TESTO Ho tutta la forza che mi serve
Marco Pedron è uno dei tuoi autori preferiti di commenti al Vangelo?
Entrando in Qumran nella nuova modalità di accesso, potrai ritrovare più velocemente i suoi commenti e quelli degli altri tuoi autori preferiti!
Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (11/05/2008)
Vangelo: Gv 20,19-23
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Oggi la chiesa celebra la festa di Pentecoste raccontata nella prima lettura degli Atti degli Apostoli.
Pentecoste è una parola greca che significa cinquantesimo giorno e si celebra, infatti cinquanta giorni dopo Pasqua. Anticamente la Pasqua era la festa di primavera e la Pentecoste l'inizio della raccolta del grano. Agli ebrei la Pasqua ricordava il passaggio del mar Rosso e la Pentecoste i comandamenti donati da Dio al suo popolo sul Sinai. Per noi cristiani la Pasqua è la resurrezione di Gesù e Pentecoste l'effusione dello Spirito. Gesù a Pasqua se ne va al cielo (Ascensione) ma a Pentecoste ritorna sotto un'altra forma: lo Spirito.
Per gli antichi il cinquanta era il numero della pienezza di un tempo. A cinquanta anni a Roma si era dispensati dal servizio militare. Per gli ebrei il cinquantesimo anno era l'anno del giubileo, della riflessione, dove uno si fermava per riflettere su quanto c'era stato di corretto e di scorretto nella propria vita. Allora: che la Pentecoste venga cinquanta giorni dopo la Pasqua indica che un tempo è finito. Il tempo del Gesù terreno e delle sue apparizioni è giunto a compimento e si apre un nuovo tempo: il tempo dell'uomo, della chiesa e dello spirito.
Cos'era successo? Dopo la morte di Gesù gli apostoli furono presi dallo scoraggiamento, dalla paura e dalla delusione. Nel vangelo li troviamo insieme nel cenacolo, ma sono rinchiusi, hanno una paura folle.
Avevano visto cos'era accaduto a Gesù e soprattutto come lo avevano ucciso: lo avevano svergognato, denigrato, umiliato e ucciso come il peggiore dei malfattori. In una società dove l'individuo aveva valore solo come parte di un gruppo, di un popolo, di un'etnia, la paura di ritrovarsi soli, fuori del gruppo, rifiutati, esclusi, era terribile (era una morte interiore).
Ma la paura più grande riguardava la sofferenza fisica: avevano ben visto che tipo di morte aveva dovuto passare Gesù: torturato, flagellato senza pietà, crocifisso, morto lentamente di stenti. Tutti avevano davanti agli occhi la morte atroce che aveva fatto il loro maestro: non è che avessero tutti i torti ad aver paura! Si dicevano ovviamente: "Ma lo faranno anche a noi? Ci prenderanno? Come possiamo continuare ciò che lui ha iniziato sapendo cosa rischiamo?".
Questi uomini sono rinchiusi nella loro paura e nel loro terrore. E' prima di tutto una paura fisica.
La paura di morire o di soffrire ti porta a non vivere. Perché se ci pensi bene tutto può essere cancerogeno e ogni situazione può essere deleteria o mortale. Allora: bisogna accettare che nella vita si muore, bisogna accettare che si morirà in ogni caso, perché vivere tentando di preservarsi la vita a tutti i costi è il modo migliore per non vivere.
Per quanto tu faccia una vita salutistica, naturale; per quante attenzioni tu abbia, tutto questo non protegge i tuoi anni. Allora bisogna vincere la paura di morire perché altrimenti non si può vivere. Bisogna vincere la paura della malattia, del soffrire, perché altrimenti ogni giorno, per proteggerci e per prevenire ogni possibile causa di dolore, soffriremo e limiteremo la nostra vita.
La paura è un emozione naturale. Aver paura perché nel tuo sentiero mentre cammini serenamente ti ritrovi una tigre è normale. La paura dice: "Fermati, stai attento, vedi cosa è meglio fare, se fuggire o nascondersi".
Quando abbiamo paura, infatti, il sangue affluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio le gambe per scappare, il volto impallidisce perché non ci serve sangue lì in quel momento e il corpo si immobilizza, come congelato (da cui si dice: "Mi si è gelato il sangue"), anche solo per un momento per valutare se non convenga nascondersi. Tutta la persona è in allerta e attenta alla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore. Aver paura è buono perché la paura dice: "C'è un pericolo, stai attento". Il punto è che spesso noi abbiamo paura di cose che non ci sono, dell'irrealtà. Aver paura di fronte ad una tigre è reale. Ma aver paura perché domani si potrebbe essere investiti da un auto o aver paura di quello che potrebbe succedere a mio figlio in questa società così violenta o, ancora, aver paura che potrei diventare vecchio o ammalarmi o rimanere da solo o finire in un ospizio o morire e soprattutto aver paura del futuro e di cosa potrà accadere, non è sano, è malattia.
La paura riguarda il presente: se non c'è la tigre nel tuo sentiero aver paura che forse potresti incontrarla, magari non oggi, ma fra un anno o fra due o fra tre, fa impazzire, fa vivere tutti proiettati e fissati su ciò che potrebbe succedere. E vivendo nella nostre paure noi materializziamo in realtà i nostri mostri. Certo può accadere di tutto nella nostra vita ma se viviamo così allora è meglio non vivere, allora non viviamo più. A ben pensarci un giorno moriremo ma vale la pena lo stesso di vivere.
Gesù appare agli apostoli e dice: "Pace a voi". Cioè: "Non abbiate paura".
Non aver paura non vuol dire che noi non dobbiamo mai provare la paura.
Anzi: molte persone si ingannano e nascondono la paura dietro ad un volto lieto. Molte persone se la raccontano reprimendo con tutte le forze la paura: loro, dicono, non temono il giudizio degli altri, loro non temono di perdere chi amano, loro non sono intimoriti da niente. Tutti abbiamo un po' di paura, è normale. Queste persone più che non aver paura ne hanno così tanta che non si permettono neppure di sentirla. La paura ci appartiene. Non è un nemico, ma un ospite che noi accogliamo nella convinzione che il padrone di casa (io) è più forte di lei.
Gesù, infatti, dice agli apostoli: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi". "Anche se avete tanta paura, andate".
La paura ci rinchiude, ci fa indietreggiare, ci fa' chiudere sempre di più in noi o in casa. Ma Gesù dice: "Fuori; esci; se hai paura l'affronti". E quando i discepoli diedero credito a Gesù andarono in tutto il mondo ad annunciare il vangelo: e non è che non avessero paura, ma la paura non li bloccava; non è che non avessero paura di "prenderle", del rifiuto, del giudizio o di morire, ma la paura non bloccò e non congelò la loro vita e le loro scelte.
Una donna deve affrontare suo marito. Lui fa finta di niente ma lei non ne può proprio più di un rapporto vuoto e logoro. Dice: "Ho paura. So che dovrei farlo ma temo la sua reazione". Gesù dice: "Fallo anche se hai paura; vai e parlargli".
Un'altra donna teme cosa la gente possa dire del fatto che lei è insieme con un uomo precedentemente sposato e ora separato. Così cerca di nascondere a tutti il rapporto con quest'uomo e non si fa vedere insieme con lui in nessun posto: "Ho paura di cosa la gente potrebbe pensare di me". Gesù dice: "Esci, vai fuori e smettila di nasconderti. Esci di casa e vinci la paura di cosa la gente potrà dire".
Un uomo si è accorto di non aver mai amato per davvero la propria moglie. La scoperta è un vero dramma e, di fronte alle pressioni della moglie, lui continua a far finta di niente. "Ho paura di perderla; ho paura che si rompa tutto; ho paura di rimanere da solo". Gesù dice: "Adesso vai e ti fai aiutare anche se hai paura di ciò che potrai incontrare dentro di te o di ciò che sarà".
Anche Gesù ebbe paura: in certi momenti scappò, in altri si sottrasse alle persone o si muoveva di nascosto o di notte per non farsi vedere. Negli ultimi giorni provò una paura e un'angoscia così terrorizzante da "piangere sangue". Ma andò avanti per la sua strada nonostante tutto. Non permise alla paura, a ciò che avrebbe potuto accadergli, al futuro, di bloccarlo. Ebbe paura ma continuò nel suo viaggio e così arrivò fino in fondo.
Una ragazza mi ha detto: "Non lo amo, ma lo sposo lo stesso. Ho troppa paura di rimanere da sola".
Il cenacolo dove gli apostoli sono è un grembo materno: lì sono avvolti, al sicuro, protetti, ma nello stesso tempo nascosti; nello stesso tempo se rimangono lì non nascono, non possono vivere, il messaggio vitale di Gesù si esaurisce.
Bisogna non farsi bloccare dalla paura. Pentecoste è fidarsi di Gesù che dice: "Voi adesso uscite perché voi avete la forza di farlo. Io sono con voi, il mio Spirito è dentro di voi e con questa forza adesso voi andate fuori e fate ciò che dovete fare".
Ogni volta che io confido in Dio, che mi fido del fatto che Lui c'è nella mia vita, che Lui è dentro di me, allora ho anche la forza di uscire e di vincere le paure che mi direbbero: "Stai qui... è troppo rischioso... e se poi va male?... non ce la farai... non ne sei capace... ma chi ti credi di essere!... qui sei protetto...".
Gli uomini della Pentecoste sono quelli che mi invitano a vivere, ad uscire, che non mi trattengono nelle loro paure e che qualche volta, se ce n'è bisogno, mi danno "una pedata sul culo" e mi buttano fuori perché a volte, se fosse per me, certe cose non le farei mai.
Poi Gesù, dice il Vangelo, alitò su di loro. Alitare su qualcuno significa donargli quanto di più intimo abbiamo.
La parola "alitare" (emphysao) è la stessa parola della Genesi usata per l'atto creativo di Dio. Dio ci dona la sua forza, la forza con la quale egli ha agito ed amato e la sua forza è creatrice.
Questo gesto dice due cose.
La prima è che noi abbiamo la stessa forza di Gesù. Quindi prendi coscienza della forza che ti abita, renditi conto della tua energia, renditi conto della potenza che ti abita, dell'energia (lo Spirito) che ti appartiene.
Non è vero che non possiamo far niente, che non siamo importanti, che siamo nessuno. Dobbiamo smetterla con il dire: "Siamo peccatori" che significa "siamo incapaci, sbagliamo..." e così non facciamo niente. No, io sono potente perché sono abitato dallo Spirito di Dio. Lo Spirito che abita in me mi fa forte. Dire che io non sono potente è negare che Dio mi abita. Dire che io sono solo debole, fragile, che non posso, è affermare che satana ha in potere la mia vita.
Due uomini guardano fuori dalle sbarre della prigione: uno vede il fango, l'altro le stelle. Molte persone continuano a cercare e a volere quello che non hanno; desidererebbero altre cose ed essere diversi e non si accorgono della potenza, dell'energia, della forza che li abita.
D'altronde sapere di essere potenti è responsabilizzante. Per questo è meglio non saperlo. Sapere di avere la forza per cambiare la propria vita, per dire "no" e per dire "sì", per agire e influire sull'ambiente, per essere profeti o per risolvere tante malattie dell'anima e del corpo è responsabilizzante. Essere adulti è responsabilità e molti preferiscono rimanere bambini e credere di non farcela. "Tu hai tutta la forza che ti serve; tu sei forte; tu sei potente;" non dimenticartelo.
La seconda è che tutta la creazione, tutto ciò che abbiamo come un seme, in forma germinale, si risveglia grazie allo Spirito che lo feconda. C'è tutta una ricchezza, un mondo, una creazione che si deve sviluppare in me. Che lo Spirito scenda su di me vuol dire che io sono chiamato a prendermi cura delle mie doti, delle mie qualità, delle mie risorse. Tutto è in me come un seme.
Gli uomini sono pieni di ricchezze ma non le sviluppano. Le nostre risorse sono come i figli: bisogna curarle, svilupparle, amarle, dargli spazio, ascoltarle, investire tempo. Se lo facciamo non solo saremo felici ma ci sentiremo ricchi perché le mie ricchezze sono io, mi appartengono. Se le amo in realtà mi amo. Sono come una pianta, un figlio, un animale: se le lasci lì, se non te ne curi mai si assopiscono e muoiono.
Lo Spirito ha messo i suoi semi nella tua terra: cosa vuoi farne? Conoscersi, per me, vuol dire scoprire, trovare (proprio come si fa con un tesoro) la ricchezza, la bellezza, l'infinita grandezza che Dio ha seminato nella mia vita. Io sono una genesi (Gn 1-2) che si deve sviluppare; io non sono un caos, un ammasso indefinito. Io contengo la vita. In me c'è tutto un mondo e una creazione che chiede di svilupparsi.
Molte persone sono infelici perché fanno tante cose ma non sviluppano se stesse. Sono tutte affaccendate a produrre ricchezza, a sviluppare l'immagine di sé, ad accrescere il conto in banca. Creano ma non si creano. Sviluppano ma non si sviluppano. Fuori sono ricche ma non dentro.
Infine Gesù rende consapevoli dell'enorme potere che i discepoli hanno: "Se voi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimettere resteranno non rimessi".
Qui si usano due verbi: il primo è afiemi, perdonare, mandare via, scacciare, rimettere. Il secondo, crateo, è trattenere, tenere in pugno, impossessarsi, dominare, aver dominio, spadroneggiare.
Cioè: tu hai due possibilità: o mandi via o trattieni; o lasci andare o tieni in pugno. Decidi cosa fare.
Un uomo ha "preso una sbandata" per un'altra donna. Poi ha capito che non era quello che voleva: ha capito che amava sua moglie e che s'era innamorato di un'altra donna solo perché il rapporto con lei s'era raffreddato. Questo fatto gli ha permesso di riavvicinarsi a sua moglie e di ricostruire il rapporto su un clima di maggior affetto, comprensione e comunicazione. La moglie però non vuole perdonarlo. E' chiaro che è ferita. E' chiaro che c'è stata male. Ma che si fa? Se si trattiene, se non si perdona, se ci si vendica si continua a soffrire il torto subito. Il non perdono la lega a quel dolore e quel fatto le avvelena la vita. Ma si può anche lasciar andare, perdonare: "Si è vero mi hai molto ferita con ciò che è successo, ma adesso basta. Adesso costruiamo il nostro rapporto. Io ho capito (se il rapporto è forte e profondo nessun partner cerca altrove: in ogni "sbandata" entrambi hanno la loro parte), tu hai capito".
Un uomo è stato "fregato" dal fratello nell'eredità. Non riesce ad accettare questa cosa. Purtroppo ormai i giochi sono fatti e ciò che gli spettava non lo può più riavere. Che si fa? E' ovvio che lui è ferito. E' ovvio che si è sentito rifiutato. E' ovvio che ha sentito che il fratello ha preferito i soldi a lui. Non se l'avrebbe mai aspettato. Ma che si fa? Ci si alza ogni mattina con questo tarlo che rode dentro? Si continua a macinare odio e rancore per tutta la vita? Si diffida di tutti visto che si è stati traditi da un familiare? Oppure si può perdonare: "Sì mi ha ferito che proprio mio fratello mi abbia tradito. Ma non voglio permettergli di inacidire il mio cuore, non voglio permettergli di rendere insensibile il mio cuore, non voglio che questo dolore e questa rabbia ingrigiscano tutti i miei giorni. Non mi sono sentito amato, mi sono sentito rifiutato. Ma adesso basta. Mi ha "fregato" ma questa è una questione sua. Io voglio perdonare, voglio mandare via l'odio che covo verso di lui altrimenti quest'odio uccide il mio animo".
Il perdono è uno stile di vita e avviene nelle piccole situazioni di ogni giorno.
Una persona ha detto una parola (magari era per lui una battuta) e tu ti sei offeso perché ti ha ferito. Che si fa? Rimani arrabbiato per sempre. Ti leghi a quella parola? Porti rancore? Perdona, lascia andare. Lascia scorrere il tuo dolore e perdona.
Avevi un appuntamento con una persona e te ne sei dimenticato. Non te lo perdoni. Che si fa? Vuoi crogiolarti e dirti quanto sei stupido e quanto sei sbagliato per sempre? Sì hai sbagliato, hai fatto un errore, ma adesso basta, perdonati, lascia andare ciò che è stato.
Ti eri ripromesso che quella cosa non l'avresti più fatta e invece ci sei caduto di nuovo. Che si fa? Ormai è successo. Se devi chiedere scusa, fallo. Ma vuoi colpevolizzarti all'infinito? Basta, perdonati e lascia andare ciò che è stato.
C'è stata una critica nei tuoi confronti (vera o ingiusta che sia). Che si fa? Vuoi rimanere arrabbiato per sempre? Vuoi controllare tutto ciò che gli altri possono dire? Se puoi spiegarti, spiegati e se puoi chiarire, chiarisci. Ma poi basta, perdona, lascia andare.
Una donna è ferita perché il marito si confida con una sua amica e non con lei. Così lei per vendicarsi non vuole più avere rapporti sessuali con lui. Ma ne vale la pena? Digli la tua rabbia e il tuo dolore. Esprimigli il male provi, guarda e chiediti il perché di questa situazione (forse tu non lo ascolti; forse ha paura di te; forse tu lo giudichi); impara, cambia e poi basta. Altrimenti quel fatto tu te lo vivi ogni mattina che ti alzi. Perdona, lascia andare, lascia che ciò che è successo sia passato.
Se non perdoniamo noi continuiamo a vivere nel passato. Continuiamo a rimproverarci (o a rimproverare) ciò che doveva essere ma che non è stato. Accetta la realtà, perdona e continua a vivere.
Tu hai questo potere: non puoi prevenire le ferite della vita ma puoi perdonartele. Tu puoi decidere cosa fare: se tenere o lasciare andare, se rimanere risentito con te o con gli altri o perdonare.
Perché noi possiamo essere feriti un giorno ma noi possiamo anche decidere di ferirci ogni giorno se non perdoniamo, se ci attacchiamo a ciò che è successo.
Perdono non per essere bravo ma per essere libero. Non c'è niente di bravo in chi perdona perché perdonare è accettare di essere feriti. Si perdona per non soffrire più di quella cosa.
Ogni ferita è un sasso che ci colpisce. Ti ha colpito e ti ha fatto male e adesso tu hai un sasso. Cosa vuoi farne?
Vuoi vendicarti e ritirarlo? Non cambierà la tua situazione e non ti toglierà la ferita ma ne provocherà un'altra di nuova in qualcun altro.
Vuoi tenerti il sasso così che ogni contatto, ogni carezza sia una sassata per tutti (quante persone sono così ferite che sono taglienti con tutti, giudicanti e senza pietà con nessuno)?
O vuoi perdonare?
Deponi il sasso, lascialo cadere e lascialo andare.
Se non deponi il sasso e non lo getti via ogni mattina ti alzi e guardi quel sasso. E senz'accorgertene quel sasso ti entra dentro e il tuo cuore diventerà come quel sasso. E invece di lanciare gesti d'amore, senza accorgertene, lancerai sassate perché nel cuore quel sasso lì ce l'hai ancora.
Se non lo deponi capiterà proprio così.
La violenza genera violenza.
Solo il perdono spezza la catena.
Chi di sasso è colpito di sasso colpirà.
Solo il perdono spezza quest'automatismo.
H. Lacordaire diceva: "Vuoi essere felice per un instante? Vendicati. Vuoi essere felice per sempre? Perdona".