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TESTO Non sono solo a questo mondo

Marco Pedron   Marco Pedron

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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/09/2008)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Il vangelo di Matteo è strutturato in cinque grandi discorsi: questo, quello ecclesiale Mt 18, quello della montagna Mt 5-7, quello parabolico Mt 13, quello missionario Mt 10 e quello escatologico Mt 24-25.

Matteo in questo discorso parla alla sua comunità dando norme, consigli. Non vanno presi alla lettera perché è il tentativo di “tradurre” lo spirito di Gesù in comportamenti, regole, per uomini che hanno vissuto duemila anni fa in un ambiente e in una cultura molto diversa dalla nostra.

Non dobbiamo rimanere fedeli alle regole, che mutano nel tempo, ma allo spirito di Gesù: perché mentre le regole cambiano secondo i secoli e i tempi, lo spirito rimane per sempre.

Va colto, allora, il senso profondo: l’umiltà, la sollecitudine e l’attenzione verso gli altri. Se Dio abita nel tuo cuore non si vede tanto da quanto preghi o da quanto lo nomini, ma soprattutto nelle tue relazioni, nei rapporti con le persone e da come stai con gli altri.

“In ogni cosa, tu ama”.

Quando litighi, quando lotti, quando entri in conflitto, non dimenticarti mai in quel momento di amare. Si può non litigare mai e non amarsi, oppure si può anche litigare e amarsi. Dipende se impariamo da quello che ci succede. Quante persone litigano da anni per la medesima e identica cosa? Non hanno mai imparato. In questo caso il conflitto non serve, è inutile, fa solo male, perché non si vuole imparare, crescere. E’ un dialogo tra sordi.

Lo spirito di queste parole, quindi, non è la denuncia, lo scandalo, il mettere in piazza, ma l’amore. Se tuo fratello sbaglia, se c’è un problema, sappi che ha ancor più bisogno del tuo amore, quindi sii ancor più delicato, gentile, attento.

Il vangelo all’inizio dice: “Se c’è una questione irrisolta fra te e lui... va di persona, da solo”.

Il Levitico (Lev 19,17): “Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui”. A quel tempo era normale denunciare apertamente l’operato di una persona: se sai una cosa dilla a tutti. Gesù, invece, propone una cosa del tutto nuova, rivoluzionaria, contro la legge e la prassi comune.

C’è qualcosa che non va fra te e qualcuno? Va da lui e diglielo. Se ci vai, avrai il suo punto di vista: forse ti ricrederai, forse non era come tu pensavi. Va e senti di persona: non basarti su quello che dice la gente.

Un adulto, se c’è qualcosa che non è chiaro con qualcuno, va di persona e chiede spiegazioni. Un bambino, invece, lo isola, lo lascia solo, gli mette contro gli altri, sghignazza con i suoi amici.

Se ci aprissimo lealmente, potremo capirci, aiutarci e venirci incontro e smettere di giudicarci, perché quando le persone agiscono, spesso hanno i loro buoni motivi, è che noi non li conosciamo. Spesso le persone agiscono per paura, per fragilità, per ignoranza e non per cattiveria.

E noi, invece, cosa facciamo? Se abbiamo un problema, un contrasto, un’opinione differente con Tizio, andiamo subito a sparlare e a malignare con Caio. Se hai un problema con Tizio, maturità è andare da lui e chiarire. Hai un problema con Caio? Va da Caio. Chi agisce diversamente è un bambino infantile, pauroso e immaturo.

Per quattro volte viene ripetuto il verbo ascoltare. “Se ti ascolterà... se non ti ascolterà vai con una, due persone... se non ti ascolterà, dillo all’assemblea..., se non ti ascolterà...”.

Qui viene messo in luce il perché, le motivazioni, del nostro agire. Uno che mette in luce sempre il male degli altri, viene da satana: maledice, è una maledizione per il mondo. Uno che mette in luce il bene viene da Dio: benedice.

Le nostre parole tradiscono il nostro cuore perché la bocca parla dalla pienezza del cuore (Mt 12,34). Infatti se il cuore è pieno di rabbia, risentimento e dolore, dalla bocca non potrà uscire altro che giudizio, maldicenza e insinuazioni. E se il cuore è pieno di perdono, di Dio, di misericordia, dalla bocca non potrà che uscire questo. E’ quello che abbiamo dentro che esce fuori!

L’ascolto: come lo “vivi”? Ascolti veramente? Ascolti le parole o il cuore? Cosa vuol dire ascoltare?

Se ho già deciso che tu hai sbagliato, ti ascolto? Se non cambio mai parere, ti ascolto? Se non accetto visioni diverse dalle mie, possibilità e modi diversi dai miei, ti ascolto? Se alcune cose le voglio sentire e altre no, ti ascolto? Se quello che dici mi ferisce, “mi manda in bestia” e mi chiudo nel mio silenzio oppure tiro su un muro oppure “non voglio sentire ragioni”, come faccio ad ascoltarti? Se mentre tu parli penso a cosa risponderti, ti ascolto? Se ho sempre le risposte pronte per tutte le domande, credendomi un po’ Dio, ti ascolto? Se il mio problema è cosa diranno gli altri e quindi sono preoccupato di me e non di te: ti ascolto?

E se non ti so ascoltare, come faccio a dirti che ti amo?

La comunità di Matteo, come qualsiasi altra, non era perfetta: c’erano dei conflitti. Per questo Matteo sente il bisogno di dire: “In tutte le situazioni, ci sia fra di voi l’amore”. Non esiste una comunità, una famiglia dove non vi siano tensioni, conflitti e scontri. Litigare, entrare in conflitto, non significa non amarsi: vuol dire solo che si è diversi. E’ inevitabile!

È un bel problema se due persone non litigano mai: una delle due si è conformata all’altra. Non è in questo modo che si vede se ci si ama, ma da come vengono affrontati i conflitti.

La mia comunità, sia essa la famiglia, la parrocchia o il luogo di lavoro, è una comunità matura? Non solo dobbiamo stare assieme, ma dobbiamo imparare a stare assieme.

Nelle nostre giornate la normalità è la con-flittualità. Si litiga, si hanno pareri diversi, discordanti, si hanno esperienze diverse, ci sono problemi, crisi, difficoltà. Il conflitto è positivo. Il conflitto ci costringe a con-frontarci, a chiarire le nostre idee, ad allargare i punti di vista, ad essere umili. Senza il conflitto, le difficoltà, non si cresce.

Decisivo è come, in famiglia, tra marito e moglie o in comunità, affrontiamo le tensioni e i conflitti. Possono essere causa di divisione o comunione, di unione o rottura, di separazione o crescita.

È necessario, innanzitutto, accettare che ci siano dei conflitti o dei problemi. Se mettiamo sempre la testa sotto la sabbia, come lo struzzo, se in casa nostra deve sempre regnare l’armonia e la pace, è difficile crescere. Ci sono persone che vorrebbero vedere sempre tutto rosa: guai a rompere l’idillio familiare con un litigio! Ci sono persone che credono di non avere mai problemi... e questo è un bel problema!

Alcune persone sono così fragili e hanno un’identità così debole che identificano il contrasto con la fine del rapporto, il disastro universale, la paura di rimanere soli, il ferire l’altro, il non essere buoni. “Io la penso in un modo, tu in un altro: è l’assoluta normalità della vita. Non ti spaventare”.

C’è una persona che ogni volta che litiga si sente cattiva. Non alza la voce e non fa mai valere le sue ragioni perché potrebbe offendere l’altro o ferirlo. Così però non espone mai il suo punto di vista e fa sempre ciò che vuole il partner. Nella vita anche tra amanti ci feriamo (oltre che ad amarci): ma non è un problema! Perché chi non vuole assolutamente entrare in conflitto o è una vittima che subisce o è un tiranno che comanda in maniera dispotica.

Una donna è terrorizzata dal far valere le sue ragioni con il marito: ha paura che se ne vada, che la lasci. Ma così facendo la sua paura è la sua prigione: perché lui, in casa, fa il “bello e il cattivo tempo”.

Un uomo, invece, ha paura di litigare nel suo mondo lavorativo perché quando è successo ha percepito dei sentimenti forti, dei sentimenti nuovi che l’hanno impaurito. Ma non si accorge che è un agnellino in mezzo ai lupi: tutti lo “sbranano”.

E parliamone: ti espongo la difficoltà e ti ascolto, mi lascio mettere in discussione dalle tue parole.

Non è importante chi vince. Invece aver ragione sembra la meta dei nostri discorsi. Abbiamo bisogno di dominare l’altro, di dimostrare che noi abbiamo ragione. Ma dove c’è uno che vince, c’è sempre uno che perde, e chi perde si sente umiliato.

E ascoltiamoci. Ascoltare vuol dire: “Tento di mettermi nei tuoi panni (em-patia). Mi spoglio delle mie idee per sentire quello che senti tu e per mettermi dal tuo punto di vista”. Se rimango nel mio non ti ascolto.

Ascoltare vuol dire andare oltre le parole per cogliere quello che l’altro vive.

La maturità di una famiglia o di una comunità non si vede dal fatto che non ci sono screzi, che si fa tutto e insieme, ma dal confrontarsi in maniera sana nei momenti difficili. Il confronto ci fa crescere. Il conflitto, la crisi, la difficoltà è quello spazio che ci permette di lasciare un equilibrio per raggiungerne uno più profondo, che ci permette di comprenderci più in profondità.

A Mt sta molto a cuore la con-vivenza dei primi cristiani.

Mt vuole che le relazioni tra i cristiani siano fondate sull’amore, sulla verità e sulla libertà.

Molta gente dice: “Noi amiamo l’umanità; noi amiamo gli uomini”, ma non hanno mai amato un singolo essere umano. L’umanità non esiste da nessuna parte. Esistono solo gli uomini concreti.

Hitler, Stalin, Mao, amavano l’umanità: “Noi amiamo l’umanità e per salvarla si rende necessario uccidere degli esseri umani”. La foresta non esiste, è solo una parola, un’astrazione. Esistono solo alberi, alberi, alberi. Quello che ami non è cosa dici di amare ma come ami le persone, come stai realmente con loro. Molti uomini si prefiggono di amare l’umanità, ma non sanno amare il loro vicino di casa. È un po’ come l’uomo che cerca la foresta: “Ma ci sei dentro!”. “No, questo è solo un pino, questa è solo una quercia; questo è solo un abete; io voglio la foresta”. Le mie relazioni e come mi relaziono dicono chi sono.

Noi viviamo in una società: siamo esseri sociali., non siamo soli a questo mondo e dobbiamo imparare a relazionarci con gli altri.

Dobbiamo imparare a difenderci quando ci attaccano e a mettere dei paletti alle persone quando oltrepassano il limite; ad aprirci totalmente quando è possibile e quando troviamo fiducia; dobbiamo imparare a collaborare senza voler essere superiori agli altri e ad esprimere quello che abbiamo dentro senza doverci sentire inferiori a nessuno; dobbiamo imparare l’empatia per ascoltare l’animo che sta dietro alle parole di chi abbiamo davanti e l’ascolto che non giudica, che non cambia, che non dirige l’altro. Dobbiamo imparare a stare al centro e a stare in periferia, a non manipolare gli altri per i nostri scopi. Quando stiamo insieme dobbiamo imparare a gestire l’invidia, la gelosia, la competizione, i sentimenti inevitabili di odio, di rabbia o d’altro che ci suscita il con-vivere, senza nasconderceli.

Ma per tutto questo non c’è una scuola. C’è una scuola per tutto, ma non per imparare a vivere insieme. E così le coppie scoppiano (stare in due è già gruppo), le famiglie vivono molti malesseri e non sono molte le persone che hanno amicizie vere, forti e profonde.

Quando si sta in gruppo le persone si mostrano per quello che sono. Osservando il modo con cui una persona sta con gli altri si capisce chi è veramente.

La capacità di stare con gli altri, di collaborare e di condividere è un forte indice di maturità. Come l’incapacità di stringere amicizie vere è un forte indice di immaturità. Alcune persone conoscono migliaia di persone (conoscenti), ma non sono amiche di nessuno. “Se una persona ha conflitti con se stessa non può creare un rapporto armonico con gli altri perché noi tendiamo a proiettare i nostri conflitti, quanto le nostre tendenze aggressive e combattive sugli altri” (Assagioli).

Il gruppo è la proiezione della prima comunità della vita: casa mia. Quello è stato il “gruppo” dove abbiamo imparato i primi schemi di vita comunitaria: come sto nel gruppo rispecchia ciò che ho imparato a casa mia.

Ci sono persone nelle comunità che hanno sempre da dire con tutti; altre che non vengono, non partecipano e fanno solo opera di sabotaggio; altre che sono sempre scontente e, a loro dire, saprebbero come far andare bene le cose, è che non hanno il tempo; altre che sono gelose perché “quelli del prete hanno i loro preferiti”; altre che non fanno altro che sparlare e gettare fango; altre che se non sono le prime, che se non sono elogiate non fanno niente; altre che devono essere messe su di un piedistallo; altre ancora che ti aiutano ma hanno bisogno di farlo notare; altri che eseguono solo, altri che vogliono solo comandare, ecc.

La comunità è la loro mamma o il loro papà: stanno rivivendo nell’oggi nient’altro che schemi vissuti tanti anni prima. Non sono cresciuti, sono rimasti dei bambini.

In certe comunità parrocchiali, ad esempio, tutto è controllato, tutto deve passare per il parroco che deve sapere ogni cosa. Un po’ come certi papà o mamme che, soprattutto una volta, ti controllavano in tutto. Ma se vieni controllato in tutto non c’è spazio per la spontaneità e per la fiducia. E’ come essere al Grande Fratello, sempre sotto giudizio.

Una volta un parroco arrivò a chiedermi: “Cosa hai fatto dalle 16 alle 16.10?”. “Sono andato in bagno!”.

In alcune realtà tutto è specificato nei dettagli: ci sono regolamenti e criteri per fare qualunque cosa. È il tentativo di controllare le persone: vi è una profonda sfiducia nelle persone perciò tutto è già stabilito come dev’essere fatto; le troppe norme implicano che le persone sono dei mascalzoni, che “cercano di fregarti”. Se poi qualcuno porta qualche idea nuova, non può essere! Come il bambino, bisogna rivolgersi sempre e in tutto al papà o alla mamma che è il parroco o il superiore.

In un patronato c’era scritto addirittura come dovevano essere posizionate le sedie, a quanti centimetri dovevano stare dal muro e la distanza tra l’una e l’altra!

In altre realtà la comunità diventa un sostituto della madre. La comunità diventa il tutto, un luogo accogliente, protettivo. Il valore primo è “il gruppo, lo stare assieme, il fare famiglia”. Il gruppo è più importante della persona: la persona è a servizio del gruppo e non la aiuta a crescere. Queste comunità sono molto cercate da tutti quei “bambini” che hanno bisogno di una mamma, di protezione, di quel nido che non hanno avuto a suo tempo.

Alcune comunità sono asili-nido per adulti: da anni le stesse persone fanno sempre le stesse cose, si chiamano sempre fra di loro, nessuno di nuovo può entrare e tanti sorrisi (falsi).

In altre la comunità diventa un sostituto del padre: quello che si decide è legge e tutti obbediscono. Quello che dice il Papa, il vescovo, il capo, si fa e non si discute. Queste comunità sono molto cercate dalle persone che non hanno una propria maturità e la cercano in altri, che sono fragili interiormente, che vogliono regole chiare, norme precise. Stanno cercando quel padre che non hanno avuto o del quale sono ancora soggetti.

“Non c’è tanta differenza tra il vendere il tuo cervello al tuo vescovo o ad un gruppo estremista” disse una volta Tonino Bello ad uno dei suoi preti. E pensare che chi si comporta così si sente santo e ubbidiente. Come il bambino che fa quello che piace al papà per ottenerne l’approvazione.

Una volta un consacrato mi disse: “Se non vuoi mai sbagliare fa sempre come ti comandano!!!”. Così fanno i terroristi islamici e così fecero i generali tedeschi delle SS.

Poi c’è una frase bellissima: “Se due si accorderanno per domandare una cosa il Padre ve la concederà”.

Ac-cor-dare vuol dire avere il cuore che batte alla medesima frequenza, in greco è sin-fonia. L’accordo è formato da note diverse: ogni nota è diversa, ma insieme formano l’ac-cordo, la bellezza.

“Se due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. L’unità è cantare con la stessa lunghezza d’onda, è quando i nostri cuori sono uniti, quando le nostre profondità si incontrano, quando ci incontriamo nell’intimità, nel segreto della nostra vita. Quando avviene questo sperimentiamo una forza irresistibile, sperimentiamo che Dio è presente lì.

L’unione di due persone non sta tanto nello sposarsi, nel quanto tempo stanno insieme, nel quante cose fanno insieme, ma nella profondità del loro stare insieme.

Di alcuni santi si dice che nel loro parlare intimo, profondo, con-sonante, il tempo si fermò. Di Francesco e Chiara si racconta che un giorno, mentre parlavano, i loro cuori erano così vicini, intimi, che si alzarono fiamme altissime, tanto che la gente pensava che S. Maria degli Angeli avesse preso fuoco.

Anche noi ci diciamo un sacco di cose, ma spesso non siamo uniti. Non sperimentiamo la forza dell’amore perché i nostri cuori non vibrano mai in profondità. Parlare di quello che si è fatto oggi, del tempo, del vicino di casa, del lavoro, non ci guarisce, non ci sana, non ci fa incontrare.

Ciò che ci rende uniti, che ci salva, è quando non è solo quando ci “diamo” parole, ma diamo noi stessi nella nostra vulnerabilità, nelle nostre paure, nelle nostre imperfezioni. L’unione nasce dal “metterci a nudo”, dal farci vedere per quello che si è, dal darsi le parti più profonde. Bisogna avere il coraggio di farlo e la fiducia di non essere traditi.

In un racconto si narra che ad un rabbino fu chiesto: “Fino a quando dovrò ammonire mio fratello?”.

E il rabbino rispose con quattro domande: “Quanto tempo ci vuole per fare una casa?”. E il discepolo rispose: “Un anno”. “Quanto tempo ci vuole per fare un albero?”. “Cinque anni”. “Quanto tempo ci vuole per fare un figlio?”. “Quindici anni”. “E quanto tempo ci vuole per distruggere tutto questo?”. “Un attimo!”.

“Ci vuole così tanto tempo per costruire, basta un attimo per distruggere”. Quando parli, quando ti relazioni con gli altri, tieni sempre presente questa regola e stai attento alle tue affermazioni perché le parole possono essere come delle bombe: una volta innescate, scoppiano.

Pensiero della settimana

Tu sei cieco e io sono sordo e muto:
se la tua mano tocca la mia ci capiremo.
Se ti nascondi nel mio cuore non sarà difficile trovarti.
Ma se ti nascondi dietro il tuo guscio,

sarà del tutto inutile che chiunque tenti di cercarti.

 

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