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TESTO Ce n'è per tutti

Marco Pedron   Marco Pedron

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/08/2008)

Vangelo: Mt 14,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Il miracolo di oggi, la moltiplicazione dei pani, è l'unico miracolo raccontato da tutti e quattro gli evangelisti. Addirittura, Mc e Mt lo raccontano due volte. Più che la moltiplicazione, il miracolo è la distribuzione di pane e pesci a tutta questa gente. Storicamente, dicono gli esegeti, è assai difficile che sia avvenuto il miracolo.

L'A.T. riporta il miracolo del profeta Eliseo (sfamò quattrocento persone con venti pani d'orzo: 2 Re 4,42-44). Chi ha composto questo brano voleva dire: "Qui c'è ben più di Eliseo!".

Chi raccontava questo brano di certo conosceva l'ultima cena di Gesù e le parole usate lo rivelano ("prese i pani, pronunziò la benedizione, li spezzò e li diede ai discepoli). Allora si voleva dire: "Ogni volta che noi celebriamo l'eucarestia avviene questo miracolo: Dio si da a tutti e sfama tutti".

Non dobbiamo poi dimenticare che Gesù parlava spesso di Dio e del suo regno con l'immagine del banchetto. Banchetti e pranzi ebbero un ruolo fondamentale nella vita di Gesù e di questo era accusato in continuazione (Mt 11,18-19). Probabilmente tra i suoi pranzi e le sue cene ce ne deve essere stata una di memorabile, sia per l'insolito numero di partecipanti che per il luogo dove avveniva (il lago di Galilea). Questa cena memorabile, ricordata dai primi cristiani attraverso il filtro dell'ultima cena e del miracolo di Eliseo ricordato nell'A. T., avrebbe fatto nascere quest'episodio. Certamente c'è un episodio storico dietro a questo grande miracolo, ma cosa sia veramente successo è ormai impossibile stabilirlo.

Gesù cerca un luogo di riposo. Pressato dalla gente e dai suoi bisogni, si stacca e prende un tempo per ri-centrarsi, per ascoltarsi, per stare con sé e semplicemente per riposare. Non dobbiamo mai aver paura né colpevolizzarci se prendiamo del tempo per ricaricarci. Se ci lasciamo divorare dagli altri e poi "ci mangiano" non è colpa loro, ma nostra che glielo abbiamo permesso. Quando è troppo devi dire: "Basta; stop", anche se deludi o scontenti qualcuno. Quando Gesù torna c'è una moltitudine di gente che lo aspetta, gente che era venuta dalle città, aveva fatto strada e lo aveva aspettato. Dove c'è la verità la gente aspetta, si mette in coda e fa molta strada, cioè sacrifici, sforzi, chilometri, per ascoltarla. Perché la verità ti guarisce e ti sazia.

Ma viene sera e c'è un problema che assilla i discepoli: "Qui si fa sera e la gente ha fame. Come faremo?". "Accipicchia qui adesso ci tocca mettere mano al portafoglio; come facciamo adesso con tutta questa gente?; che chieda a noi di pagare per tutta questa gente? Non è un problema nostro, se è venuta per lui che si arrangi lui ("congeda tu la folla"). "La gente ha tanta fede finché non le tocchi il portafoglio", diceva il mio parroco.

E qui avviene il miracolo. Il senso del miracolo è che più si condivide e più le cose si moltiplicano.

L'unione fa la forza. Condividi quello che hai, quello che sei, quello che conosci e tutto si moltiplicherà. Se ci si mette insieme i miracoli s'avverano. Se ognuno fa la sua parte l'impossibile diventa possibile.

In un'azienda, più ognuno mette a disposizione di tutti le informazioni, le proprie capacità e risorse professionali e umane, e più quell'azienda funzionerà.

Tra amici, più si condivide ciò che si vive, ciò che si prova, gli alti e i bassi delle proprie giornata e più l'unione si moltiplica, diventa forte, intima e profonda. Una gioia condivisa si moltiplica; un dolore condiviso si dimezza.

In un pranzo, se ognuno porta qualcosa e poi si condivide, tutti mangiano a sazietà, e ne rimane sempre tanto.

In Ecuador, come in tante altre parti del mondo, si collabora insieme per costruire le case. Uno deve farsi una casa? Tutti lavorano i fine settimana per lui. In poco tempo la casa si costruisce e poi si aiuta un altro.

Quando c'è un progetto da costruire o da ideare, se tutti si giocano e mettono le loro idee, i loro punti di vista, e sono disposti ad accettare quelle degli altri, allora la condivisione genera idee geniali.

In un quartiere c'era il problema delle baby-sitter. Così c'erano 15 bambini e 15 baby-sitter. Ma qualche mamma illuminata ha detto: "Perché non ce li teniamo a turno noi i nostri figli, senza pagare!?". Così ognuna di loro si è impegnata in un giorno libero dove teneva i bambini degli altri. Un'idea semplice, ma geniale, economica ed educativa.

Mentre la società tende a dividerci sempre più, a privatizzarci, a singolarizzarci, noi abbiamo bisogno di metterci insieme, di aiutarci, di condividere, di offrire ciascuno ciò che può offrire.

Il miracolo vuol dire: quel che sembra impossibile spesso non lo è.

"Essere credenti significa assumere l'impossibile come possibile" (Balducci).

Cinquemila uomini, l'impresa sembra impossibile: "Ma dai non scherziamo!". Chi l'avrebbe detto? Eppure tutte le grandi rivoluzioni dell'umanità (l'indipendenza dell'India; il Cristianesimo; la rivoluzione francese) partirono da singole persone che misero in circolo e in comune le loro forze. Lao-Tse diceva: "Un viaggio di mille chilometri comincia sempre con un singolo passo". Mao-Tze-Tung: "Faremo il cammino dei diecimila passi, solo se avremo il coraggio di fare il primo passo". Un debole più un debole non fanno due deboli ma un forte perché l'unione fa la forza.

Gli sms di un euro in occasione dello tsunami hanno raccolto 43 milioni di euro.

Quando io guardo alla società mi prende un senso di scoraggiamento: "Siamo dentro ad un sistema; non si può far niente; non serve a niente il mio impegno; siamo solo delle pedine". Sì è vero, isolati siamo solo delle pedine e facilmente gestibili e mangiabili dalle "dame". Ma mettiamoci insieme, convogliamo le nostre forze su di un'ideale comune. Ciascuno metta il suo voto, i suoi cinque pani e i suoi due pesci, ciascuno faccia la sua parte e vedremo.

La società, dividendoci, ci fa sentire deboli. Uniamoci e avremo una forza irresistibile. Pensate se metà degli Italiani (non dico neanche tutti) decidesse di non guardare per una settimana un canale televisivo: dovrebbero ascoltarci! O di non telefonare più o di non fare più benzina con una tale compagnia? Ci dovrebbero ascoltare. Non è vero che non siamo forti. Se siamo divisi siamo nessuno; ma se siamo insieme nessuno ci può fermare.

Una storia africana racconta che un vecchio morente chiama la sua famiglia al capezzale. Dà un bastone corto e robusto a ciascuno dei numerosi figli, mogli e parenti. "Rompete il bastone", dice loro. Con un po' di fatica tutti riescono a spezzarlo a metà. "Ecco come vanno le cose quando un uomo è da solo, senza nessuno: è facile spezzarlo". Poi il vecchio dà un altro bastone a tutti i famigliari: "Ecco come vorrei che viveste dopo la mia dipartita. Riunite insieme due o tre bastoni e provate a spezzare a metà il fascio". Nessuno riesce a spezzare i bastoni riuniti. Il vecchio sorride: "Siamo forti quando stiamo insieme. Quando siamo insieme non ci possono spezzare".

Quando guardo a me, mi risulta difficile pensare a qualcosa di grande. "Ma chi l'ha detto?". Quando guardo a certe situazioni di coppia, a certe malattie, a certi caratteri, sembra impossibile il cambiamento. "Ma chi l'ha detto?". E' impossibile perché non ci hai ancora provato! Le cose spesso non sono impossibili, sono solo faticose: ti costringono a faticare, a cambiare e a rivoluzionare la tua vita.

Questo vangelo è un inno all'umiltà: fidati di quel poco che hai.

Cinque pani e due pesci è quello che sono io. Cosa sono? Beh sono proprio ben poca cosa.

Se io guardo a quello che sono dentro, alle mie capacità, alle mie doti, a ciò che posso fare o che sono capace di fare, beh sono proprio ben poca cosa. Quante persone dicono: "Non sono capace di fare niente! Cosa vuoi che realizzi nella vita con queste scarse capacità che ho".

Ma è proprio questo il miracolo della vita e del vangelo: ciò che è scarso per l'uomo è infinitamente grande per Dio. E se tu ti fidi di quel poco che sei e che Dio stesso ha creato farai cose grandi.

A tutti noi piacerebbe avere doti straordinarie, essere bravi musicisti, atleti, simpatici ed empatici, avere doti fuori dal comune, essere abili nell'informatica, nelle lingue, profondi e sensibili con le persone. Ma se avessimo tutto questo ci crederemmo probabilmente degli dei e Dio conoscendo bene questo pericolo non ci ha dato troppe capacità, ci ha dato cinque pani e due pesci.

Se tu guardi a quello che hai, a quello che sei, allora ti deprimi, allora pensi che non andrai da nessuna parte nella vita, allora ti senti un fallito. Se tu guardi a quello che non c'è, a quello che dovresti essere, a quello che non sei, non farai nulla. Ma è qui che deve emergere la tua fede: guarda a quello che hai, se avrai fede e ti fiderai di ciò che Dio ha messo nel tuo cuore, compirai cose grandi.

Il vangelo presenta due atteggiamenti di fronte al poco che c'è.

I discepoli disprezzano quel poco che hanno: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci" come a dire, "ma cosa vuoi pretendere con questa miseria che c'è". Gesù, invece, prende quella miseria, guarda il cielo (cioè ringrazia Dio per ciò che c'è) e la benedice.

Questi sono i due atteggiamenti che io posso avere nei confronti della mia vita: la posso disprezzare o benedire. Posso dire: "Non sono niente; ah, se avessi...; beati quelli...; perché Dio mi ha creato così povero"; oppure posso ringraziare e benedire per ciò che sono: "Dio mi ha dato questo e tocca a me sviluppare quello che sono. Quello che ho, quello che sono mi è stato dato perché io faccia miracoli".

Naturalmente la maggior parte delle persone crede che il fare miracoli sia solo per alcuni eletti, ma mai per sé.

La maggior parte di noi vive di un complesso di inferiorità cronico: "Sono meno degli altri; se avessi quello che hanno gli altri...". E così facendo si continua a rincorrere, a volere, a desiderare ciò che non si ha, ciò che non si è, invece, di far nascere e di sviluppare quello che si è.

La maggior parte di noi vive di un complesso cronico di non accettazione: "Quello che sono non va bene; non sono niente". Abbiamo il timore di essere brutti, inadeguati, inferiori. E siccome lo crediamo, poi anche lo diventiamo.

Dappertutto si sente dire la classica frase: "Accetta quello che sei". Ma la realtà è che quasi tutti noi non ci accettiamo, ci vorremmo diversi, più belli o più intelligenti, più simpatici o più atletici e quant'altro.

Ho visto una scena di vita quotidiana che mi ha fatto molto pensare. Siamo in casa, c'è la mamma e c'è la figlia. La figlia vuole mangiare le albicocche. La mamma dice: "C'è del melone, un po' d'anguria, delle pesche e delle ciliegie. Prenditi quello che vuoi". "No, io voglio le albicocche". "Ma non ci sono". "Io voglio le albicocche", e si mise a piangere e fare mille capricci.

Spesso noi siamo come quella bimba: facciamo mille capricci e vogliamo quello che non c'è o che non siamo.

Questo vangelo mi dice che io devo imparare ad accettare quello che sono, devo prendere i cinque pani e due pesci che sono io. Amarsi vuol dire accettare ed essere felici per quello che si è, così come si è oggi.

Aver fede è prendere sul serio che quello che sono viene dall'Alto, viene da Dio. Se io vengo da Dio, se mi ha creato Lui allora in me c'è la Sua forza. Voler essere diverso da ciò che sono è dire a Dio che si è sbagliato con noi, che ha creato qualcosa di scarso e di fatto male. Aver fede è avere l'umiltà di credere che in questa piccola creatura che sono io ci sono veramente grandezza e forza.

Poi questo vangelo dice: anche se non sembra, ce n'è per tutti!

Gandhi: "La terra è sufficiente per i bisogni fondamentali di tutti, ma non per la voracità dei consumisti".

Io possiedo un panificio e un mercato di pesce. Tu non hai niente. Io vendo pane e vendo pesce. Con ciò che guadagno apro un altro panificio e un altro mercato in un altro posto. Tu non hai niente. Siccome tu non hai niente io ti dico: "Ti presto cinque pani e due pesci?". Sembro gentile, sembra un atto d'amore e di carità, un atto di bontà d'animo! Tu mi dici: "Grazie", ma cos'altro potresti dirmi visto che stai morendo di fame? Intanto ti lego a me: perché tu mi devi ridare quanto io ti ho dato. E così aumento il tuo senso di inadeguatezza: "Io non valgo niente, io non sono capace di niente".

Tu ti mangi i tuoi cinque pani e i tuoi due pesci: dopo due giorni hai di nuovo fame. Allora vieni da me. Io ti dico: "Va bene, io ti presto altri due pesci ma tu me ne devi ridare cinque. I due che già hai mangiato, più i due di oggi, più uno per l'aiuto che ti do". Fame hai fame, cosa puoi rispondermi? E la cosa continua... Il 35-50% delle entrate di ogni paese povero è assorbito dal pagamento del debito estero.

Cosi io divento sempre più ricco e tu sempre più povero. Tu non lavori più per costruirti una casa, una barca, un'attività o per mantenere la tua famiglia. No, tu devi lavorare per rimborsarmi ciò che mi devi. E poiché tu ovviamente non sei in grado di ridarmi ciò che mi devi, io mi prenderò le tue risorse, le tue terre, i tuoi beni e perfino le tue donne. Tutto questo, dice il sistema, è giusto: mi prendo ciò che mi spetta.

Questo si chiama libero mercato. Lo stato non interviene perché il libero mercato crea ricchezza. Sì ma nei ricchi e non nei poveri. Meno stato vuol dire privatizzare, vuol dire meno scuole, meno lotta al colera, meno ospedali, meno sanità, meno case popolari, meno locali pubblici per lo svago, meno possibilità umane, meno comunicazione e trasporti pubblici, ecc. Per i ricchi questo non è un problema, visto che se lo possono pagare!

E così finché tu diventi sempre più povero e dipendente da me, che invece divento sempre più ricco. Se poi io povero mi arrabbio e decido, se ci riesco, di imparare a pescare, allora interviene l'autorità che dice: "No, tu non devi pescare, tu devi comprare il pesce da me". Pensate a cosa sta succedendo con i medicinali in Brasile: i farmaci contro l'a.i.d.s si possono produrre a basso prezzo e il Brasile l'ha fatto, ma le grandi multinazionali sono insorte. Non importa che le persone muoiano, perché ciò che conta è il profitto!. Se poi inizio a rubarti ciò che tu ricco hai (sempre sbagliato) allora divento un ladro. Ma chi è il vero ladro?

I poveri hanno un debito di 2.500 miliardi di dollari e ogni anno regalano ai ricchi 200 miliardi di dollari. Mentre i prestiti ai paesi poveri non arrivano neanche a 50 miliardi di dollari!

300-400 persone controllano un reddito pari a 48 stati nazionali (600 milioni di persone). Il 20% del mondo consuma l'83% delle risorse. Al restante 80% rimane ciò che noi non divoriamo.

Nel 2001 sono morti 11 milioni di bambini per malattie meno gravi di un raffreddore; la malattia del sonno ha ucciso più di 300.000 persone e la tubercolosi 8 milioni.

Allora questo vangelo dice una cosa molto semplice ma molto rivoluzionaria: pane, cibo, acqua e terra ci sono per tutti. Ma se l'unico valore è il profitto o l'accumulo allora non ce ne saranno affatto per tutti.

Il vangelo non è neutrale: ti costringe a prendere una posizione. Prendi quella che vuoi, ma non puoi lavartene le mani perché il farlo è già una posizione e una scelta. Non puoi non scegliere.

O ti metti nella logica di condividere tra tutti quello che c'è, e ce ne sarà per tutti, oppure ti metti nella logica del profitto, del libero mercato e dell'accumulo e non ce ne sarà per tutti.

La logica della vita è: un po' meno per me, ma per tutti. La logica della morte: io mangio, produco, consumo e degli altri "non me ne frega niente". Ma un giorno dovremmo rendere conto di tutti questi morti anonimi: per il fatto che non li uccidiamo fisicamente o che non vediamo con i nostri occhi i corpi morti, non vuol dire che non ne siamo colpevoli o responsabili. E saranno proprio loro a giudicarci.

Allora quel "distribuire a tutti il pane" vuol dire che siamo un'unica famiglia. Questo è vero il concetto di globalizzazione.

Siamo un'unica grande famiglia. Il bene o è di tutta la famiglia o tutta la famiglia ne soffrirà. Come dire: se sto male allo stomaco o se ho il mal di denti, tutto il corpo ne risente. Solo se ogni singola parte del corpo sta bene, la persona sta bene, è sana. Se c'è condivisione allora ce n'è per tutti. Se manca condivisione, allora ce n'è solo per pochi. La torta c'è, ma se uno ne mangia metà da solo, allora qualcuno ne rimarrà senza.

John Young in occasione del quinto viaggio sulla Luna, il 16 aprile 1972 diceva: "Da questa prospettiva non ci sono bianche o neri, divisione tra est ed ovest, comunisti e capitalisti, Nord e Sud. Formiamo tutti un'unica terra. Dobbiamo imparare ad amare questo pianeta di cui siamo una piccola parte".

Tieni tutto per te...

Tieni tutto per te... e riempi il tuo frigo di verdura, frutta e formaggi. Non darli a nessuno e non condividere, non rischiare che te ne manchi. Sai cos'accadrà? Che ne butterai via un sacco.

Tieni il tuo tempo tutto per te... non darlo a nessuno, non fare niente per gli altri e sai cos'accadrà? Accadrà che ti sentirai solo e inutile.

Siamo stati al camposcuola con i ragazzi. Una faticaccia, ma dare il nostro tempo e le nostre energie a loro ci ha arricchiti di entusiasmo, di voglia di vivere e di felicità.

Tieni le tue cose tutte per te... non prestarle a nessuno perché te le potrebbero perdere o rovinare. Sai cos'accadrà? Accadrà che nessuno ti vorrà e che il tuo animo diventerà duro e sospettoso. Una statistica rivela che più si sale nella scala sociale (per ricchezza e status sociale) e più la gente è infelice e si suicida.

Tieni tutti i tuoi soldi per te... e accumula, accumula, accumula e sai cosa accadrà? Un giorno verrà l'angelo della morte e te li porterà via tutti (Lc 12,13-21).

Un giorno una rana vide in un prato un magnifico bue che brucava l'erba. "Com'è maestoso", pensò. "Ora provo a gonfiarmi: voglio diventare come lui". E così incominciò a tendere la sua pelle rugosa. "Figlioli, chiese ai suoi ranocchi: vi sembra che ora possa battere il bue in grossezza?". "Neanche lontanamente", risposero quelli. Allora la rana, indispettita, riprese a gonfiarsi con maggior sforzo.
E si gonfiò così tanto che, ad un certo punto, scoppiò.


Pensiero della settimana

E' una donna eccellente, praticante, edificante, rispettabile,

maledettamente rispettabile. Nulla da dire a suo riguardo: è un esempio, un modello... In chiesa, ai primi posti, ha il suo inginocchiatoio, rivestito di velluto rosso per meglio seguire la sua messa (perché anche la messa è sua). Fa freddo. S'è imbottita, lei e il suo bambino, e viene avanti, a testa alta, in direzione della chiesa, tranquilla e senza commozione. Va, come si dice, a fare le "sue devozioni". Fa freddo. Pure con i guanti foderati sente che fa freddo. S'affretta allora ad attraversare il portico senza notare il Povero che l'aspetta... Ella dice: vado dal Signore, vado a pregare il Cristo, il grande che ci amò fino alla morte.
E Gli passa davanti senza neppure riconoscerLo.
Parla al suo bambino: "Vieni a vedere il piccolo Gesù".

E il ragazzino - fa così freddo – urta, per entrare più in fretta, il Bambino povero e seminudo che l'aspettava.

Ma sì, è una donna eccellente... E' sicura di sé, sicura di fare il bene e di compierlo meglio. Se il buon Dio n'è contento?
E' una questione, in verità, che non s'è mai posta.

Battezzata, comunicata, cresimata e maritata; tutto questo in chiesa...e quanti fiori c'erano e le candele e l'organo!

E poi la preghiera, la messa di domenica e il pesce di venerdì.
In breve tutto quello che le hanno detto di fare.

Tutto quello che si deve fare per non andare all'inferno lei lo fa.

Sicuro ch'è contento il Buon Dio! Altrimenti, detto tra noi, sarebbe proprio incontentabile - e di fronte a tanti meriti, ben ingrato – se non facesse ammazzare il vitello grasso appena lei arriverà in Paradiso... Ha fatto proprio tutto quello ch'era comandato! Allora... Allora che cosa? Niente.
Sulla porta, nel freddo della notte,

il buon Dio e suo Figlio aspettano ancora...

(Raoul Follereau, Se Cristo domani busserà alla tua porta..., 1957)

 

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