TESTO Altre vie, altri pensieri
don Marco Pratesi Il grano e la zizzania
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2008)
Brano biblico: Is 55,6-9
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
La lettura è parte della conclusione della profezia del Secondo Isaia. Si tratta di un'esortazione, che muove da una consapevolezza precisa: questo è il momento nel quale Dio è vicino, ed è pertanto possibile trovarlo, incontrarlo (v. 6). Tale incontro è costituito dal suo intervento salvifico in favore di Israele esiliato e dunque, in concreto, dalla sua liberazione che sarà, e non solo per Israele, un'esperienza forte di Dio (cf. 51,5). Di fronte a ciò, è richiesto all'uomo di cercare Dio e invocarlo (v. 6); di abbandonare modi di fare e progetti (vie e pensieri) vecchi, nei quali non c'è pace (cf. 48,22) e ritornare al Signore grande nella misericordia (v. 7). Questo richiede che si prenda atto di una distanza immensa, paragonabile a quella tra cielo e terra, tra i modi di fare e di pensare di Dio e quelli dell'uomo.
Si osservi la precedenza: è il volgersi a Dio che deve determinare l'abbandono del vecchio. A sua volta, esso è determinato dalla vicinanza di Dio. Ciò che mette in moto l'intero processo è dunque la sua volontà di avvicinarsi e farsi trovare. Senza questa libera prossimità di Dio, l'uomo non potrebbe volgersi da nessuna parte, potendo al massimo optare per un proprio miglioramento morale, che però rimarrebbe incluso nell'orizzonte delle vie e dei pensieri umani. Ma la novità decisiva è data proprio dal fatto che tali vie vanno abbandonate, e che quelle di Dio sono molto più ricche di misericordia e salvezza di quanto si possa immaginare. La distanza sta precisamente in questo: che laddove l'uomo ritiene di essere oramai finito, lontano da Dio e abbandonato a se stesso, Dio gli annunzia - e gli domanda di credere - la propria vicinanza che salva (cf. 50,8). In tal modo si fa anche chiaro che cosa ci sia richiesto: attendere sempre di nuovo la salvezza da Dio, sempre ricominciare a sperarla e a chiederla; abbandonare ogni modo di pensare e di agire che a qualsiasi titolo renda impossibile la fiducia nella misericordia divina e l'accoglienza di ciò che essa, gratuitamente e per puro dono, mette a disposizione. Si tratta sempre di «avere fame e sete», di «comprare senza denaro», e sempre di smettere di «spendere per ciò che non nutre» (cf. 55,1-2). Siamo nei pensieri terrestri ogni volta che non crediamo più possibile la liberazione; che diamo per definitivo il potere del male sulla (nostra) vita; che crediamo - e pretendiamo - di guadagnarci da noi la salvezza, di pagarla e doverla a noi stessi e ai nostri sforzi, invece che alla gratuità e al perdono di Dio. Siamo nelle vie terrestri ogni volta che agiamo di conseguenza. E qui si dispiega la vasta gamma dei comportamenti di morte, ossia del peccato. Ma Dio, ci dice il profeta, è sempre più grande di quel che pensiamo, e occorre cambiare modi di fare e di ragionare. Per questo ci invita prima di tutto all'ascolto: perché queste vie alte e questi inaccessibili pensieri scendono fino a noi e ci sono resi noti unicamente nella Parola di Dio: «ascoltate e vivrete» (55,3).
I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.