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TESTO Ma la zizzania serve a qualcosa...

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/07/2008)

Vangelo: Mt 13,24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 24espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

Forma breve (Mt 13,24-30):

In quel tempo, Gesù 24espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

Sappiamo e crediamo che Dio è Amore. Ma come potrebbe egli manifestarsi tale se non avesse qualcuno da amare? Sappiamo che Dio è giustizia ed equità. Ma come potrebbe mostrare il suo intervento giustificatore se non avesse terreno fertile per esercitare la prerogativa della giustizia, in altre parole se non vi fossero situazioni di malvagità, schiavitù e sopraffazione?

Dio è anche perdono e misericordia infinita; ma come potrebbe egli dimostrare la sua tendenza alla riconciliazione con i peccatori se non vi fosse nel mondo la realtà del peccato?

Come potrebbe Dio qualificarsi come nostra speranza e garanzia, se non avessimo tutti i giorni qualcosa verso cui protendere e se non dovessimo aspettare la realizzazione di benefici futuri? Come potrebbe lui essere a pieno titolo Provvidenza se non vi fossero situazioni di miseria e di povertà? La discrepanza antesignana fra ricchi e poveri nel mondo invece ci aiuta a comprendere che quello che possediamo proviene unicamente da Dio, unico che fondamentalmente è in grado di dispensare a piene mani e dal quale dipende ogni cosa. "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto", afferma Giobbe.

Riflessioni come queste ci aiutano allora a dare una risposta definitiva alla realtà del male, dell'ingiustizia, della cattiveria e di ogni altra contrarietà che da sempre viene lamentata dall'uomo poiché è appunto nell'esistenza di codeste avversità che noi possiamo esperire la presenza di Dio come sofferente con noi nella sofferenza fisica e morale, esultante nelle nostre occasioni felici e soprattutto Amore infinito laddove di amore c'è bisogno.

Quando si dice che esiste una virtù, occorre che vi siano anche le condizioni per cui essa venga esercitata, le persone a cui essa venga destinata e l'oggetto materiale e formale per cui essa è stata posta in essere affinché si possa affermare che questa è una virtù e se ne possano godere le conseguenze e la stessa messa in atto.

La panacea è invece la generale preclusione di tutti i problemi, lo stato di atarassia e di benessere assoluto per il quale non occorre lottare per vivere poiché tutto è immediatamente garantito e i rischi sono inesistenti e tutto procede secondo i nostri desideri; ma in un simile (ipotetico) appiattimento di vita, fra l'altro apportatore di vacuità, mestizia e appannamento della persona, come si potrebbe da parte nostra sperimentare di essere davvero raggiunti dall'amore, dalla speranza e dalla misericordia di Dio? In termini elementari, se ogni cosa corrispondesse esclusivamente alle nostre aspettative e tutti i nostri desideri giungessero sempre a buon fine, come potremmo noi fare esperienza che davvero Dio è quello che la Rivelazione e la Scrittura ci hanno proposto? E soprattutto, come potremmo noi stessi esercitarci nella virtù di fede, speranza, carità e gustare la ricchezza del premio che fa seguito alla lotta e alla perseveranza?

L'oasi e l'acqua fresca si gustano meglio dopo chilometri di cammino nel deserto, ma se restiamo sempre all'ombra diventano delle banalità. Così il bene si gusta meglio contestualmente alla presenza del male e l'amore di Dio si rende magnifico e propizio solo nel turbine della cattiveria del mondo.

Per questo Dio permette al maligno di realizzare la sua opera e di inficiare la nostra convivenza, senza tuttavia volere in alcun modo il male. Fra il permettere e il volere (e il preferire) ci è una differenza sia concettuale che semantica, per la quale noi dobbiamo concludere che Dio permette che sussista il male nel mondo ma non lo vuole.

E tale differenza viene delucidata dalla liturgia odierna, soprattutto nella pagina del vangelo di Matteo, la quale delinea come la zizzania debba convivere accanto al grano, confondendosi fra le spighe dei campi e traendo in inganno i contadini: seminata da un ignoto sabotatore (il maligno) questa insidiosa coltura si insinua in mezzo ai frutti buoni della terra ostacolandone la crescita e lo sviluppo e la difficoltà maggiore risiede nel fatto che la zizzania è quasi simile al grano: non sempre la si riconosce e la si distingue facilmente e potrebbe anche essere confusa.

Così anche il male percorre il suo itinerario storico assieme al bene in una costante dicotomia e in un alternarsi continuo e non di rado il male sembra avere la prevalenza. Tuttavia l'esistenza della zizzania favorisce che l'uomo si fortifichi e impari a distinguere il male dal bene, le promesse di distruzione e di disfatta da quelle di gioia e di realizzazione. Queste provengono solo da Dio, eppure il nemico non di rado le presenta come sue per tenderci dei tranelli che la nostra astuzia e l'attenzione affinate al buon senso devono essere in grado di superare.

la persistenzza della zizzania in mezzo alle spighe di grano non è destinata tuttavia a durare definitivamente: noi siamo incamminati verso una dimensione futura per la quale qualifichiamo il nostro cammino come nell'ottica della speranza secondo la promessa che nei tempi ultimi il male sarà definitivamenta accantonato per la vittoria dei giusti. Attendiamo cioè il compiersi definitivo della parusia che segna il ritorno definitivo di Cristo che mieterà definitivamnte il mondo separando i frutti buoni dalle uve marce, per cui la vicenda presente del nostro cristianesimo attende il compiersi definitivo e con questo l'avvento finale del Bene.

Nella continua battaglia contro le insidie del male che imperversa a tutti i livelli l'uomo si riscopre nella sua vera dignità riconoscendosi come figlio di Dio e diviene sempre più capace di godere dei propri meriti conscio di avere esternato efficacemente le sue prerogative di positività; il confronto con il male e con la perversità lo aiutano a conoscere l'aspetto della realtà più demoralizzante e deprimente, che non può in ogni caso esserci precluso poiché è importante che ci si esponga al male ai fini di poterlo conoscere e per poter qualificarci di contro come uomini di amore.

Paolo offre un'interpretazione fattuale alla realtà della zizzania e propone un chiaro atteggiamento di concreta reazione ad essa: "Non lasciatevi scoraggiare dal male; ma vincete il male facendo il bene"e in questo suggerisce che la pratica dell'amore, della giustizia, della solidarietà e della carità è la soluzione ideale delle lacune e delle amarezze che conseguono alle cattiverie altrui perché nell'esercizio del bene e nella condotta irreprensibile si chiude la bocca a quanti sono nell'ignoranza (1 Pt 2, 14).

Ed effettivamente è il caso di affermare che la soddisfazione maggiore che interiormente possiamo nutrire nei confronti di chi ci ha avversati scaturisce dal ricambio in opere di bene che a differenza della recriminazione e dalla reazione istintiva costituiscono il vero schiaffo morale che mette a tacere definitivamente i nostri avversari e agire secondo giustizia e amore nei confronti di quanti ci fanno un torto, sebbene sul momento sia cosa difficile e impossibile a concepirsi, offre motivazione agli altri di riflettere sulla loro condotta; in ogni caso, se la vendetta potrebbe trasformare in torti le nostre ragioni e procurarci delle noie che volevamo evitare, l'amore invece "non ha mai fatto male a nessuno" (Paolo) ed è semrpe una possibilità di emergere realmente anche sugli altri.

Ma la funzione fondamentale della zizzania è soprattutto quella di educarci alla visione positiva di Dio come soggetto di amore universale, anzi come Amore che si rivolge soprattutto a coloro che dal male vengono avvinti per fare illusoriamente di esso il criterio portante della loro vita, ossia i peccatori. Sono proprio essi l'oggetto primario della divina benevolenza che tende a superare la malizia attraverso il radicale cambiamento del cuore dell'uomo al meglio. La prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, offre un'ulteriore delucidazione della presenza della zizzania in mezzo al grano ragguagliandoci che nonostante la persistenza dell'uomo nel peccato e nella malvagità continua è persistenza di Dio quella di recuperare l'uomo dalla sua malvagità, concedendogli cioè l'occasione propizia del riscatto e della conversione, espedienti molto più convincenti della vendetta e della riprovazione.

 

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