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TESTO Commento su Giovanni 20,19-23

don Stefano Varnavà

Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (11/05/2008)

Vangelo: Gv 20,19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Abbiamo sentito nella prima Lettura il racconto della discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli. Una delle manifestazioni della potenza di Dio, perché, in realtà, Dio si è manifestato altre volte.

In quell'occasione la terra ha vibrato in profondità (vibrazione che noi chiamiamo terremoto) ed è stata proprio una vibrazione perché non è "capitato" qualche cosa alla casa dove gli Apostoli erano.

Altro fenomeno importante: le persone riescono a comunicare tra di loro e ciò fa pensare di trovarci di fronte a uno Spirito ben diverso dal nostro, dove spirito è sì traduzione dal latino "spiritus", vento, soffio, ma è anche, soprattutto, energia. Ci troviamo di fronte ad un'energia diversa dalle nostre.

Noi abbiamo un'energia in natura che può essere meccanica, elettrica, elettronica... ma nel caso sopraccitato ci troviamo di fronte ad un'energia "diversa": lo Spirito di Dio. Spirito che è estraneo al nostro mondo ma che ha la capacità di vincere ll'estraneità, l'alienazione, la separazione tra Dio e l'essere umano. Non solo, questo Spirito vince anche l'alienazione che esiste tra le persone stesse, cioè crea comunicazione là dove prima non esisteva nessun tipo di comunicazione.

Come mai persone di estrazioni diverse, di nazionalità diverse riescono a capire il significato delle parole di Pietro, dette in una particolare lingua (o addirittura in un particolare dialetto) a loro sconosciuta?

La prima riflessione che dobbiamo fare oggi, nel giorno della Pentecoste, è la riflessione sulla comunicazione.

La Pentecoste dà inizio a una comunità nella quale ciascuno può avere fiducia nell'aiuto dell'altro, cioè una comunicazione dove il segno caratteristico è l'amore. Questa è la caratteristica delle prime comunità cristiane: le persone avevano fra loro un legame più stretto di quanto avvenisse in altre realtà sociali. Questo meravigliava coloro che non provavano questa tipologia di rapporto.

Aver avuto l'esperienza dello Spirito significa essere più vicini all'altro, abbattere le distanze sociali tra poveri e ricchi (abbattere le distanze e non le classi, qui sta la differenza tra la mentalità materialista e quella spiritualista), fra ebrei e pagani, fra padroni e schiavi.

Far esperienza dello Spirito significa quindi vincere la solitudine. Questo è importante perché oggigiorno ci sono tante forme di aggregazione, di gruppi, ma la solitudine del singolo rimane: non si riesce a superare la propria solitudine proprio perché il nostro spirito e la nostra sensibilità non bastano. Abbiamo sensibilità e capacità di intendere e di volere, anche di comunicare, ma non basta, perché noi, con le nostre sole forze, non riusciamo a costruire un ponte verso l'Alto; per costruire "questo" ponte ci vuole lo Spirito Santo.

E'grossa la divergenza tra chi pensa che l'uomo da solo possa costruire e comunicare, e chi invece sa che l'uomo ha bisogno di un "Mediatore".

Ecco il discorso del Mediatore: "Vi manderò un Mediatore". Noi abbiamo bisogno di un Mediatore! La comunicazione diretta tra singolo e singolo non avviene in pieno se non c'è un "Mediatore" il Quale rende possibile la comunicazione tra persona e persona, tra gruppo e gruppo. E questo perché ciascuno di noi è racchiuso nel proprio spirito come è racchiuso nella propria pelle.

Parliamo molto di comprensione, di intuizione, ma... ciascuno di noi racchiude in sé la propria storia che gli è propria e non è scritta né sui libri di storia, né su quelli di pedagogia.

Ognuno di noi racchiude in sé la propria storia, ma anche la storia di un mondo e di tutte le generazioni che lo hanno preceduto: da Adamo ed Eva fino a lui.

Che cosa sappiamo noi di tutte queste storie di mondi particolari prima di noi e accanto a noi? Storie che si incrociano con la nostra, ma delle quali noi non siamo a conoscenza.

Questa è la nostra situazione: noi siamo chiusi in noi stessi, e questa chiusura è una maledizione e un pericolo.

Lo Spirito come Mediatore ci aiuta a uscire dalla chiusura che c'è dentro di noi, e quindi ci aiuta a comunicare con gli altri. Se non arriviamo a questo bisogna dire che in noi non c'è lo Spirito Santo, anche se.... apparteniamo al gruppo dei "carismatici" o ci hanno "imposto" le mani sulla testa per infonderci lo Spirito Santo.

La "cartina di tornasole" per capire se abbiamo lo Spirito Santo è saper comunicare con gli altri.

Esiste però anche un altro pericolo: l'incapacità di immedesimarsi negli altri nella misura giusta. Anche questa può diventare un peso, una maledizione, un tormento.

C'è una certa corrente nell'ambito del cristianesimo che spinge le persone ad immedesimarsi negli altri, ed è giusto.

Cito un esempio per farvi capire cosa significhi immedesimarsi negli altri: in ogni istante lo spazio, anche quello della nostra Chiesa, è attraversato da una grande quantità di onde radio. Se noi disponiamo di un ricevitore che abbia una certa potenza, potremmo trasformare queste onde radio in suoni, e potremmo così accertare che tutto lo spazio, ininterrottamente, senza accorgersene, è percorso da informazioni, parole, suoni... Se noi potessimo essere in possesso di un ricevitore capace ci accorgeremmo che ci sono tantissime parole e suoni che arrivano da molte parti, e se noi potessimo decodificare queste parole, pensieri e suoni (degli altri) senza apparecchi radio, sarebbe tremendo, perché da qualsiasi parte arriverebbero pensieri, parole, grida finora non percepiti. Ci sono persone particolarmente sensibili che a volte riescono ad intuire i sentimenti (attraverso una stretta di mano, uno sguardo...) delle persone che hanno accanto, ma... riescono solo a intuire e non sentire il loro "dire".

Se noi potessimo udire le voci degli spiriti che aleggiano intorno a noi (vivi o defunti) che invocano aiuto, che piangono perché disperati, perché frastornati... Se potessimo udire tutte queste parole, l'intero gemito dell'umanità, soprattutto dell'umanità ammassata nelle città, diventerebbe un uragano e non potremmo sopportarlo perché, tale massa di dolore e di disperazione, ci annienterebbe. Tutto questo sarebbe per noi insopportabile perché siamo delle persone umane.

L'orizzonte delle nostre esperienze, la nostra capacità di immedesimazione negli altri, le nostre possibilità di aiuto sono sempre limitate.

Attenzione alla tentazione di assumere il ruolo di chi si crede responsabile di tutto, di chi vuole conoscere tutto quello che c'è nel mondo o che passa nel mondo. Questa tentazione porterebbe l'uomo ad avere su di sé un peso enorme. Lo stesso peso che ha fatto crollare Gesù nell'orto degli ulivi e che Gli ha fatto sudare sangue tanto era la pressione esterna di tutta la realtà che si stava abbattendo su di Lui.

Colui che crede di potersi assumere la responsabilità di tutto, tenta di giocare ad essere Dio: gioco molto pericoloso perché costui sopravvaluta in modo pericoloso le proprie forze e nega la propria limitatezza.

Ciascuno di noi deve conoscere le proprie forze per non cadere nella tentazione di pensare di essere il salvatore di tutti gli oppressi, il coordinatore di tutte le energie del mondo.

Troppe persone giocano a essere Dio, a fare il Dio.

Tante persone che si assumono delle responsabilità devono fare attenzione perché le loro sono responsabilità limitate.

Un giorno, Giovanni XXIII, passando in un corridoio di un dormitorio, a Roma, e vedendo che c'era la luce accesa nella stanza di un Monsignore molto giovane, bussò alla sua stanza e gli chiese: "Non dormi?"? Risposta: "Come si fa Santità a dormire pensando a tutti i grandi problemi, le angosce che ci sono nel mondo?", e Giovanni XXIII: "Non giocare a fare il Padreterno: noi facciamo quello che possiamo, ma il resto è Lui che lo deve fare? Vai a dormire!".

La stessa risposta che ebbe Pio X quando chiese a don Guanella: "Come fa lei a dormire con tutti i debiti che ha?", "Santità, dormire dormo, anche troppo. Una volta a Milano mi sono addormentato sulla "circonvallazione" e non mi sono accorto che la mia fermata era passata. Per dormire faccio così: quando i pensieri, i guai mi assillano..., fino a mezzanotte ci penso io e poi vado a letto e ci pensa Dio".

Non giochiamo a fare il Padreterno perché già ne esiste uno!

Ecco dunque la "funzione" dello Spirito Santo. Il nostro spirito è troppo limitato per poterci collegare con tutte le persone del mondo, ma possiamo collegarci con lo Spirito di Dio e "usarLo" come Mediatore.

Dio può quello che noi non possiamo.

Dove arriviamo facciamo noi (aiutati); dove non arriviamo preghiamo Lui (il Cielo): "Aiutati che il Ciel ti aiuta!".

Lo Spirito di Dio può superare quei limiti che noi non possiamo superare.

I Missionari sono i testimoni viventi di questa azione del Mediatore (Dio) nella comunicazione, infatti dicono, che loro, molte volte, della lingua indigena conoscono solo 200 o al massimo 300 vocaboli, e con questi devono esprimere delle realtà spirituali che riguardano Dio, su cui i teologi hanno scritto volumi e volumi...: eppure gli indigeni, quando parlano i missionari, capiscono!

Altro pensiero brevissimo. Di che cosa noi uomini abbiamo maggiormente bisogno? Di verità o di amore?

Per chi legge in profondità il Vangelo, il fatto appare molto chiaro. Quelle Verità che il figlio di Dio ci ha detto sul Padre che sta nei Cieli e sull'uomo, non le ha mai dette con distacco, con indifferenza nei nostri confronti, ma le ha sempre dette con amore. Ecco la spiegazione di "Spirito di amore": "Vieni, vieni Spirito d'amore".

Dire con amore: ecco il punto.

Quello che Gesù dice non è puramente una Verità, ma è una Verità che ha come suo "veicolo", come "lubrificante" un profondo rispetto dell'ascoltatore; è una Verità detta sempre nell'amore.

Bisogna amare le persone a cui si parla. Invece noi, tante volte per motivi politici o sociali, nelle persone vediamo dei nemici, o nei migliori dei casi, vediamo degli avversari.

Molte volte in noi non esiste il "veicolo" dell'amore o il coraggio di amare colui che non la pensa come noi, o che noi riteniamo un nemico.

Il cristiano ha tanti nemici ma non deve essere nemico di nessuno.

Abbiamo visto i "cosiddetti" cristiani nelle elezioni! Nemici e non cristiani! Possono essere rossi, bianchi, verdi, neri... ma se non c'è l'amore, se non c'è il veicolo dell'amore non sono cristiani!

"Non nominare il nome di Dio invano", ma... non nominare neanche il nome di cristiano invano.

Il cristiano per fare quello che dice Gesù Cristo deve amare, quindi deve parlare con amore alle persone. Questo è il significato dell'avere lo Spirito Santo.

La solennità della Pentecoste è la conclusione dell'attività di Gesù. Egli aveva già parlato dello Spirito Santo come di Colui che avrebbe completato la Sua attività, non semplicemente nel senso di aggiungere dottrina a dottrina, ma nel significato profondo di far capire, nell'amore, quello che le parole e le idee riuscivano a rendere solo in una certa porzione.

Quello che interessa l'uomo non è solo una verità nuda e cruda, questo lo devono comprendere anche coloro che insegnano, ma è una verità detta nell'amore. E parlando di amore non si allude al sentimento o all'emozione, e cioè a una verità detta con tanti "fronzoli sentimentali". No! Una verità detta nell'amore significa una verità che fa capire all'interlocutore che gli si dice la verità proprio perché lo si considera un valore; che gli si dice la verità proprio perché si vuole che questa verità non lo distrugga, non lo schiacci, non lo ferisca...., ma, al contrario, che questa verità diventi per lui motivo per costruirsi spiritualmente maturandosi come uomo.

Senza il "veicolo" dell'amore la verità lascia indifferenti, o addirittura ferisce. La verità senza amore può diventare, da strumento di edificazione o costruzione spirituale, a qualche cosa che schiaccia l'interlocutore.

Finisco con una domanda: come la mettiamo con tutti i modi di esprimersi che abbiamo con gli avversari, o con i discepoli, o con i ragazzi, o con i parenti, o con il coniuge....?

Come la mettiamo con tutte le "nuove" forme che troviamo nel vocabolario, per esempio: umorismo, comicità, arguzia, ironia, canzonatura, derisione, scherno....?

A volte noi ci esprimiamo con la parodia, con la satira, con il grottesco, con il sarcasmo.... Bisognerebbe analizzarci per scoprire se, forse, usiamo più queste cose che non l'amore!

E' necessario che ognuno di noi scopra se è nello spirito dell'amore.

 

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