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TESTO Darà in affitto la vigna ad altri contadini

mons. Vincenzo Paglia   Diocesi di Terni

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/10/2008)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Il Vangelo ci parla nuovamente di vigna e di lavoro. Gesù aveva raccontato di quel padrone che invita nella sua vigna tutti i lavoratori che incontra, il maggiore numero possibile, anche quelli dell’ultima ora del giorno. Ne ha bisogno la vigna e ne hanno bisogno quegli uomini, altrimenti disoccupati. A tutti dona lo stesso denaro, un’unica ricompensa. Quel padrone non è giusto: è buono! Il denaro offerto a chi ha lavorato dalla prima ed a quello che è arrivato solo all’ultima ora, è lo stesso amore, un amore che non si compra, unico, che sazia interamente, che libera dai confronti e dall’insoddisfazione, che non si merita mai, dono, gratuito e libero, di Dio. Domenica scorsa abbiamo ascoltato di quei due fratelli cui il padre chiede di andare a lavorare la vigna. È un invito, non un obbligo. Siamo liberi di accettare o no. Infatti uno dice di sì e poi non ci va; l’altro dice di no, non ne ha voglia, lo esprime seccamente, ma poi si pente e ci va. Bisogna lavorare nella vigna, andarci, anche con itinerari complicati e qualche volta apertamente contraddittori, ma che ci portano ad aiutare il padre nella cura per la vigna. Possiamo pentirci sempre, anche dopo il più rozzo “non ne ho voglia”, anche quando ci sembra che ormai le decisioni sono prese, quando il padre è ferito e tutto appare compromesso e inutile, quando sentiamo forte la vergogna, quando abbiamo la tentazione di tenere il punto e ci difendiamo con l’ostinazione delle nostre ragioni.

Nell’odierno brano evangelico c’è come la crescita di un singolare contrasto: tanto cresce l’amore quanto l’inaccoglienza, o anche l’inverso, quanto più cresce l’inaccoglienza degli uomini, tanto più aumenta l’amore di Dio per loro. Quando arriva il tempo della vendemmia, il padrone manda i suoi servi dai vignaioli ai quali aveva affidato la cura della vigna a ritirare il raccolto. La reazione di quest’ultimi è violenta, colpiscono, uccidono, lapidano quei servi. Il padrone “di nuovo” invia altri servi, in numero maggiore, ma trovano la stessa reazione. Sembra rileggere, in una sintesi efficace e tragica, l’antica e sempre ricorrente storia dell’opposizione violenta (anche fuori della tradizione giudaico-cristiana) ai “servi” di Dio, agli uomini della “parola” (i profeti), ai giusti e onesti di ogni luogo e tempo, di ogni tradizione e cultura, da parte di coloro che vogliono servire, come quei servi “malvagi”, solo se stessi e il proprio tornaconto. Ma il Signore -ed è qui il vero filo di speranza che sottende la storia degli uomini e la salva- non diminuisce l’amore per quegli uomini violenti, anzi lo accresce. “All’ultimo”, il padrone invia il suo stesso figlio, credendo che lo rispetteranno. Ma la furia dei vignaioli esplode e decidono di uccidere il figlio per carpirne l’eredità. Lo afferrano, lo portano “fuori della vigna” e l’uccidono. Queste parole erano forse chiare solo a Gesù, quando furono pronunciate. Oggi le capiamo bene anche noi: descrivono alla lettera quello che accadde a Gesù.

Era nato fuori da Betlemme; muore fuori da Gerusalemme. Gesù, molto lucidamente e coraggiosamente denuncia l’infedeltà e l’inaccoglienza dei servi che giungono ad uccidere lo stesso figlio del padrone. Alla fine della parabola Gesù chiede agli ascoltatori che cosa farà il padrone a quei suoi coloni. La risposta: li punirà, toglierà loro la vigna e l’affiderà ad altri perché la facciano fruttificare. Dio si attende i frutti. È questo il criterio in base al quale viene fatto il trasferimento della vigna. La vigna sarà data ad altri. Chi vuole conservare la sua vita la perderà. La nostra finisce quando viviamo per noi stessi. Al contrario la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo. Quello che il mondo non considera, che ritiene debole, come il Vangelo ed il suo invito a credere nell’amore ed a perderci donando, in realtà è il fondamento su cui possiamo costruire una casa ed una vita più forte delle piogge, dei venti e dei fiumi. Il regno di Dio non è un possesso e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare. Nessuno è padrone del regno, perché è un regno di amore, dove entriamo, e lo possiamo gustare già da oggi, solo dando frutti di amore, perché non c’è bisogno di possedere, di dire “mio”, perché tutto è nostro con l’amore e siamo amati da quel Dio che con passione vuole, vede e visita la sua vigna perché sia di tutti.

 

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