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TESTO Tommaso, guarda le mie mani

mons. Antonio Riboldi

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II Domenica di Pasqua (Anno A) (30/03/2008)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Un tempo questa domenica, seconda di Pasqua, era chiamata 'in albis', ossia, coloro che, per i loro gravi peccati, erano stati invitati dal vescovo ad una Quaresima di conversione e di penitenza, durante la Veglia pasquale partecipavano alla gioia della ritrovata innocenza con la riconciliazione e, quindi, come bambini appena nati, si rivestivano di bianche vesti. Il significato profondo era che, dopo una vita lontani o contro Dio, rinascevano, invitati a non perdere più la 'veste dell'innocenza', che era il segno che, dalla comunità, non dovevano più essere considerati 'morti alla grazia, per il peccato', ma rinati 'a vita nuova', che è la Pasqua di quanti si convertono ancora oggi, accostandosi al Sacramento della penitenza, in particolare a Pasqua.

Lo stesso facevano quanti, dopo una preparazione quaresimale, e oltre, nella veglia pasquale ricevevano il Battesimo, 'rinascita a vita nuova', dono della resurrezione di Cristo.

Forse oggi è venuta a mancare questa 'festa di vita nuova', con il grave rischio di non partecipare alla resurrezione.

E Dio solo sa quanto tutti noi abbiamo bisogno di ritrovare la gioia di quella veste bianca, noi, troppe volte 'fuori strada', nel buio di una vita senza o contro Dio-Amore, in compagnia del solo egoismo, che è la morte del cuore.

L'uomo ha bisogno di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia.

Il grande Giovanni Paolo II intuì questa urgenza e, nel 2000, diede ufficialità al titolo di 'Domenica della Divina Misericordia' per definire questa seconda Domenica di Pasqua.

Non ci resta che abbandonarci alla Grazia, perché possiamo avere l'umiltà di affidarci alla Misericordia di Dio, che in Gesù, dalla croce, disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Ed è proprio così, se osserviamo in noi e attorno a noi quello che avviene, come se, spesso, fossimo 'fermi', insieme a quanti sotto la croce si prendevano beffe di Gesù, che proprio da quella croce voleva chiamarci alla gioia di una vita nuova.

È una profonda, inconfessata infelicità, quella di sentire le nostre 'ali', fatte per risorgere, come legate, e non avere la forza di credere, né di sentire quanto Gesù disse sulla croce al buon ladrone: "Oggi sarai con me in Paradiso!".

Così ci priviamo della gioia di liberarci dal male, ridiventando 'bambini nel cuore e nella vita': la gioia dei primi nostri fratelli nella fede, descritta dagli Atti degli Apostoli: "I fratelli erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti, stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa, prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima del popolo" (At 2, 42-47).

Oggi la Chiesa ci ripropone anche la profonda gioia degli Apostoli nel rivedere il Maestro.

È facile immaginare i loro sentimenti. Incredibile per loro, poveri uomini, ma sicuramente innamorati di Gesù, anche solo pensare che sarebbe davvero risorto.

La povertà della nostra natura umana ha difficoltà, ancora oggi, a pensare che ci sia resurrezione anche per noi. Facile - e per qualcuno 'comodo' - pensare che tutto finisce con questa breve e fallace esistenza terrena, ma l'Apostolo Paolo afferma con decisione: "Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra stessa vita".

Se non si è accecati dal benessere o dal male, non può non esserci una giusta incertezza nel profondo del nostro cuore, la stessa che sicuramente era negli Apostoli, ed in particolare in Tommaso: "Non può finire tutto così, ci deve essere un 'dopo', che non riusciamo a intuire, ma deve esserci!".

E Gesù risorto, apparendo, toglie ogni dubbio, ogni incertezza: "Tommaso uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e non metto il dito nel suo costato, non crederò. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo chiusi in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani: stendi la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché tu hai visto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 19-31).

Davvero Tommaso rappresenta tutti noi, quando, trovandoci di fronte a tanti fallimenti o dubbi, o avversità, pensiamo sia impossibile che tutto possa cambiare e che, con la fede e la pazienza, si possa avverare la speranza.

Non riesco a pensare a uomini - per natura uguali a me, uguali ai santi, creature di Dio, votate alla visione del Padre - che riescono a vivere senza futuro, quel futuro che è nella nostra vita eterna, che Dio ci dona nella fede.

Deve avere pure un senso questa vita! Un senso che non può essere certamente solo il benessere, il denaro, o quello che vogliamo, tutte cose che non sono la grandezza della vita eterna! Sono beni fugaci e, tante volte, soffocano proprio il meraviglioso dell'eternità.

Voglio credere che tutti sentiamo la nostalgia del Padre, solo che 'vederLo', richiede - ora - tanta fede, l'abbandono di ogni sicurezza, una fiducia totale in Lui.

"Ma noi, uomini di oggi - affermava Paolo VI, il 20 novembre del 1968 - facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? Un Dio così nascosto? Non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? Non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre difficoltà conoscitive? La scienza? La psicologia? Cioè il mondo e l'uomo?

Ci si dimentica che l'uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle supreme difficoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: è fatto per Lui; ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l'inquietudine e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all'oceano dell'essere e della vita, della piena verità che sola dà la beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l'uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l'uomo stesso. La cosiddetta 'morte di Dio' si risolve nella morte dell'uomo".

Ha ragione Pietro, tanto generoso nell'amore a Cristo, di scrivere: "Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo: nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un poco di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più prezioso dell'oro, che pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo; voi Lo amate, pur senza averlo visto, e ora, senza vederLo, credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime" (I Pietro 1,3-9).

Oggi siamo chiamati tutti a farci illuminare dalla gioia e dallo stupore di Tommaso, che, dopo aver visto Gesù Risorto, non sa che balbettare: "Mio Signore, mio Dio!".

Ancora Paolo VI affermava: "Noi siamo in migliori condizioni degli altri, privi della luce evangelica, per guardare il panorama del mondo e della vita con gioioso stupore e per godere di quanto l'esistenza ci riserva anche nelle prove di cui essa abbonda, con riconoscente e sapiente serenità. Il cristiano è fortunato. Il vero cristiano sa di avere e trovare le ragioni della bontà di Dio in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell'esperienza; ed egli sa che 'tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio' (Rom 8, 28). Il cristiano deve dare sempre una testimonianza di superiore spiritualità, dalla gioia di Cristo Risorto. Oggi questo atteggiamento di lieto vigore dell'animo si va diffondendo anche fra i cristiani moderni. Essi appaiono più disinvolti, più allegri. Una gioia che nulla ha a che fare con le cosiddette gioie del mondo, che sono illusioni-delusioni che nulla hanno a che vedere con la gioia di Cristo. Sanno e sono tanti, che la nostra gioia interiore e la propria esteriorità sono di Cristo Risorto".

Io stesso chiedevo un giorno ad una persona, provata da numerose sofferenze, la ragione della sua inalterabile serenità: "Appartengo a Cristo Risorto e Lui solo è la Gioia. Una gioia che non mi faccio mancare ogni giorno nella preghiera, nell'Eucarestia e nell'amore verso tutti, che diviene senza quasi 'fatica' un dare e ricevere gioia".
È bella la preghiera del grande cardinal Newman:

"Mio Signore e mio Salvatore, mi sento sicuro nelle tue braccia.

Se tu mi custodisci, non ho nulla da temere, ma se tu mi abbandoni, non ho più nulla in cui sperare.

Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi molto povero, ma mi rimetto a Te, perché Tu sai ciò di cui ho bisogno e che io ignoro.

Se Tu mi imponi sofferenze e dispiaceri, concedimi la grazia di sopportarli.

Se Tu mi doni salute e forza o successo in questo mondo, fa' che sia vigilante, perché non mi trascinino lontano da Te.

Tu che sei morto per me sulla croce, concedimi di conoscerTi, di credere in Te, di amarTi, di servirTi, di vivere per Te e con Te e così la mia gioia sarà piena non solo ora, ma sempre nell'eternità".

 

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