che sono il sacramento della condizione umana, della condizione jobica?

È questa condizione che ci accomuna tutti, che accomuna tutti i defunti e noi con loro, perché anche per noi l’orizzonte è la morte. E qui viene davvero in soccorso l’Evangelo di Giovanni: “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me non lo respingerò... Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv6,17.40).

Sì, come scrive Karl Barth: “Dio è soprattutto Dio sulla croce e soprattutto uomo nella resurrezione”.

Traccia per la revisione di vita.

1) Parliamo della morte in famiglia? Oppure la neghiamo e ne rimuoviamo l’idea?

2) Ricordiamo con riconoscenza i nostri famigliari e i nostri amici che ci hanno lasciato?

3) Siamo capaci di vicinanza vera e di consolazione nei confronti di chi vive una condizione di lutto?

Commento a cura di Luigi Ghia, direttore di “Famiglia domani”

 

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