TESTO Commento Giovanni 3,13-17
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2008)
Vangelo: Mt 20,1-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Osservate la delicatezza di Gesù incarnato in questo padrone.
"Uscito ancora verso le cinque ne vide altri che se ne stavano là, e disse loro....".
Se noi chiedessimo in giro che cosa avrebbe dovuto dire quel padrone a quella gente sfaccendata, la risposta sarebbe: "Avrebbe dovuto rimproverarli".
Invece Gesù, che applica, come del resto Sua Madre, la pedagogia, prima di rimproverare chiede: "Perché?".
Questa è cosa da tener ben presente: prima di rimproverare chiedete il perché dei fatti.
"Figlio, Tuo padre e io, angosciati, Ti cercavamo: perché ci hai fatto questo?". Bisogna chiedere sempre, prima di rimproverare, il perché, proprio perché ci potrebbe essere una spiegazione diversa da quella che si pensa.
Il padrone della parabola non ha detto: "Lazzaroni, sfaticati, perché ve ne state tutto il giorno in ozio mentre io lavoro...."; no! non li ha rimproverati ma ha chiesto loro il perché. E loro hanno risposto: "Perché nessuno ci ha preso a giornata". Questo era il motivo: il salariato dipende da colui che al mattino lo "assume" per un lavoro.
Ecco allora, che la figura di questi uomini che a prima vista potevano sembrare degli oziosi, cambia, perché il loro è un ozio forzato.
Molte volte ci sono degli ozi che non sono propriamente forzati ma che dipendono da alcune scelte. Una di queste è il fuggire la fatica. Lavorare è faticoso, e faticoso è soprattutto lavorare la terra: i nostri nonni dicevano che la terra è bassa e che quindi è faticoso lavorarla.... Questo è il motivo per il quale tanti abbandonano i campi e le case coloniche sperando nella vita di città e nella possibilità di studiare....
Bisogna considerare il lavoro nella sua giusta luce.
Finalmente, uno di questi ultimi anni, un Magistrato si è "svegliato" con l'idea che la gente stipendiata è giusto che lavori, "dichiarazione" che sovente colpisce nel segno ed esprime una colossale verità sull'assenteismo. Per anni e anni, nei posti di lavoro si sono fatti miliardi di chiacchiere che poi si sono mutate in miliardi di "deficit".
L'assenteismo era diventato una vera e propria "malattia" e... l'assenteismo provocava il fallimento delle ditte. E per coloro che non erano ammalati di assenteismo arrivavano i sindacati per far lavorare di meno. Per un "pezzo" da costruire in cinque ore, in realtà, ne venivano impiegate tre, e qui sorgeva il dilemma: o erano imbroglioni coloro che dicevano che ci volevano cinque ore o lo erano coloro che in tre ore costruivano il pezzo.
Usciamo da un'epoca in cui gente sanissima esibiva certificati medici in piena regola per 60, 90, 120 giorni di malattia... Malattie misteriose con diagnosi approssimative. Diagnosi con aggettivi che si sprecavano in tutte le "salse" per evitare il falso in atto pubblico, mentre si sarebbe dovuto usare, salvo rare eccezioni, un solo sostantivo e un solo aggettivo: "poltronite acuta": "l'ammalato è affetto da poltronite acuta e deve rimanere a casa per un po' di giorni, o un po' di settimane".
Per anni e anni abbiamo perseguito mete sempre più ambite: orario unico, settimane corte, cassa integrazione, e non ci siamo accorti che queste non erano mete.
Ci siamo battuti per avere più tempo libero e ora ci stiamo accorgendo che non serve a nessuno questa "libertà".
Dopo anni e anni di illusioni ci stiamo accorgendo che l'essersi battuti perché i figli avessero una vita meno faticosa, meno sacrificata, non è servito a nulla: il benessere non è una meta ma è una trappola.
Il senso del lavoro è andato, adagio, adagio perdendosi.
Invece, gli operai della parabola erano sulla piazza perché non avevano trovato lavoro.
Il lavoro è desiderabile, prima di tutto quale preventivo della noia, perché la noia che un uomo prova quando sta facendo un lavoro necessario ma non interessante, è nulla al confronto alla noia che prova quando non sa come impiegare la propria giornata.
La noia che prova colui che sta facendo un lavoro che non gli piace non è paragonabile alla noia di colui che è a casa e non sa cosa fare. Un esempio ce lo danno certi pensionati: ci sono certe pensioni che scattano in età non così matura.. e procurano un vuoto nella vita del cosiddetto pensionato al quale (a proposito) non passa neanche per la mente di dedicarsi a qualche opera benefica (non facevano nulla sul lavoro e non fanno nulla neanche in pensione!).
Ci sono poi certi lavori che vengono "snobbati": se si cerca un idraulico: poveri noi!; se si cerca una "colf" per qualche ora al giorno: apriti cielo perché vogliono cifre alte!
Bisogna mettersi in testa che il lavoro è anche una medicina.
Gli "slogans" del " '68" dicevano: il lavoro è un diritto. E' vero... se il lavoro c'è, ma purtroppo in una lettera al Direttore di un giornale ho letto: "Caro Direttore quando c'era lavoro i lavoratori non lavoravano, così non c'è stato più lavoro; adesso che non c'è più lavoro i lavoratori vogliono lavorare ed entrano in fabbrica anche picchiando le guardie. Non sarebbe stato tutto enormemente più semplice se quando c'era lavoro i lavoratori avessero lavorato?".
E' anche disonestà verso i colleghi che sgobbano il far "flanella". Questo succede maggiormente in quelle organizzazioni di lavoro che sono statali o comunali. Durante la settimana si vedono in giro troppe persone che ufficialmente lavorano alle dipendenze del Comune, ma che in realtà...., e se domandi loro cosa fanno in giro ti rispondono: "Sono ammalato".
Continuiamo con la parabola. Quegli uomini erano disoccupati non perché l'avevano voluto loro, ma perché non avevano trovato lavoro.
Vediamo l'atteggiamento del padrone, che rappresenta la mentalità di Gesù. Lui li fa andare a lavorare. Cosa gli possono servire un'ora o tre ore di lavoro? Alla mattina aveva già trovato gli operai che gli servivano, quindi l'esecuzione del lavoro era già assicurata. Perché prendere altri operai?
Qui si possono fare diversi ragionamenti.
Se ci si basa solo sul "profitto" è chiaro che non ci si può mettere a fare beneficenza.
Un proprietario deve vendere i suoi prodotti e il guadagno cerca di rimetterlo in "circolo"; non può costui utilizzare il guadagno solo per fare beneficenza perché altrimenti il lavoro di esaurisce: una ditta che ha lavoro può pagare i dipendenti solo se ha dei profitti, e i profitti non possono essere giudicati sempre solamente ingiusti. Il datore di lavoro non è necessariamente uno strozzino: esistono dei regolari scambi merce: tu lavori e io ti do lo stipendio.
Certo, in una Nazione dove il 60% di quello che uno guadagna va a finire allo Stato, ci si viene a trovare in una situazione illecita...
Sta di fatto che colui che ha un'azienda o un negozio deve guadagnare, perché altrimenti non può continuare nella sua attività e si trova a non poter "mantenere" lo stipendio ai dipendenti.
Gesù però va oltre a questo e dice: "Certamente uno che lavora deve lavorare e fare le cose secondo un piano lavorativo", ed ecco perché il "padrone" esce al mattino per cercare gli operai e trovatili stabilisce con loro la paga, e.... questa paga verrà data.
Ma nella parabola c'è una parte che in genere colui che fa unicamente un ragionamento economico non contempla: la misericordia.
Gesù dice: "Non puoi lavorare solo ed esclusivamente per un profitto tuo personale. devi tener presente che ci sono delle persone che si trovano in situazione disagiata, e anche se tu non hai obblighi nei loro confronti, devi applicare la misericordia".
E... una misericordia intelligente, non la misericordia paternalistica.
Il "padrone" prende gli operai che non hanno trovato lavoro e li manda a lavorare così dà loro la consolazione di pensare di prendere se non la paga di un'intera giornata, almeno la paga di qualche ora. Dà la certezza a quegli operai di poter provvedere al pasto dei loro figli per quel giorno, e se non con pane e salame, almeno con solo pane.
Il salariato del mondo orientale (in cui sorge questa parabola) ragionava in base alla giornata: si mangiava solo alla sera e solo se si avevano i soldi (ancora oggi in alcuni Paesi si mangia solo alla sera).
Il "padrone" dignitosamente manda a lavorare anche gli operai dell'ultima ora, così che essi non si sentano esclusivamente dei "beneficati", dei "poveracci" e gioiscano del fatto di poter provvedere alla loro famiglia. Questa è la vera misericordia: se fai il bene, devi farlo bene e in maniera intelligente, così da salvare la dignità di una persona.
Quindi, occorre si un ragionamento economico, ma in più ci vuole quello della misericordia!
Questo doppio ragionamento: quello del profitto, ma anche quello dei bisogni dell'altro, invece viene "attaccato" da chi ragiona solo per il profitto, sia questi padrone o operaio.
Nella parabola uno degli operai della prima ora dice: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso e il caldo della giornata...", ma il padrone giustamente gli risponde: "Amico, forse tu sei invidioso perché io sono buono?".
Questa è la realtà! Se si è buoni e si applica la misericordia, quasi sempre ci si trova di fronte all'invidia. E questo perché ci sono delle categorie nei lavoratori, e nei non lavoratori, che non sono per la giustizia sociale, ma per l'invidia sociale!
L'invidia sociale! Abbiamo passato vent'anni in cui certe persone sparse tra gli operai spingevano questi ultimi all'invidia e non alla giustizia. La reazione dell'invidia.
Il "padrone" è buono (forse contrariamente alla mentalità comune) ma trova subito la persona invidiosa che non accetta il suo modo di agire. E questo perché, molte volte, la giustizia viene presa come pretesto per coprire la propria invidia. L'esempio lo abbiamo in certi Magistrati "piccolini" che a volte sembra agiscano non per giustizia ma per invidia verso il potente. La giustizia deve essere rivolta al vero benessere.
Per questo sbagliano anche i sindacati quando fanno coincidere il benessere dell'uomo con il solo suo benessere fisico, dimenticando che il benessere dell'uomo comprende anche il benessere dell'anima. Bisogna pensare anche all'anima e non solo al corpo!
Benessere non è moltiplicare il tecnicismo. Certo, avere il frigorifero o la televisione che funzionano bene, tolgono tanti impicci, ma il benessere non è dato dal possedere le cose ma da come le si usano. Il benessere non è dato dal televisore o dal frigorifero, ma da come li usi; non è dato dall'automobile ma da come la usi e, nell'usarla devi sempre tenere presente che c'è la giustizia, ma anche la misericordia. Quante volte, io, usando la macchina devo usare la misericordia con certi "cretinetti" incoscienti di 13 o 14 anni che vanno in motorino e che non pensano che è molto facile cadere, perché non sanno che frenando col freno davanti e non con quello di dietro, bloccano la ruota davanti ed ecco... pronta la scivolata. L'adulto che guida la macchina e si trova dietro di loro cosa deve fare? Ammazzarli? No!, deve usare misericordia e prevedere i loro errori. Altre volte si ha diritto di passare (sempre con la macchina) perché il semaforo è verde, ma c'è il ragazzo con il motorino che passa con il giallo e allora.... bisogna usare la misericordia e frenare. Dico la misericordia perché per la giustizia si ha diritto di passare e che l'altro si arrangi....
Bisogna usare la giustizia e la misericordia.
Noi cristiani dobbiamo usare questo doppio metro perché questa parabola ci dice di fare così!
Non bisogna guardare solo al rapporto economico ma anche al bisogno dell'altro.
Per esempio, le case di C.so Vercelli hanno affitti astronomici, anche se sono rimaste case vecchie di ringhiera alle quali è stata cambiata solo la facciata: è giusto questo? Se la gente che le abita guadagna 1.500.000 lire al mese come si può chiedere loro certi affitti? Ci si deve adeguare anche ai bisogni delle gente e non solo al "mercato".
Il Signore dice: "Se sei cristiano devi tener conto anche della persona e non solo del profitto".
Questa parabola è il metro per giudicare un vero cristiano: ci possono essere delle persone che vengono in Chiesa ma che non sono veri cristiani perché non applicano la misericordia.
Ricordiamoci e imitiamo questo "padrone" buono, il quale "tiene d'occhio" non solo il profitto personale, ma anche il bisogno degli altri.