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don Marco Pratesi   Il grano e la zizzania

X Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/06/2008)

Brano biblico: Os 6,3-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 9,9-13

In quel tempo, 9mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

10Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Per leggere la pericope di Osea bisogna fare una scelta di fondo: se intepretare i vv. 1-3 come parole del popolo, che poi il Signore confuterà, oppure includerli nel discorso del Signore. Qui si opta per la prima alternativa, che sembra dare un senso più ricco. Dunque nel v. 3 il popolo esprime un suo intento; nei vv. 4-6 Dio risponde.

Il popolo si propone di cercare il Signore; ed è convinto che il Signore si farà trovare. Per esprimere questa fiducia ricorre a due metafore naturali: il sole, che ogni mattina sorge, e la pioggia, che ogni primavera disseta la terra. Allo stesso modo il Signore si mostrerà buono.

Questo atteggiamento sembra a prima vista ineccepibile, anzi lodevole. Potrebbe in effetti esserlo, se non avessimo di fronte la reazione così dura di Dio, il quale inizialmente sembra addirittura smarrito, incerto sul da farsi, domandandosi quasi in un sospiro: "che cosa dovrei fare, Efraim?" (v. 4). La risposta riprende la metafora dal mondo naturale, ma in tutt'altro senso: il tuo amore è come la nube del mattino, che si dissolve alla svelta. Fin qui, potrebbe essere un rimprovero contro l'incostanza, la superficialità, l'inconsistenza di un buon proposito. Ma c'è ben di più: il giudizio severo che Dio porta attraverso la sua Parola, affidata i profeti (v. 5) esprime molto nettamente la diagnosi che lo Spirito emette sul proposito e l'atteggiamento del popolo. Si riprende ancora in senso sfavorevole la metafora naturalistica: la luce sorgerà, sì, ma sarà la luce del giudizio tagliente di Dio. Ed ecco la diagnosi: voi mi offrite sacrifici e olocausti, non amore e conoscenza di me (v. 6).

Il popolo commette due errori. Primo, ritiene di poter padroneggiare l'agire di Dio, di poterlo prevedere. Non è per niente casuale il ricorso al mondo naturale: i ritmi della natura sono per definizione certi ("il suo levarsi è certo", v. 3), e ispirano largamente le religioni naturali e le varie sapienze umane. È significativa anche l'espressione "affrettiamoci a conoscere il Signore" (v. 3), che in ebraico richiama l'inseguimento, la caccia: Dio appare quasi come una preda, perseguìta dall'uomo, che è il vero attore.

Il secondo errore del popolo è pensare che Dio desideri da noi cose - qui prestazioni cultuali -, e che egli si ritenga soddisfatto quando ottiene dei servizi da parte nostra.

A fronte di tutto questo Dio reagisce decisamente male. Dio non è il sole, il suo movimento non è prevedibile; non è la pioggia, il suo arrivo non è pronosticabile; non può mai entrare nelle nostre visuali e nei nostri progetti come semplice elemento di un insieme che siamo noi a costruire e padroneggiare. Dio è sempre soggetto, mai oggetto; sempre libero, mai scontato. Vivente, non si lascia ridurre a un idolo inerte. Sì, perché gli idoli strumentalizzano e si lasciano strumentalizzare, chiedono servizi e ossequi che ricambiano coi loro favori.

Quanto Dio ricerca da noi è invece amore e conoscenza di lui. Si possono considerare insieme questi due termini, fonderli in uno. Avremo qualcosa di simile a: comunione con lui, intesa, sintonia. "Amore voglio, non sacrifici; non offerte, ma comunione con me", dice un'antifona della liturgia delle ore in riferimento al Salmo 50, che verte sullo stesso tema (non a caso salmo responsoriale odierno). Dio cerca amore gratuito (caritas, traduce la Nova Vulgata), e niente di meno.

La pagina è formidabile, e non per niente Gesù - questo formidabile esegeta - la citerà espressamente (cf. Mt 9,13; 12,7). Impone un esame di coscienza severo e mette in crisi ogni tentativo umano di scantonare di fronte alle esigenze dell'amore. Scantona chi si rifugia nel culto e chi costruisce proprie sapienze, anche estremamente raffinate, magari basate sul "sentimento della natura". Scantona chi cerca di farsi forte delle proprie "opere di carità" e chi pensa di potersi guadagnare la benevolenza di Dio con prestazioni di qualsiasi genere. Ciò non significa che il culto, la sensibilità per la natura e il servizio comunque reso a Dio siano un male. Ma diventano idolatria quando ci forniscono l'alibi per proteggerci dalla pressante (e, dal nostro punto di vista, devastante) richiesta di Dio: cambiare il nostro cuore per armonizzarlo con il suo.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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