TESTO Commento su Giovanni 14,15-21
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VI Domenica di Pasqua (Anno A) (27/04/2008)
Vangelo: Gv 14,15-21
«15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
E', ancora, un passo del Vangelo di Giovanni ad accompagnarci in questo tempo di Pasqua, che volge al termine; tra due settimane, infatti, la Chiesa celebrerà la solennità della Pentecoste, quella grandiosa effusione dello Spirito, del quale già, oggi, il Vangelo, ci parla, come dono del Padre e frutto della preghiera del Cristo; dono, che è una Presenza viva e vivificante accanto ad ogni uomo, che sia aperto all'ascolto e all'accoglienza della parola di Dio, per adempierne, poi, la volontà.
L' ascolto della parola del Signore e l' obbedienza ad essa, per amore, è un imperativo profondo di cui la Scrittura ci parla, già nel libro del Deuteronomio, in quel famoso passo, che diverrà una delle preghiere più importanti, per ogni israelita, e non solo; lo ritroviamo, infatti, anche nella preghiera liturgica della Chiesa.
Il passo recita: " Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.Tu amerai il Signore tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Le parole che oggi ti ordino siano nel tuo cuore.Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa, quando cammini per strada, quando ti corichi e quando ti alzi. Le legherai come un segno alla tua mano." (Dt.6,4-8)
Il Vangelo di oggi, poi, nelle parole del Maestro, che vive la vigilia della sua passione e morte, ci richiama all'ascolto attento della voce del Signore, là, dove parla di obbedienza, e non come un chinarsi servile di fronte alla volontà di chi ci sovrasta, bensì, come la misura dell'amore, verso Colui che ci ha amato per primo, che sempre ci ama, e che, nella persona del Figlio, dà la sua stessa vita per noi.
" Se mi amate, osserverete i miei comandamenti...", e, i comandamenti di cui Gesù parla, non sono certo quell' infinito numero di prescrizioni legali, moltiplicatesi, nel tempo presso il popolo eletto, ma si riducono a due soli, e, per giunta, molto somiglianti tra loro:" Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze, e ama il prossimo tuo come te stesso." (Lc.10,27)
L'amore, per Dio, infatti, non è un vago sentimento, fatto di parole che si dissolvono nel niente, ma si misura sulla capacità di amare chi ci sta accanto e si trova nel bisogno; infatti, se quel che diciamo amore, non opera il bene, è altro, e non amore.
L'amore è una energia incalcolabile, che l'autore del Cantico dei cantici definisce: " insaziabile come la morte, e le cui vampe son vampe di fuoco.." (Ct.ct.8,6); un fuoco che niente può spegnere, perché l'amore di Dio è eterno ed infinito.
Sono immagini ardite, quelle del Cantico, attraverso le quali l'autore sacro, rende intelligibile quale legame vitale ci sia tra Dio e l'uomo, tra il Creatore e la sua creatura, tra il Padre e tutti quei figli, ricomprati col sangue del suo Unigenito, l'uomo Gesù di Nazareth, che, ora, chiede un'obbedienza fatta, appunto, di amore, e un amore che si concretizza nell' attenzione, nell' ascolto e nella donazione, perché l'amore, se è autentico, non è inerte, ma riama e si diffonde, come si diffonde la luce e il calore.
Gesù, nel suo lungo discorso di addio, ritorna più volte su questo intreccio di amore, obbedienza e fede, ed anche in questo breve passo, che il Vangelo di oggi ci ripropone, ripete:" Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama "; dove amare, significa entrare in comunione con la persona amata.
Quale sarà il comportamento dei suoi, di lì a poco, lo conosciamo dalla storia, quei poveri uomini impauriti, lo abbandoneranno, e non c'è da farsi meraviglia; l'amore di cui Gesù parla, infatti, è molto più del sentimento naturale, esso è la forza che viene dallo Spirito, è virtù che viene dall'Alto, è il dono, che Cristo stesso chiede al Padre:" Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre..."
La preghiera di Cristo, come un giorno fu per Pietro, che avrebbe confermato e confortato la fede dei fratelli, ora è per questi suoi amici e, in loro, per quanti ancora crederanno, perché l' assenza fisica del Maestro non divenga solitudine di abbandono, ma sia confortata e illuminata dalla presenza dello Spirito, effuso dal Padre; è lui, ora, che colma la solitudine dell'uomo, mentre il primo Consolatore, Cristo, va al Padre.
Nella pienezza dei tempi, Dio inviò il suo Figlio nel mondo, perché tutta l'umanità fosse liberata dalla disperata solitudine del peccato, e ritrovasse l'amicizia col suo Creatore; ora, che quella missione è giunta a compimento, e Cristo è pienamente glorificato, lo Spirito, viene inviato agli uomini, perché non si smarriscano, e la loro fede non venga meno nelle difficoltà della vita, ma cresca, si fortifichi, e giunga alla conoscenza della verità tutta intera, quella verità che rende liberi nell'amore, e salva.
Ed è, appunto, l' accoglienza del dono dello Spirito, quella che qualifica il credente in Cristo, perché è per mezzo dello Spirito, che possiamo entrare in comunione e col Padre e col Figlio Gesù, una comunione d'amore, che ci apre alla conoscenza del Mistero, una conoscenza, che è quasi un " vedere " l' Invisibile.
Questo dice il Maestro, quando promette lo Spirito di verità:" Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi."
La conoscenza, di cui il Signore parla, non è una conoscenza intellettuale, ma sapienziale; è quella certezza profonda e chiara che nasce da una fede semplice, e grande insieme, una fede che si fida e si affida, aprendosi all'azione che lo Spirito, Amore sostanziale, che opera, dimorando in noi.
Solo chi, ostinatamente, e con superbia, si oppone a Dio, al suo dono di grazia, alla sua verità, non può conoscere la dolcezza e la potenza dello Spirito, non può far esperienza di cosa sia la consolazione, che viene da Dio, e non può godere, della gioia e della pace, che dà la comunione con Lui.
Questa realtà chiusa ed ostile, di cui ancora oggi facciamo esperienza, è quella che nel Vangelo è definita " mondo", un mondo cieco, ed inquieto, che non ha, e non può dare certezze, né speranza, né gioia duratura, né pace, perché si ostina a vivere la lontananza da Dio, davanti al quale ha chiuso e gli occhi e il cuore.
Tuttavia, in questo " mondo " ostile, il cristiano è inviato, sulla parola di Cristo, e per la forza dello Spirito, ad operare, per portare luce, e seminare la verità e l'amore, con la parola, e, sopratutto, con la testimonianza della vita; e, a questo esorta Pietro quando scrive:" Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza...".
E' lo stile della missione cui siamo chiamati in quanto battezzati: se veramente siamo fedeli a Cristo, in comunione col Padre e animati dallo Spirito, non possiamo non portare nel mondo la luce, che indica agli uomini la via che conduce alla salvezza.
Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
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