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TESTO Commento su Giovanni 10,1-10

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IV Domenica di Pasqua (Anno A) (13/04/2008)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Gli studiosi della comunicazione umana attribuiscono al "tono di voce" il 30% della totalità della comunicazione medesima. Quando si parla con una persona le cose stanno così, sempre secondo le ricerche degli studiosi: il 10% del comunicare è dato dal pensiero, dal concetto, dal contenuto, il 30% è dato appunto dal tono di voce con cui si trasmette quel contenuto di pensiero e il rimanente 60% è dato dalla gestualità fisica (postura della persona, espressione del volto, sguardo...).

Il "tono di voce" quindi occupa uno spazio comunicazionale superiore a quello del "contenuto", senza parlare poi del cosiddetto "non verbale" che si prende la fetta più grossa della comunicazione.

Perché questo? Perché il "tono di voce" trasmette il "sentimento", lo "stato d'animo emotivo" che fanno da sottofondo alla trasmissione del pensiero. Senza parlare poi dei movimenti e dei gesti del corpo nel suo insieme e nei suoi particolari...Per cui chi vuole "comunicare" in maniera sana e comprensibile dovrebbe essere attento a curare la congruità tra "contenuto", "tono di voce" e "gestualità del corpo" onde non rischiare incomprensione o, quel che è peggio, onde non rischiare di contraddire con la "voce" quanto si sta affermando come pensiero:

Chi vuole ben comunicare, paradossalmente parlando, dovrebbe fare attenzione più a "come" parla che a "cosa" dice: Il "come" infatti (che comprende sia il tono di voce che la gestualità del corpo) copre la quasi totalità del comunicare (90%) a fronte di un ridottissimo 10% del contenuto di pensiero.

Nel brano del vangelo di oggi (conosciuto come quello del buon pastore) ci piace sottolineare proprio il riferimento costante alla "voce", la "voce" del pastore che le pecore conoscono.. a fronte di quella dell'estraneo che le pecore non riconoscono.

E' come se Gesù volesse comunicare: "Fidatevi soltanto di chi vi vuole bene", "Seguite soltanto chi vi ama", "Fidatevi soltanto di Chi sa entrare in voi per la porta del cuore", "Non fidatevi di coloro che entrano per altra via per arrivare a voi", (via che può essere quella della razionalità senza cuore o con cuore sclerotico, del ricatto intellettuale, della manipolazione subdola della mente...)

E' come se Gesù dicesse: "Costui, che è capace di entrare per la via del cuore, lo riconoscerete immediatamente dal semplice ascoltare il "tono della sua voce"...che tradisce senza inganno il suo amore per voi" Il buon pastore si riconosce dalla "voce" perché la "voce" trasmette subito il calore del sentimento, il calore dell'amore.

Ma, pur avendo comunicato questo chiaro e lucido contenuto di pensiero seppur in modo parabolico, "essi non compresero quali erano le cose che andava loro dicendo".

Allora Gesù cerca di "precisare" il contenuto appena espresso facendo coincidere "pastore che entra dalla porta" con "io sono la porta"... Troppo facile..."Io sono l'Amore"... Quella "voce" cioè è, al tempo stesso, pastore e porta, sintesi e ricchezza di quell'amore capace di "pascere" a dovere le sue pecore.

Pecore che "chiama per nome", "conduce fuori", "cammina innanzi a loro"... Ecco la "gestualità" del pastore che ama le sue pecore. Le pecore riconoscono il loro pastore, anche oggi, se egli sta insieme a loro. E' forse, questa, una delicata indicazione "pastorale" di una modalità di presenza del pastore tra le sue pecore che sia più affettiva e visibile, più incarnata e concreta rispetto a forme di presenza che appaiono talvolta distaccate o prevalentemente di ruolo.

Questa presenza "pastorale" più affettiva e incarnata comporta però anche, da parte delle pecore, una sequela maggiormente calda e appassionata del "pastore", una sequela di fede fattiva ed affettiva e non una sequela da "pecoroni".

Commento a cura del Prof. Gigi Avanti

 

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