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TESTO Solennità della SS.ma Trinità

mons. Antonio Riboldi

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Santissima Trinità (Anno A) (18/05/2008)

Vangelo: Gv 3,16-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,16-18

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

C'era una volta nelle nostre famiglie - e sono sicuro c'è ancora in tante - all'inizio di ogni giornata o di ogni azione, compresa quella di mettersi a tavola, un segno della nostra fede, che voleva dedicare ciò che si faceva a Colui da cui tutto proviene, a cui tutto dovrebbe essere indirizzato: era il segno della croce.

Con un semplice gesto della mano, che traccia sul corpo della persona, a partire dalla fronte fino al cuore, una croce, si ricorda il Mistero pasquale di Gesù e, con le essenziali parole che accompagnano il gesto, non solo si fa una solenne professione di fede - la fede a cui ci gloriamo di appartenere - ma si dà un senso altissimo alla nostra vita, nella sua quotidianità.

Erano i nostri genitori, soprattutto la mamma, a guidare i movimenti delle nostre manine, ancora inesperte, nel fare il segno della croce, dicendo loro stesse, al nostro posto: "Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Poi si aggiungeva la lode: "Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo".

La Chiesa sempre inizia la celebrazione del solenne Mistero di amore, che è la S. Messa, con le parole: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti noi".

Poi confermiamo la nostra fede nel Credo, che è un breve racconto di quanto Dio ha operato per amore di ciascuno di noi, dal Padre che ci ha creati, a Gesù, il Figlio donato - e che immenso dono! - che ci ha riscattati e lo Spirito Santo che, effuso in noi nella Cresima, ci sostiene nel nostro cammino di fede. Ed è come dipingere dei colori del cielo: la storia dell'uomo, dal nostro concepimento fino all'eternità.

Forse non siamo abituati o educati a vedere e credere nella nostra vita come la storia di un grande Amore, che viene proprio dall'opera della Trinità, presente ed operante oggi in noi.

Se potessimo, per un solo istante, contemplare il complesso ricamo di Amore del Padre, l'opera di Gesù, sempre in noi e con noi, e 'il fuoco' dello Spirito, che è in ogni aspetto della nostra giornata, moriremmo di gioia, come quando un artista contempla il dettaglio di un'opera d'arte.

Ed è proprio così: io, tu, agli occhi di quanti ci sono vicini o incontriamo, a volte siamo meno di niente. E non ci scandalizziamo per questo, abituati come siamo a valutare tutto fermandoci alle apparenze, ossia a ciò che 'luccica' e che non è mai la nostra verità e bellezza.

Bisognerebbe invece essere capaci di contemplare 'le meraviglie', che Dio dona ed opera nella nostra storia personale; meraviglie a volte oscurate da orribili debolezze, ma sempre affiancate dalla misericordia di Dio, pronto a cancellarle per mettere al loro posto il colore dell'Amore che perdona. Così la Sacra Scrittura racconta la Presenza di Dio fra noi ed in noi: "In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul Monte Sinai, come il Signore gli aveva ordinato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là, presso di lui, e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa' di noi la tua eredità" (Es 34,4-9).

E come a confermare quanto il Padre aveva detto a Mosè, l'apostolo Giovanni così dichiara: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui. Chi crede in Lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel Nome dell'Unigenito Figlio di Dio". (Gv 3, 16-18).

C'è in questa Parola tutto l'amore con cui Dio s'impegna per noi, ma anche il segno della nostra incapacità di scorgerlo, con la conseguenza di sentirci terribilmente vuoti di amore.

Diceva Paolo VI - cui mi riferisco spesso come a un grande maestro della fede - "Ma qui, figli carissimi, - figli della luce, tutti vi vogliamo chiamare, figli del giorno non della notte e delle tenebre, come dice S. Paolo (l Ts. 5,7) - una verità fondamentale è da ricordare: Dio è nascosto, come dice Isaia (45, 15). Molti segni, molti stimoli ci parlano e ci conducono alle soglie della Sua ineffabile realtà, ma è pur vero che noi, in questa vita presente, li vediamo di riflesso, nel mistero: la conoscenza razionale che possiamo avere di Dio è per la via della dimostrazione, il che comporta una disciplina semplice, ma rigorosa di pensiero e non lo raggiunge che negando i miti e sublimando le nozioni di perfezioni create che a Lui possiamo applicare; quella poi per fede è più piena, più sicura, più viva, ma ancora priva della visione diretta e beatificante che un giorno speriamo di avere nella Sua beatificante Verità. Dio tace, dice la letteratura moderna; tace al nostro orecchio, ma per farsi cercare e ascoltare per altri mezzi. E allora un primo dovere ci coglie, quello di godere della conoscenza che già abbiamo di Dio, e un secondo, quello di cercarLo, di cercarLo appassionatamente, dolcemente, come quando Egli si lascia incontrare. È questo il senso profondo della nostra vita presente: una vigilia che spia e attende la Sua luce. Dio non è un'invenzione, è una felice scoperta" (Novembre 1968).

Un giorno ho incontrato giovani appartenenti a fedi orientali, che portavano in fronte un punto ben visibile. In un primo tempo ho pensato che proprio quel punto, al centro della fronte (parte nobile dell'uomo) fosse una delle tante eccentricità del nostro tempo.

La spiegazione che mi dettero mi stupì: "Questo - mi dissero - è il segno che noi siamo di Dio. Con questo punto noi invitiamo noi stessi al rispetto della nostra vita, del nostro corpo, per questa presenza di Dio. Ma invitiamo nello stesso tempo tutti gli altri che incontriamo a ricordarsi chi davvero siamo e, di conseguenza, ad avere massimo rispetto non tanto dell'uomo, quanto di Dio che ha preso possesso di noi".

Era certamente il senso che dava mia mamma, e chissà quante di voi, ogni volta che, fin da piccoli, ci invitava o accompagnava nel fare il segno della croce, come a ricordarci sempre che 'siamo figli di Dio' e così ci ricordiamo che Dio è vicino a noi, sempre.

Ogni volta vado in macchina, l'autista che mi accompagna si fa il segno di croce prima di accendere il motore. Gli chiesi una volta la ragione. "Non c'è guida più sicura in macchina o nella vita che mettersi nelle mani di Dio e io Glielo ricordo con il segno della croce".

Scriveva il caro vescovo Tonino Bello: "La nostra Chiesa, essendo icona della Trinità, deve essere per chi la guarda occasione di incontro personale con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo, viventi nella comunione. Anzi, uno più guarda la Chiesa più deve essere ricondotto al Mistero Trinitario, con il desiderio di viverne le conseguenze. La ragione d'essere della Chiesa è tutta qui.

Intanto, essendo icona, deve mostrarsi come immagine della Trinità. Deve viverne la logica della comunione, la quale, anche se insidiata dalle contraddizioni e dal peccato, costituisce il 'filo rosso' che deve attraversare tutto il suo impegno.

In secondo luogo, della Trinità, la Chiesa non deve essere un'immagine neutra da incorniciare perché faccia da soprammobile, ma un'immagine provocante, che provoca cioè il mondo alla comunione. Infine la Chiesa deve essere anticipo della tavola promessa. Luogo cioè dove si sperimenta, nei segni, la comunione trinitaria cui siamo chiamati a partecipare, in modo definitivo e completo, alla fine dei tempi. Se la Trinità è tavola promessa per tutto il genere umano, la Chiesa ne fa pregustare le vivande.

Questo è il segno della celebre espressione del Concilio quando parla della Chiesa come sacramento o 'segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano'.

Tra la Trinità e il mondo quindi c'è la Chiesa" (Tonino Bello).
Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:

"O Dio noi crediamo che Tu sei qui. Noi Ti crediamo e Ti amiamo con tutto il cuore e con tutta l'anima, perché sei degno del nostro amore. Noi desideriamo amarTi come i beati fanno in Cielo, noi adoriamo tutti i disegni della Tua Provvidenza. O Gesù, unico Amore del mio cuore, desidero soffrire qualsiasi cosa io soffro e tutto quanto Tu vorrai che io soffra, solamente per amore. Non per i meriti che posso acquisire, ma solo per piacere a Te e lodare Te".

 

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