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TESTO Il Natale secondo Giuseppe

Marco Pedron   Marco Pedron

IV Domenica di Avvento (Anno A) (23/12/2007)

Vangelo: Mt 1,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 1,18-24

18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:

a lui sarà dato il nome di Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Il vangelo di oggi ci presenta la figura di Giuseppe, lo sposo di Maria. Luca racconta il Natale dalla parte della madre (Maria: annunciazione, visita ad Elisabetta, Magnificat, nascita e arrivo dei pastori, ecc.); Matteo lo racconta, invece, dal punto di vista del padre.

Prima di questo vangelo c'è la discendenza di Gesù. Una lunga sfilza di nomi: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, ecc. Questo va avanti per trentanove generazioni!

Quando lo si legge veramente ci si narcotizza: pesantissimo da leggere. E ci si chiede: ma cosa ci interessa tutto questo? Eppure se è scritto un motivo ci dev'essere. Anzi ce ne sono almeno due.

Il primo: Matteo inserisce nella discendenza anche quattro donne tra gli avi del Messia (sappiamo che storicamente la discendenza non fu così; l'intento non è storico ma teologico). Questo è strano: le donne non apparivano mai nella genealogia. Perché allora ci sono?

E' interessante osservare che tipo di donne Matteo inserisce nella discendenza. Anziché includere tra le nonne di Gesù le sante di Israele o le eroine nazionali (Ester, Giuditta, Debora, Susanna), vi inserisce quattro donne molto discutibili. Tutte quattro hanno in comune una cosa: la situazione irregolare della loro maternità e l'astuzia con la quale sono uscite da situazioni difficili.

Tamar, rimasta vedova, pur di non rimanere senza figli si unisce con Giuda, il suocero, il quale sconsolato per la morte della moglie, cercava conforto (Gn 38). Racab era tenutaria del bordello di Gerico (Gs 2).

Rut, figlia di un popolo incestuoso, individua nell'anziano ma ricco Booz la soluzione dei suoi problemi e di nascosto si infila nel suo letto (Rt 3-4).

Betsabea (neppure nominata, chiamata semplicemente "la moglie di Uria" (1,6)) riuscì a farsi mettere incinta dal re Davide e continuando nei suoi raggiri arrivò a far salire sul trono il figlio Salomone al posto del legittimo erede Adonia (2 Sam 11,1-2).

E' chiaro cosa sta dicendo Matteo: "Non ti scandalizzare per la situazione di Maria, incinta ma non da Giuseppe. Vedi: anche le sue antenate hanno vissuto in situazioni irregolari e nonostante tutto il Messia è nato proprio da questa discendenza. Il Messia non è nato da una generazione pura; ha alle spalle tutta una serie di situazioni illegittime, difficili e contorte".

De André cantava: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori".

Gesù non era figlio di una famiglia perfetta; sua madre stessa, dal punto di vista della società e della morale del tempo, era una donna discutibile, così tanto da poter essere lapidata. Eppure il Figlio di Dio è nato lì.

La psicologia ci insegna l'importanza della famiglia e delle nostre origini. Questo è vero, questo è importante.

Ma il vangelo, non contrastando questo, ci insegna che anche da situazioni difficili, irregolari, drammatiche, disagiate, schizofreniche, può nascere "un fiore" di persona.

Io non sono condannato: "La mia famiglia è così, tutti quelli della mia famiglia sono così, non posso che diventare anch'io così". No! C'è lo spazio per qualcosa di diverso, di nuovo, di oltre.

"Cosa vuoi, sua madre è schizofrenica!", come a dire: "Cosa vuoi pretendere, cosa vuoi che diventerà se non come sua madre".

"E' nato in quella famiglia lì! Suo padre lo conosciamo tutti", come a dire: "Diventerà come lui".

"Quelli di quel cognome lì abitano tutti in quella via e sono tutti pazzi". E' una sentenza, come a dire: "Se nasci lì diventerai pazzo".

"Suo padre, suo nonno e anche il bisnonno erano tutti ladri: cosa vuoi che ne venga fuori?!". E' un etichetta, un cappio al collo, un destino che, se ci credi, ti segna la vita.

Sono sentenze di morte: uno si sente la vita già fatta, già programmata, già decisa. Si sente in gabbia.

Certo l'influenza della famiglia è decisiva, fondamentale. Se nasci in Italia impari l'Italiano. Se nasci in una famiglia impari quel linguaggio familiare. Ma non è un destino segnato, incontrovertibile, già fissato.

Io posso costruire il mio destino; io posso sottrarmi all'influsso, alla dipendenza familiare; posso rompere la catena che mi tiene legato a certe situazioni che si perpetuano nel tempo.

Guarda a Gesù: lui ha cambiato il suo destino, lui è stato diverso, lui ha interrotto una discendenza.

Inoltre, da un punto di vista umano (di Giuseppe), Gesù era un figlio illegittimo, non di suo padre.

Eppure Dio ha fatto grandi cose con questo figlio. Questo è importante: in una società dove separazioni, divorzi, figli illegittimi, di altri compagni, sono frequenti e quasi la norma, nessuno si senta condannato.

Anche Gesù aveva un padre (Giuseppe) che non era suo padre! Eppure che uomo è diventato! Eppure, quanto è stato importante quel padre (Giuseppe) a cui Gesù deve la vita (fuga in Egitto).

Dopo questa lunga serie di generazioni ("Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, ecc") si arriva a Giacobbe (un altro Giacobbe, non il grande patriarca) che generò Giuseppe e quindi si pensa: "Finalmente che siamo arrivati e che si dirà che Giuseppe generò Gesù". E, invece no!

Per gli ebrei il padre generava mentre la madre era colei che partoriva (Is 45,10). Il padre non solo gli trasmetteva la vita, ma anche il nome, il bagaglio religioso e gli insegnamenti morali.

Ma qui non si dice che "Giuseppe generò Gesù", com'era ovvio aspettarsi. Qui si dice che "Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù" (1,16). Mai Matteo indicherà Giuseppe come il padre del Messia. Perché tutto questo? E' chiaro che è fatto di proposito, con un'intenzione ben chiara.

I figli portavano la tradizione dei padri; così tutti i figli precedenti continuavano non solo la stirpe ma anche il bagaglio culturale, valoriale e religioso dei padri.

Con Gesù avviene l'interruzione: Gesù "non è generato da Giuseppe", cioè non è secondo la tradizione, né religiosa, né sociale. Gesù rompe con un mondo e lo dichiara chiuso.

Gesù, infatti, non si riferirà mai ai suoi antenati chiamandoli "i nostri" padri, ma prenderà sempre le distanze, definendoli i "vostri padri" (Gv 6,49: "I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti"; Mt 23,32: "E voi: colmate la misura dei vostri padri!").

Tutti noi siamo nati in un tempo e in una cultura: siamo nati qui e ne prendiamo le tradizioni, i modi di pensare, le consuetudini e le abitudini. Noi non nasciamo liberi: nasciamo condizionati da chi ci precede.

L'incontro con Gesù, però, mi chiede di rompere con alcune di queste tradizioni, mi chiede di diventare un uomo nuovo, diverso, ad immagine sua.

Io sono figlio di mio padre e di mia madre; il loro modo di pensare e di essere è in me. Non solo assomiglio loro fisicamente, ma anche affettivamente e così pure mi porto la loro mentalità.

Ma io sono soprattutto figlio di Dio: questa è la mia origine più vera e più profonda.

Questa è la mia chiamata profonda: diventare figlio di Dio e della Vita, diventare ciò che posso essere. Anche Gesù ha dovuto rompere con certe idee e con certe mentalità. Se non lo faccio divento un prolungamento di altri, di ciò che c'è stato prima di me, ma non posso diventare figlio di Dio.

Diventare come mio padre, come mia madre, come tu mi vuoi, come gli altri si aspettano da me, come i miei figli mi vogliono, come la società mi vuole, come la religione mi vuole, è fallire.

Realizzarmi è diventare me stesso, nel senso, di sviluppare il germe divino che c'è dentro di me.

Natale è nascermi, partorirmi, far nascere l'infinito e il divino che mi abita.

Tutto il primo capitolo di Matteo (di cui oggi abbiamo sentito un episodio) ci presenta la figura di Giuseppe.

E' quasi tutto quello che sappiamo di lui. Il vangelo non riporta neppure una parola di Giuseppe: è un uomo che vive nel silenzio, nella penombra, nell'oscurità e in punta di piedi.

In questo vangelo c'è un messaggio che Dio manda (Gesù, della casa di Davide, è Figlio di Dio); c'è l'accoglienza del messaggio da parte di un uomo: Giuseppe, che lo può accogliere, capire, perché è "giusto", cioè ama, è aperto, sensibile, libero. E c'è il mezzo, il postino del messaggio: un sogno perché è un messaggio così grande, così forte, così sconvolgente, che è difficile da accogliere, capire, da crederci.

Dio ci parla sempre, in ogni giorno. Dio ha qualcosa (messaggio) da dirci. Lo fa sempre attraverso degli strumenti, delle persone, degli incontri, delle situazioni, delle esperienze.

Ma l'uomo dev'essere accogliente, aperto, sensibile, altrimenti il messaggio non viene letto, non viene accolto e non viene recepito.

Per questo è importante saper ascoltare, fermarsi, far silenzio, darsi l'opportunità e l'occasione per poter sentire, per poterci sentire, per poterLo sentire.

In questo brano Matteo vuole rispondere ad una domanda molto complessa: "Di chi è figlio Gesù?". Gesù è figlio di Davide, di Giuseppe, di Maria, dello Spirito Santo?

L'episodio ruota attorno alla gravidanza di Maria e alla reazione incerta, dubbiosa, indecisa di Giuseppe.

Il vangelo dice che: "Maria promessa sposa di Giuseppe, si trovò incinta". La traduzione è: "fu trovata incinta". Giuseppe trova incinta la sua fidanzata e non ci capisce più niente: ma è normale! Non vi pare? Quante volte nella nostra vita accadono eventi che non capiamo, di fronte ai quali i nostri schemi e progetti non servono più e tutti i nostri criteri di riferimento saltano.

Qui abbiamo un uomo in crisi di fronte ad un evento che non comprende e ad una donna che non dice una parola. Giuseppe si trova nel buio, nella notte e nel dubbio. Ma nella notte avrà un'illuminazione: un sogno. E il sogno gli dirà: "Parti scappa perché Erode vuole uccidere il bambino". Nel buio, a volte, può arrivare una luce.

Il vangelo sottolinea che Giuseppe era "giusto"; giusto non indica la statura morale ("una persona giusta, retta, corretta"). I "giusti", per la Bibbia, erano quelli fedeli alla Legge (Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, erano giusti).

La Legge dice: "Ripudiala; anzi, poiché ti ha tradito è giusto, è tuo dovere ucciderla".

Ma Giuseppe ama Maria. E' la sua donna, vorrebbe sposarla e le vuole bene. Si vede ingannato perché la sua fidanzata è incinta. Giustamente può condannarla. Se fosse stato giusto, a modo nostro, Maria sarebbe stata lapidata, perché la legge prescriveva così. Ma la sua giustizia è un'altra.

Giuseppe non obbedisce alla legge. Giuseppe obbedisce al cuore. Giusto non come intendiamo noi. Non è giusto secondo la legge, ma secondo l'amore. Il cuore della legge è la legge del cuore.

Un figlio dodicenne litiga con il padre perché vuole andare con gli amici al cinema e il padre non vuole. Il padre gli dice: "Se ci vai, non esci più di casa fino a Pasqua". È Natale. Lui lo fa di nascosto finché il padre è al lavoro, il padre lo viene a sapere e non lascia più uscire di casa fino a Pasqua. Secondo te, questa è giustizia? Non è crudeltà?

Giuseppe è giusto perché ama Maria, perché va oltre il suo onore ferito (la sua donna è incinta!).

"Se lui mi ha fatto così io glielo rifaccio tale e quale; occhio per occhio, dente per dente! gliela faccio pagare! che disonore! mi hai fatto perdere la faccia!; cosa dirà la gente! dov'è finito il nostro onore?!".

Molte persone hanno un io così fragile che non possono accettare nessuna frustrazione, nessuna ferita: appena qualcuno li ferisce si vendicano (con le parole oppure con violenza; togliendo il saluto; sparlando). Che piccoli!

Poi Giuseppe fa un sogno. Matteo in due capitoli racconta cinque sogni. La Bibbia è ricchissima di sogni e Dio parla all'uomo sempre nel sogno. Il sogno è il messaggio di Dio. Vi siete mai chiesti perché?

Ci sono delle cose che dovremmo vedere ma che ci fanno troppo male. Allora la nostra mente le elimina: "Non ti voglio vedere altrimenti starò male", e così le dimentichiamo. Ma da qualche parte ci sono e di notte quando i guardiani (le censure) delle nostre cantine dormono, tutto ciò che è sopito si risveglia.

Così sogniamo mostri, demoni (alcune persone il demonio stesso: non è il demonio, è il male che hai dentro!), campi di concentramento, nazisti e quant'altro di pericoloso che ci terrorizza, ci insegue, ci vuole imprigionare, ci attacca. E' la nostra vita repressa, rinchiusa, umiliata, incarcerata, sofferente, traumatizzata, che si fa sentire, che vorrebbe la nostra attenzione e il nostro amore.

Ci sono delle luci in noi, delle consapevolezze così grandi che se ci fossero dette di giorno non ci crederemmo.

Il sogno svela di notte quello che per noi è troppo difficile o forte da accettare; oppure quello che non vogliamo vedere o che è intenso, emotivamente forte; o ancora la nostra verità profonda, così vera, così bella che noi non ci crediamo.

Molte persone non credono al proprio valore. Però sognano perle, gioielli, orecchini, pendagli, tesori antichi: "Tu hai un valore, sei prezioso, renditene conto". Più chiaro di così!

Per molte persone, i sogni sono dei raccontini, dei divertimenti; divengono delle verità se le accogli e inizi ad accettare che ciò che vedi ti riguarda, sei tu.

Il sogno è più reale di quello che noi crediamo perché il sogno parla di noi anche se noi non lo vogliamo, anche se noi rifiutiamo di identificarci in ciò che vediamo, anche se noi rifiutiamo quello che Lui ci dice.

Conoscere i propri sogni è un esercizio di grande umiltà. Perché il sogno ti dice: "Tu sei in carcere, accorgitene. Tu hai una rabbia da far a pezzi tutti (e così si sogna di massacrare e di uccidere, oppure denti che cadono). Tu hai qualcosa di morto in te, un cadavere che devi tirare fuori (e si sogna persone morte). In te c'è una battaglia e un conflitto tremendo (sogni nazisti, guerre, sparatorie). C'è qualcosa che dovresti vedere e che non vuoi vedere, che ti insegue (inseguimenti). Hai perso il controllo della tua vita, non la gestisci più tu (un altro guida la tua auto; l'auto non frena); la tua vita sta imboccando una direzione pericolosa, fermati! (sogni un incidente). Sento che non posso contare su di me (sogno di cadere), che non ho appoggi, aiuti, riferimenti; la mia forza profonda, la mia vitalità, la mia sessualità vuole la mia attenzione (serpenti); c'è una parte della mia persona che sta vegetando o che è ammalata (ospedale, medici); ti manca qualcosa (sogni di essere in ritardo, di mancare l'appuntamento, di perdere qualcosa); il tuo istinto, i tuoi bisogni vogliono la tua attenzione (animali). Sei pieno di emozioni dolorose (sangue) o di cui sei in balia (mare in tempesta, onde altissime). C'è qualcosa che sta per nascere (essere incinti): accorgitene; stai per trovare la soluzione ad una situazione difficile (trovi una chiave, un passaggio, strada nuova)".

Noi possiamo essere scettici, perplessi, indifferenti a tutto questo. Possiamo addirittura ridacchiare. L'atteggiamento che l'uomo ha per i sogni è lo stesso atteggiamento che ha per la propria anima. Perché se accetti questa luce che viene devi fare qualcosa. E questo non ci piace tanto. Se accetti ciò che Dio tenta di dirti allora non puoi più far finta di niente. Per questo è più facile dire: "Sono solo sogni", come a dire: "Stupidaggini, scemenze". Per questo è più facile ridere e sghignazzare.

Altri vorrebbero leggere un libro e interpretare: il libro dice che questo simbolo vuol dire questo. La loro domanda è: "Cosa vuol dire?". Non cosa vuol dire ma: "Cosa ti vuol dire". Non devi chiedere all'esperto, devi imparare ad ascoltare il suo messaggio, a decifrare le sue immagini. Devi iniziare ad accoglierlo, ad amarlo, a fargli spazio, perché ciò che vedi sei tu.

Un sogno non è questione di curiosità ma è un messaggio di Dio, del profondo. Un sogno, quindi, non è mai uno sfizio della mente ma una spinta ad agire, a diventare consapevoli.

Un sogno è un cammino, una strada: ci puoi credere o no, tutto sta a te. Se ci credi il sogno ti dice: "Tu sei così. Tu stai andando in questa direzione. Lo sai, quindi, non aver paura e affronta ciò che devi affrontare". Un sogno ti coinvolge. Se non ci credi è solo un discorso da salotto e non serve a niente.

Guardate il vangelo: Giuseppe solo grazie a un sogno sposa Maria. I Magi non tornano da Erode solo grazie ad un sogno. Solo grazie ad un altro sogno Gesù non viene ucciso perché Giuseppe crede al sogno e scappa in Egitto. Ancora un sogno dice a Giuseppe di ritornare e un altro ancora gli dice di non andare in Giudea (c'era il figlio di Erode come re) e ascoltandolo Giuseppe porta Gesù in Galilea a Nazareth. Pilato, invece, non ascolta il sogno di sua moglie che gli dice che Gesù è innocente. E compie un crimine.

Le persone dicono: "Dio non parla mai!". "Ma come te le deve dire le cose?". Te le dice di giorno attraverso il vangelo, la meditazione, il silenzio. Ma siccome tu non fai niente di tutto questo non le puoi capire. Te le dice attraverso i fatti, le situazioni, gli incontri che ti capitano. Ma siccome tu non ascolti nessuno, siccome tu non ti fermi mai ad ascoltarti dentro, siccome tu corri sempre, come puoi sentire che ti parla?

Te le dice di notte attraverso i sogni perché tu possa vedere ciò che non vuoi vedere e ascoltare ciò che non vuoi ascoltare. Ma siccome a te viene da ridere... Te le dice attraverso il tuo corpo che si ammala, ma siccome non ascolti il tuo corpo...

Come può Dio dirci ciò che vuole dirci? Se di giorno non lo ascoltiamo ce lo dirà quando il nostro orecchio è a riposo. Se di giorno non le vediamo ce le dirà quando il nostro occhio non è attivo. Se di giorno la nostra mente non le vuole cogliere ce le dirà quando dormiamo. Non gli rimane altra strada.

Dio ci parla in tutti i modi possibili, in ogni momento. Ma se uno non ha orecchie...! Se uno non è sensibile...
Dio non ti parla mai? Sei proprio sicuro?


Pensiero della Settimana
RICOMINCIA
Se sei stanco e la strada ti sembra lunga,
se ti accorgi che hai sbagliato strada,
...non lasciarti portare dai giorni e dai tempi, ricomincia.
Se la vita ti sembra troppo assurda,
se sei deluso da troppe cose e da troppe persone
...non cercare di capire il perché, ricomincia.
Se hai provato ad amare ed essere utile,
se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti,
...non lasciar là un impegno assolto a metà, ricomincia.
Se gli altri ti guardano con rimprovero,
se sono delusi di te, irritati,
...non ribellarti, non domandar loro nulla, ricomincia.
Perché l'albero germoglia di nuovo dimenticando l'inverno,
il ramo fiorisce senza domandare perché,
e l'uccello fa il suo nido senza pensare all'autunno,

perché la vita è speranza e sempre ricomincia...

 

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