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TESTO Il pane del povero

don Marco Pratesi  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (25/05/2008)

Brano biblico: Dt 8,2-3.14-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,51-58

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

La prima lettura esorta Israele a fare continua memoria del proprio cammino nel deserto: si tratta di una fonte permanente di luce. Questo significa al tempo stesso: non dimenticare il Signore. È uno degli insegnamenti fondamentali del Deuteronomio: quando la storia della salvezza non è più oggetto di riflessione e contemplazione, quando sparisce dall'orizzonte interiore, quando lo sguardo si appiattisce sul presente, si perde la capacità di leggerlo e viverlo nel modo giusto, alla luce del Signore, alla sua presenza.

Il cammino nel deserto si è svolto tra serpenti e scorpioni, in una situazione di continuo pericolo. In particolare, il testo menziona l'alternanza tra fame e sazietà, tra sete e dissetamento. Pane e acqua non sono state procurate dalle risorse umane, ma dall'intervento divino. La salvezza era umanamente inarrivabile, eppure è arrivata: l'acqua dalla roccia, la manna dal cielo. Manna che - viene sottolineato - era del tutto ignota ai padri. Non solo, quindi, Israele non aveva i mezzi per sfamarsi, ma nemmeno l'idea di cosa poteva saziare la fame.

Lo scopo di questo cammino è triplice. Primo: Israele diviene povero, viene "umiliato", impara a non confidare più in sé e nei proprio mezzi, ma in Dio.

Secondo: Israele prende coscienza di quello che porta in sé, nel profondo del cuore, viene messo alla prova, e si fa così sempre più solidamente disposto ad abbracciare la volontà di Dio.

Terzo: Israele fa l'esperienza che non si vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore. Quanto esce dalla sua bocca è al tempo stesso il nutrimento, l'acqua, la protezione, tutto il necessario per vivere; e la sua Parola, il rapporto con lui, la fiducia in lui. Una madre dà solo latte al figlio che allatta? O nel latte mette anche se stessa, stabilisce un rapporto? E se al bambino venisse garantito il latte, ma senza un rapporto, sarebbe lo stesso? Il dramma dell'uomo è precisamente che ha scisso quanto doveva rimanere unito: gli sembra di potersi procurare il pane, la vita, fuori dal rapporto con Dio. Bisogna reimparare che la vita è una, che i due ambiti - pane e Parola - sono legati. Anche Gesù nel Padre Nostro insegnerà a chiedere a Dio il pane, ogni pane, senza tante distinzioni.

Se l'uomo cercasse da Dio solo pane, la sua obbedienza sarebbe comprata, solo una schiavitù, e Dio un tiranno come tanti altri, che strumentalizza la fame dell'uomo per farsi ossequiare.

Se l'uomo cercasse da Dio solo la Parola, pensando di avere la vita già assicurata per proprio conto, sarebbe nell'illusione. Si presenterebbe a Dio da ricco. Quando Gesù nel deserto opporrà al diavolo questa parola - "non di solo pane..." (cf. Mt 4,4; Lc 4,4) - son quaranta giorni che digiuna. Quando ci si vuole prima saziare d'altro e poi cercare Dio; prima risolvere i propri problemi e poi aspirare a Dio, siamo già sulla strada sbagliata. È un miraggio: saturarsi di un pane muto, nel quale non si trova alcuna parola, moltiplica soltanto le fami e immette in un circuito perverso, di morte.

L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito: si cerca la Parola mentre si cerca il pane, e viceversa. Nel pane si cerca una Parola, nella Parola si cerca il (senso del) pane.

Questo movimento raggiunge il suo apice nell'Eucaristia, Parola fatta pane. Il Verbo fatto carne si fa pane per metterci in grado di camminare attraverso i serpenti e gli scorpioni dell'esistenza, le sue fami e le sue seti, scoprendovi l'amore di Dio, nella memoria gioiosa e continua del grande esodo compiuto da Gesù nella sua Pasqua, luce costante al cammino. È il pane per la bisaccia del povero, il pane impossibile, inaspettato, nemmeno immaginato; dono che scende dall'alto, perché ognuno impari come si abita la terra dell'abbondanza, per potervi definitivamente entrare. Perché "se non sapete gestire le piccole sostanze che avete adesso, chi vi darà quelle vere?" (cf. Lc 16,11).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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