TESTO Omelia per il 18 marzo 2001 - 3a dom. T. Quaresima Anno C
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III Domenica di Quaresima (Anno C) (18/03/2001)
Vangelo: Lc 13,1-9
1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
NESSO TRA LE LETTURE
Le letture di oggi ci descrivono alcuni tratti del Dio cristiano. Nella prima lettura, Dio appare come fuoco che non si consuma e definisce se stesso: Io sono colui che sono. Il vangelo, da parte sua, ci presenta un Dio misericordioso, che desidera ardentemente la conversione del peccatore, che sa aspettare prima di intervenire con la sua giustizia. Il Dio cristiano e' anche un Dio provvidente, che ci mette davanti agli occhi la storia di Israele, affinché stiamo attenti e ci manteniamo in piedi (seconda lettura).
MESSAGGIO DOTTRINALE
1. Dio e' fuoco che non si consuma. Nella mentalita' antica il fuoco e' simbolo di potere e di forza divini. Nell'Antico Testamento e' altresi' simbolo della presenza divina nella creazione (il sole, il raggio...) e nell'intelaiatura storica degli uomini. Dato che Dio e' eterno, il fuoco della sua presenza e del suo potere non puo' consumarsi. Che bella maniera di esprimere la vicinanza costante di Dio verso Mose' e verso i discendenti di Israele! La presenza potente di Dio tra i suoi, giunge a piena realizzazione nel momento in cui il Verbo stesso di Dio si incarna nel seno di Maria e si fa in tutto simile all'uomo, ed eccezione del peccato. Gesu', durante la sua vita pubblica, dira': Sono venuto a portare fuoco sulla terra, e che cosa e' cio' che voglio, se non che arda? Si tratta del fuoco che e' Dio stesso, nella sua misteriosa prossimita' all'uomo; un fuoco, che deve fiammeggiare, come una bandiera diritta, nel cuore della storia e di ogni essere umano.
2. Dio definisce se stesso come colui che e'. Javeh dice a Mosè: Dirai agli israeliti: Io Sono mi manda a voi. Il fuoco di Dio non e' distruttore, ma amico e benefattore dell'uomo, in cui l'uomo stesso puo' riporre la sua fiducia. Senza escludere una possibile interpretazione essenziale del nome divino rivelato a Mose', sembra piu' appropriata, tenendo conto del contesto, un'interpretazione esistenziale. Come se Mose' dicesse agli israeliti in Egitto: Mi manda a voi il Dio in cui potete avere la fiducia e la totale sicurezza che vi liberera'. Non soltanto per gli israeliti in Egitto, ma anche per i giudei in altre epoche della loro storia e per i cristiani in diverse occasioni di questi ultimi venti secoli, la situazione puo' apparire disperata. Non ci sono orizzonti, non c'e' quasi speranza. Chi potra' salvarci? Chi potra' trarci fuori da questa situazione angosciosa? Dio ha ripetuto e continuera' a ripetere fino alla fine dei tempi le stesse parole che troviamo nella prima lettura: Io sono colui che sono. Spiegalo cosi' agli israeliti: 'Io Sono' mi manda a voi. La fiducia in queste parole divine rinnova costantemente la storia.
3. Un Dio che anela alla 'conversioné dell'uomo. Prima di tutto, Mose' 'si converte' a Javeh e si mette in marcia verso l'Egitto per portare a compimento, da parte di Dio, la liberazione degli israeliti. Gesu', nel vangelo, ci avverte che Dio non ama il castigo - i galilei assassinati nel tempio e i 18 gerosolimitani morti nel crollo della torre di Siloe, non morirono perché Dio li castigo' - ma il pentimento e la conversione. La storia di Israele e la storia del cristianesimo sono per tutti noi un invito forte alla conversione. Perché, come ci dice il vangelo, se non vi convertite, perirete.
4. Un Dio paziente, che sa aspettare. Dio sa che convertirsi veramente non e' facile, né e' cosa di alcune ore o giorni. Poiché conosce l'intimo dell'uomo, Dio sa aspettare, non ha fretta, quando vede una disposizione sincera per la conversione. La parabola del fico, narrata da Gesu' nel vangelo, e' di grande conforto per l'uomo debole, e non poche volte sterile nei suoi sforzi di conversione. Dio non soltanto attende, ma altresi' agisce nella coscienza umana perché si converta e dia frutti. Sara' l'uomo cosi' ingrato, di fronte a tanta bonta' e misericordia di Dio? Siamo cristiani. Non dimentichiamo che con Cristo e' giunta la pienezza dei tempi, come ci ricorda la seconda lettura. Con la pienezza dei tempi giunge anche la pienezza della pazienza divina. La respingeremo? Signore, liberaci da questo male, il male estremo.
SUGGERIMENTI PASTORALI
1. Saper aspettare allo stile di Dio. Un grande peccato dell'apostolo, del cristiano impegnato, del missionario, e' o puo' essere l'impazienza, l'incapacita' di aspettare il momento di Dio. Un parroco, per esempio, puo' sentirsi impaziente di fronte a certe situazioni attraverso le quali passa la parrocchia: genitori che non battezzano i propri figli, battesimi piu' sociologici che religiosi, coppie di fatto o sposate soltanto civilmente, notevole diminuzione della natalita', ignoranza religiosa da parte dei fedeli, presenza attiva e distruttiva dei Testimoni di Geova, disintegrazione familiare, dissenso su certe verita' di fede e di morale cristiane... A che scopo proseguire, se ci sono problemi quotidiani nella vita di un parroco? Innanzitutto, conviene dire che insieme ai problemi esistono fatti confortanti entro la stessa parrocchia: una fede piu' matura e responsabile, nuclei di vita cristiana rinnovata e fiorente, presenza generalmente positiva dei gruppi e movimenti ecclesiali, crescente aiuto economico e morale ai piu' bisognosi, ecc. Non sono, questi, segni chiari di speranza? Di fronte ai problemi, che sono assai reali, non perdere le staffe; ancora meno, sprecare le proprie energie lamentandosi, spazientendosi, guardando verso il passato... Si deve agire, si', agire e saper aspettare. Agire con fede e con amore, i mezzi piu' efficaci per cambiare la vita degli uomini. Aspettare, senza fretta e senza posa. Mai venir meno nell'attesa e nella speranza. Nella pazienza, ci dice Gesu', possederete le vostre anime; nella speranza troveremo la nostra salvezza e quella dei nostri fratelli.
2. Non cessare di predicare il Dio cristiano. Dio e' uno solo, per questo il Dio cristiano ha tratti comuni al Dio in cui credono i giudei o i musulmani. Ciononostante, ci sono anche aspetti differenti, che in nessuna maniera debbono essere taciuti. Si deve parlare del Dio presente e vicino all'uomo, del Dio misericordioso che sa aspettare....E si deve parlare anche del Dio che, essendo uno, coesiste in tre persone, qualcosa che costituisce il tratto piu' distintivo della concezione cristiana di Dio. D'altra parte, e' vero che si deve parlare di problemi morali, di cambiamento di mentalita', di laicismo e di liberalismo ideologici..., ma non sara' qualcosa di molto piu' importante parlare di Dio? Il cristianesimo non e' un sistema morale, che implica una religione; il cristianesimo e' innanzitutto una religione, una fede, dalla quale si deduce una morale, un modo di vivere e di essere presenti nel mondo e nella societa'. Puo' essere che, parlando di piu' del Dio vivo e vero, qualcosa cambi anche nel modo di vivere e di pensare dei nostri contemporanei. Accetta la sfida.