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TESTO I primi saranno ultimi

don Roberto Seregni   Home Page

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2008)

Vangelo: Mt 20,1-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Questo è uno di quei brani del Vangelo che dovrebbero seriamente mettere in discussione la nostra fede e la nostra immagine di Dio. Non temo di ripetere una riflessione già fatta più volte, perché sono convinto che essa sia centrale nel cammino verso una fede adulta e libera. Più ore passo in confessionale più mi accorgo che il vero problema non è suscitare la fede o convincere dell’esistenza di Dio, ma scoprire il vero volto del Padre rivelato da Gesù.

Il padrone di casa esce all’alba per cercare operai per la sua vigna. Alle sei di mattino arruola il primo gruppo e stabilisce la paga: un denaro, una cifra niente male. Poi esce alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque, e ogni volta arruola nuovi operai, ma senza stabilire la quota per il lavoro. Alla fine della giornata, al momento del pagamento, il padrone parte dagl’operai delle cinque del pomeriggio e si crea la suspence: agli ultimi viene dato un denaro. Ai primi allora cosa darà il padrone? A quelli che hanno sopportato il peso della giornata, la fatica e il caldo, che mai verrà dato? Le speranze dei lavoratori della prima ora vengono subito sgonfiate: anche a loro viene consegnato un denaro, il prezzo stabilito al loro ingaggio.

Penso che proprio in quest’ultimo passaggio stia in centro della parabola. Gli operai della prima ora si aspettavano qualcosa in più, erano convinti di essersi meritati una paga più alta dei loro soci assunti poco prima del tramonto. Proprio qui sta l’attualità della parabola, il punto su cui le nostre comunità dovrebbero interrogarsi e ciascuno di noi dovrebbe fare il punto della propria fede. Il rischio è quello di imbarcarsi con Dio in un rapporto di tipo sindacale, dove la mia retribuzione è stabilita in base ad un merito. A volte mi fa spavento sentire cristiani convinti di poter gestire la loro fede come la tessera di una pizzeria d’asporto, come se la cosa più urgente fosse mettere tanti timbrini per meritarsi un bel premio finale...

La logica di Dio – per fortuna! – non è come la nostra e il grande Isaia ce lo ricorda nella prima lettura: “Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri” (Isaia 55,8). Mentre noi ci preoccupiamo di meritarci una buona paga e contiamo soddisfatti i timbrini sulla nostra tessera, Lui ci lascia a bocca aperta: era meritata l’accoglienza del padre verso il figlio fuggitivo? E la benevolenza nei confronti della prostituta in casa di Simone il fariseo o il privilegio di una pasto (su auto-invito...) nella tana di Zaccheo? Era meritata l’incursione guaritrice nella casa della suocera di Pietro o la promessa fatta al ladrone sulla croce di essere inquilino certo del paradiso? Lascio a voi la risposta...

La nuova e dirompente logica di Dio che questa parabola ci mette davanti agl’occhi, dovrebbe provocare e punzecchiare soprattutto quelli che si sentono i più vicini e amano definirsi “religiosi” o “credenti praticanti”. Il Rabbì di Nazareth ci mette in guardia dall’orgoglio spirituale, dal sentirsi già a posto, consolidati, cementati e arrivati a destinazione.

Attenzione: il regno di Dio è una grazia e se non lo si accoglie come chi sa di non meritarsi nulla, si corre il rischio di aver faticato invano...

Buona settimana

 

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