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TESTO L'uomo come può vivere senza Dio?

Marco Pedron   Marco Pedron

II Domenica di Pasqua (Anno A) (30/03/2008)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Il vangelo di oggi descrive due apparizioni di Gesù ai discepoli.

La prima descrive cosa può voler dire "vedere" il Signore nella nostra vita; la seconda dice che "vedere" il Signore è un affare personale: nessuno, cioè, lo può fare per te; lo devi toccare, sentire, vivere, sperimentare tu di persona.

I discepoli, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi ben bene e dicevano: "Se hanno fatto così a lui, cosa faranno a noi?". La paura e il terrore governava le loro giornate e la loro vita. Le "porte chiuse" sta a dire che non ne volevano sapere del Signore, che avevano una paura folle, che avevano già deciso di dimenticare e di ritornare alla loro vita di tutti i giorni. Potevano ricordare che era stato bello quando Gesù c'era, quasi quasi gli avevano anche creduto, ma adesso era meglio essere realisti e ritornare alle solite cose. E' per questo che molte persone rifiutano la fede: non ce l'hanno con Dio, anzi in fondo lo vorrebbero conoscere, lo vorrebbero far entrare, sanno che Dio non è un nemico, sanno che Dio non viene per ucciderti o per condannarti o per farti del male. Ma intuiscono pure cosa voglia dire aprirgli le porte: se lo fai entrare, egli ti mette di fronte alla tua realtà, ti fa vedere ciò che hai dentro, ti smaschera, ti toglie le facciate false e le illusioni che ti sei creato. Allora è meglio una religione indolore o starsene molto lontani. Incontrarlo è la meraviglia della vita perché Lui è la Vita, la Via, ma Lui è anche la Verità e questo ci può ferire. Molte persone non rifiutano il Signore, rifiutano l'incontro con la verità.

Tra te e tuo marito non circola più l'amore. E' scesa da tempo l'indifferenza, fate finta di niente ma entrambi sapete che le cose non vanno, entrambi sapete che dovreste fare qualcosa, entrambi sapete che la relazione si è inceppata ma intanto andate avanti. Avete chiuso la porta, fate finta che tutto vada come sempre e sapete che aprire quella porta sarà doloroso, che aprirla vorrebbe dire ammettere che c'è qualcosa che non va, che aprirla vorrebbe dire rimettere in gioco il vostro rapporto. "Intanto andiamo avanti!", ma l'insoddisfazione dentro cresce.

Senti che dentro di te c'è qualcosa che non va. Senti un malessere che cresce, sei insoddisfatto, sei spesso arrabbiato, buio, acido, nervoso. Non riesci più a lasciarti andare, a gioire, ad emozionarti. C'è qualcosa che non va. Dai la colpa allo stress, al lavoro che è sempre tanto, al tuo partner, ai figli che ti sono sempre "addosso", a tante cose, ma tu lo sai che il problema è altrove. Tu lo sai che dovresti far luce in te, tu lo sai che dovresti avere l'umiltà di fermarti e ascoltarti, di fermarti e iniziare a sbirciare dentro il tuo cuore. Intanto vai avanti e fai finta di niente.

C'è un problema in famiglia o in casa. Tuo figlio è molto timido, tua figlia soffre di anoressia, il papà non c'è mai in casa, la mamma beve troppo, in casa non c'è affetto, coccole; in casa non c'è comunicazione se non di cose tecniche "c'è da pagare questo, hai fatto quello?, che voto hai preso a scuola, oggi ho visto..., hai sistemato la camera?" ma non si parla mai di noi di quello che viviamo e abbiamo dentro. Si sente che ci sarebbe qualcosa da cambiare, è nell'aria che il clima non va, ma sarà "il periodo, la società, il nostro carattere, siamo fatti così, c'è chi sta peggio, abbiamo tante cose che vanno". E intanto ce la raccontiamo!

Un uomo molto conosciuto nel suo paese picchia regolarmente sua figlia (venticinque anni) e la moglie. Bisognerebbe ammettere che c'è un problema, che qualcosa non va, ma tutto viene taciuto, nessuno fa niente e così le due donne continuano a prenderle, ad essere sottomesse e subire: l'importante è "che non si venga sapere in giro".

Chi non ha paura in situazioni simili? Chi vorrebbe aprire la porta? Chi vorrebbe che il Signore apparisse e ci facesse vedere la realtà? Un Signore così non è proprio il benvenuto... non pensiamo forse che è meglio che se ne stia lontano da noi?

Quando incontro le persone spesso non vogliono assolutamente parlare di certi argomenti, sono veramente terrorizzate dall'aprire certe porte. Ma Dio no.

Dio viene, c'incontra e vince la nostra paura. Lui c'invita a sbloccare ciò che era messo sotto chiave; c'invita a togliere la pietra che blocca l'ingresso alla nostra conoscenza e a certe stanze buie; c'invita ad andare nella direzione opposta al ripiegarsi, al nascondersi, al proteggersi fino all'eccesso, al voler risolvere i problemi da soli o al negarli, al rimanere in periferia alle questioni chiave. Far entrare il Signore nella nostra vita è qualcosa di molto pratico, concreto vitale e doloroso: non ha nulla di pio, di mistico ma vuol dire far luce sul buio che c'è nel nostro cuore e nella nostra anima. Vuol dire farlo entrare vincendo la paura che lo vorrebbe tenere fuori. Vuol dire farlo entrare nelle stanze dove regna il potere del nascondimento, del silenzio, dell'ignoranza, della notte.

Tommaso non c'era nella prima apparizione, come a dire che Tommaso non ce la fa ancora, resiste e non vuole che il Signore entri nella sua vita. Quando Gesù entra dice: "Pace a voi!". E cos'altro poteva dire?

Pace a te vuol dire: "Stai tranquillo, non ti preoccupare, non ti spaventare, ci sono io, non temere, non aver paura". Perché il primo incontro è con le ferite: "Gesù mostrò loro le mani e il costato".

L'incontro con Dio all'inizio è l'incontro con tutto ciò che ci fa male, con tutto ciò che ci impedisce di vivere, con tutto ciò che blocca la vita che c'è in noi, con tutte le prigioni e i carcerieri che ci impediscono di andare liberi per le vie della nostra esistenza.

Allora uno magari scopre che non era aspettato, anzi che "è arrivato" e "proprio non ci voleva". E poiché un bambino sente benissimo il desiderio o meno (conscio o no che sia) dei suoi genitori verso di lui, per un bambino non aspettato sarà più difficile credere di poter essere amato, accettato o accolto. Farà fatica in tutte le relazioni importanti della sua vita e se troverà qualcuno avrà una paura folle di perderlo. Un altro porta luce su alcuni fatti traumatici della sua vita: la mamma è stata ricoverata in ospedale per due mesi e lui, che aveva solo due mesi di vita, è stato dalla zia. Così oggi teme di essere abbandonato (come già a quel tempo) e si attacca morbosamente a tutti. Un'altra porta luce sul parente che la circuiva e nessuno in famiglia, pur sapendo la cosa, prendeva le sue parti. Così oggi crede di non valere, di non meritarsi niente, di essere nulla, che non ci sia nulla di buono in lei. Un altro scopre di non sapere parlare di sé, di usare solo frasi fatte, confezionate: non si conosce, non sa cosa prova, cosa vive. Sa solo parlare di sport e di lavoro.

Molte persone si tengono dentro le ferite. Soffrono e non lo dicono a nessuno; non lasciano trasparire niente. Allora il dolore marcisce, diventa cancrena e porta alla morte. Se una ferita non viene curata, medicata, allora infetta tutto l'organismo. Le vite di molti uomini sono fiumi di sofferenza piene di dolore, di rabbia, di lacrime e di umiliazioni: è che nulla traspare nella superficie, dal di fuori tutto sembra normale, tranquillo. Anzi c'è proprio il bisogno di far vedere che è così, che tutto va bene: ma dentro! Temono aprirsi e mostrarsi, si vergognano "c'è chi sta peggio; non è poi così grave!". Così non può avvenire nessuna guarigione, niente può trasformarsi, niente può essere risanato. Perché chi non si accorge di essere malato, come fa a guarire? Non si può vivere senza essere feriti. Ma si può vivere guarendo.

Allora io ho proprio bisogno di quelle parole di Gesù che mi dicono: "Non aver paura, lo so che tu hai una paura folle, lo so che tu chiudi tutte le tue porte, lo so che ti sei rinchiuso e non vuoi che io entri, ma fidati e fammi entrare nella tua paura, nei tuoi luoghi chiusi; non aver paura; pace!; sta' in pace perché ci sono io". Ho bisogno di sentire che posso farlo entrare.

Poi Gesù di nuovo dice: "Pace a voi" e dice due frasi. "Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi": c'è stato un motivo, un senso nella vita di Gesù e c'è un motivo e un senso anche nella mia. Tutto quello che vivo, che ho vissuto ha un senso, non è frutto del caso, mi vuole insegnare qualcosa e farà di tutto per insegnarmelo, quindi si ripeterà se non lo ascolto.

"Quello che ti sta accadendo, quello che ti è successo, non è casuale. Tu fammi entrare e scoprirai che tutto ti riguarda, che è successo perché doveva insegnarti qualcosa, perché dovevi vivere certe cose, perché solo affrontando certe salite possiamo imparare. Se mi fai entrare scoprirai che la tua vita è ricca di senso". E quando si ha un senso, un motivo per vivere, quando c'è un perché si può affrontare qualunque cosa.

E poi Gesù dice: "Ricevete lo Spirito Santo". Prendi consapevolezza della forza enorme che ti abita: "Tu hai Dio dentro di te, tu hai il suo Spirito, tu hai una forza enorme, tu possiedi l'energia dell'universo, l'energia che muove e che fa vivere ogni cosa".

Se noi ci potessimo conoscere, potremmo scoprire la forza che ci abita, potremmo scoprire che dentro abbiamo risorse, energie, ricchezze, perle, tesori, di cui neppure abbiamo idea. Noi siamo potenti, solo che non lo sappiamo. Per questo il diavolo dimora sempre nel buio: perché non vuole farci vedere la forza e la ricchezza che siamo. Il modo migliore per tenere schiavo un popolo o una persona è renderlo cieco del suo potere, della sua forza, di ciò che può essere e che può vivere.

Quel verbo che noi traduciamo "alitare", emphysao, nella Genesi è usato per indicare l'atto creativo di Dio. Cioè: Dio mette in noi il suo respiro perché si risvegli ciò che dorme, perché si crei il mondo che ciascuno porta in sé, la creazione che deve svilupparsi in noi. Perché ciò che descrive la Genesi è questo progressivo crearsi della creazione, giorno dopo giorno, dove piano piano si creano il cielo, la terra, il mare, le pianure, i boschi, le piante, gli animali, è nient'altro che l'opera di differenziazione che io devo fare, compiere, per diventare ciò che devo essere. Da ogni vita si deve generare una creazione, dove ogni cosa ha il suo posto e il suo senso d'essere e di vivere. Da ogni vita si deve generare l'opera d'arte che io sono. Perché tutto è perfetto, cioè "creativo", agli occhi di Dio. Dai luce alle creazione, al mondo pieno di vita che è racchiuso in te.

Ma Tommaso non ha sperimentato tutto quello che hanno sperimentato, visto, toccato gli altri apostoli. Tommaso quello che dubita, ma colui che cerca l'esperienza. Cioè: la nostra fede ha bisogno, è frutto, di esperienza. Non è importante tanto cosa gli altri hanno sperimentato, ma è decisivo che io incontri il Signore, che io nella mia vita faccia quest'incontro bruciante e liberante, che io sappia chi è Lui perché l'ho visto, e non più e non solo perché ne ho sentito parlare. Giobbe: "Io ti conoscevo, o Dio, per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono" (42,4).

Tommaso deve toccare, deve, cioè, far esperienza del Signore Risorto, lo deve incontrare nella e con la sua vita. I testimoni, i santi, la fede degli altri non bastano più: l'incontro decisivo è quello tra me e Lui. La fede è sempre un affare del singolo, unico, perché non può che avvenire tra me e Lui. E' una singolarità, per cui ogni incontro e ogni esperienza non può essere uguale a nessun'altra: la mia avviene in un modo e la tua in un'altra. Ma è decisivo che tocca a me, come Tommaso, farla: o la faccio io o nessun altro può farla per me.

Qui Tommaso dice: "Mio Signore e mio Dio" (20,28). Anche la Maddalena dice: "Mio Signore; rabbonì, mio maestro" (20,13.16). Gesù stesso parla di "Padre mio e Padre vostro" (20,17). Allora: la fede è una relazione profonda, personale, diversa in ciascuno, relazione d'amore, di conoscenza, di crescita attraverso le persone, gli incontri, il tempo, i gesti d'amore, i cambiamenti, la vita. La fede nasce da questa relazione d'esperienza.

Io penso a due persone che stanno insieme da venti, trenta, cinquant'anni e che si dicono: "Il mio amore". E' una relazione fortissima dove sono cambiati, hanno affrontato difficoltà, gioie, esperienze, momenti di crisi e di esaltazione; una relazione intima, affettiva, profonda; una relazione che è evoluta, che si è trasformata e che li ha trasformati. La fede è così: una relazione. Quando io vengo a messa, vengo per fare un incontro, per alimentare una relazione d'amore.

Molte persone dicono: "Io vado quando ne ho voglia". E' strano dire così, perché quando si ama qualcuno lo si vuole anche vedere. Gli innamorati vorrebbero vedersi in ogni istante. Ci si sposa per "vedersi sempre", per stare sempre insieme. Una relazione ha bisogno di frequenza, di vedersi, di conoscersi, altrimenti che relazione è? Molte persone vengono in chiesa e non ci sono con il cuore, con l'anima, con il canto: non partecipano, non si espongono, non si lasciano coinvolgere. Allora non c'è nessuna intimità, nessun incontro, allora la relazione non cresce. E' come andare dall'amata e non accarezzarla, non darle un bacio. Ma che amore è? Ma che rapporto è? Molte persone vengono in chiesa e non ascoltano il vangelo, sono impermeabili a tutto, corazzati: è come essere dall'amata ed essere con la testa altrove. Altri si distraggono se un bambino fa un rumore, se uno si alza al primo errore di lettura; altri non sanno fare silenzio esteriore e interiore, non c'è intimità, non c'è profondità nel loro stare qui. Si distraggono con tutto e tutto li distrae: non c'è profondità nel loro esserci. Dopo una celebrazione meravigliosa del Sabato Santo una donna viene a dirmi: "Sì bello, ma la tovaglia dell'altare aveva delle pieghe".

Ogni volta che io vengo a messa ho bisogno di toccare il Signore, di sentirlo, di sperimentarlo. Ho bisogno di fare un'esperienza, di qualcosa che entri, che colpisca, che disseti il mio cuore. Alcune persone quando escono dalla chiesa non sanno dire cos'hanno vissuto ma dicono: "Sono stato bene! Ho pianto! Mi sento a casa mia! Lì sono libero. L'ho incontrato. Sono felice come una Pasqua". Sono espressioni che rivelano che c'è stato un incontro. Quante volte incontriamo delle persone, magari neppure ci ricordiamo cosa ci siamo detti, ma abbiamo la sensazione di esserci incontrati dentro: è stata un'esperienza.

Ogni volta che io vengo a messa io mostro al Signore le mie mani ferite.

Le mani sono la parte del corpo che uso di più ogni giorno: per scrivere,

per lavorare, per pulire, per accarezzare, per guidare, per fare tutto usiamo le mani.

Allora io vengo qui in chiesa e gli faccio vedere le ferite giornaliere, i pensieri che mi turbano, i pensieri ossessivi, le paure che mi impediscono di esprimermi, di essere quello che posso essere e la creazione che lui ha pensato per me, i litigi, le incomprensioni, le relazioni che non vanno, il panico che mi assale, i giudizi della gente e poi sento e ascolto le sue parole: "Pace a te; non aver paura; ci sono io, sta' tranquillo". Io ho bisogno di queste parole che ridiano pace al mio cuore e fiducia alla mia persona.

Ho bisogno di disintossicarmi dal male, dall'odio, dal dolore e dalle ferite (è per questo che gliele mostro) e di riempirmi della sua fiducia e del suo amore per ripartire con vigore.
Ogni volta che io vengo a messa gli mostro il mio costato.

Il costato è la ferita del cuore. Sono le ferite profonde: il non essere stato accettato, l'essere rifiutato, l'essere stato tradito, il non essere stato aspettato, le sensazioni forti e onnipresenti, le paure che ci rincorrono sempre giorno e notte, quelle che non ti lasciano mai, che non ti danno tregua, quei comportamenti e quei pensieri malsani che ci vengono automatici, l'aver sbagliato tutto nella vita, l'aver sbagliato matrimonio, l'aver sbagliato l'educazione dei figli o averli usati per i nostri scopi, l'aver umiliato, picchiato, usato e abusato degli altri, l'essersi dati all'alcool o ad altre dipendenze, il non essersi riusciti a staccare dalla famiglia e l'essere rimasti anche da adulti dei "bambini infantili", quelle ferite, insomma forti, profonde, che ci spezzano il cuore quando le riconosciamo; quelle che ci fanno venire voglia di nasconderci, di morire quando ci rendiamo conto di ciò che abbiamo fatto o vissuto. Allora io ho bisogno di sentire le sue parole: "Pace a te; ci sono io, puoi vivere lo stesso, ristorati qui, con calma affronteremo, ti accetto lo stesso, anche se non guarirai del tutto io ti amerò, puoi guarire".

Ho bisogno di sentire che io non mi identifico con tutto questo dolore; ho bisogno di sentire che io sono di più delle mie ferite profonde; ho bisogno di sentire che ce la posso fare, che posso vivere, che la mia dignità non stata distrutta.

Ogni otto giorni, ogni domenica, io vengo a fare esperienza del Signore Risorto in chiesa. Vengo ad incontrarlo.

Come potrei vivere e stare senza di lui?

Pensiero della Settimana
Chi ha sete come può stare senza bere?
L'uomo come può vivere senza Dio?

 

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