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TESTO Commento su Giovanni 18,33b-37

don Daniele Muraro   Home Page

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) - Cristo Re (26/11/2006)

Vangelo: Gv 18,33b-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Celebriamo la solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo. E' stato il Concilio Vaticano II a introdurre questa festa a conclusione dell'anno liturgico in sostituzione della festa istituita dal papa Pio XI nel 1925 e assegnata all'ultima domenica di ottobre.

"Il mio regno non è di questo mondo" dice Gesù in risposta alla domanda di Pilato. Se Gesù fosse stato un re come se ne sono presentati tanti nel corso della storia avrebbe fatto appello ai mezzi soliti per affermare il suo potere, ma Egli ci tiene a precisare che il suo regno "non è di quaggiù".

Gesù non nega di essere re: alla domanda del procuratore romano Pilato, che poteva suonare anche come una sfida: "Dunque tu sei re?", Gesù risponde pacatamente: "Tu lo dici; io sono re." E poi precisa che Egli intende la sua autorità come una testimonianza alla verità e il suo potere si esercita su coloro che questa verità la cercano e sono pronti ad accoglierla.

Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in mano della sua deliberazione. L'uomo ha riscoperto il suo ruolo di dominatore e di re dell'universo, così come lo stesso Creatore lo aveva costituito; ma il rischio in cui spesso cade è quello di "assolutizzare" tale funzione, quasi che il suo compito e il suo destino si risolvessero solo su questa terra e fossero slegati dal suo riferimento trascendente.

Inoltre Dio ha creato l'uomo come essere sociale e quindi ha introdotto un ordine nella società in modo che ci sia una articolazione delle funzioni, in modo che nella loro diversità tutti possano servire al bene comune. Da sempre gli uomini hanno cercato di mettersi insieme per vedere aumentato il loro prestigio e la loro influenza sugli altri uomini.

Consideriamo allora l'obbedienza in tre passaggi: 1) L'autorità umana non si può mai sostituire a Dio; 2) Come cristiani dobbiamo obbedienza e rispetto alle autorità costituite; 3) La prima obbedienza va a Dio e abbiamo l'obbligo di seguire la nostra coscienza.

Primo. Per un certo tempo gli Ebrei dopo il loro ingresso nella terra promessa si fecero guidare da dei capi provvisori, i giudici, che intervenivano in caso di necessità, per esempio a seguito di una invasione straniera e poi tornavano alla loro occupazione abituale. Per il resto ognuna delle dodici tribù si gestiva da se stessa.

L'ultimo di queste autorità morali riconosciute fu il profeta Samuele. Racconta la Bibbia che quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici di Israele i suoi figli. Il primogenito si chiamava Ioèl, il secondogenito Abià; esercitavano l'ufficio di giudici a Bersabea. I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il lucro, accettavano regali e sovvertivano il giudizio. Si radunarono allora tutti gli anziani d'Israele e andarono da Samuele a Rama. Gli dissero: "Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non ricalcano le tue orme. Ora stabilisci per noi un re che ci governi, come avviene per tutti i popoli".

Agli occhi di Samuele era cattiva la proposta perché avevano detto: "Dacci un re che ci governi". Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore rispose a Samuele: "Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi. Come si sono comportati dal giorno in cui li ho fatti uscire dall'Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così intendono fare a te. Ascolta pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che regnerà su di loro".

Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. Disse loro: "Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi:
(segue tutto l'elenco delle pretese)

prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine; li costringerà ad arare i suoi campi, a mietere le sue messi, ad apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Si farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li regalerà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi ministri. Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi.
(conclusione)

Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà". Il popolo non diede retta a Samuele e rifiutò di ascoltare la sua voce, ma gridò: "No, ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie". Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all'orecchio del Signore. Rispose il Signore a Samuele: "Ascoltali; regni pure un re su di loro". Samuele disse agli Israeliti: "Ciascuno torni alla sua città!".

Da questo racconto comprendiamo come l'autorità statale non può mettersi al posto di Dio, pretendendo una obbedienza cieca, ma deve sempre rispettare la coscienza dei suoi cittadini. Ciò non vuol dire tuttavia che i cristiani non debbano rispettare le leggi dello Stato. Secondo punto.

San Paolo da parte sua raccomandava ai cristiani di Roma: "Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna." E occorre tenere conto che qualche tempo dopo sarebbero state le medesime autorità costituite a perseguitare la comunità cristiana di Roma fino a condurre al martirio lo stesso san Paolo.

Nella sua lettera all'Imperatore Tito e a suo figlio, san Giustino scrive a difesa dei cristiani: "E' vero che noi adoriamo solo Dio, ma, per tutto il resto di buon grado serviamo a voi riconoscendovi imperatori e capi di uomini, mentre facciamo voti che si trovi in voi saggezza di pensiero, insieme al potere imperiale."

Non esiste solo l'autorità statale, ma in tante circostanze della vita siamo sottoposti a regole e a condizionamenti. Obbedire è duro, tuttavia dobbiamo dire che in ogni atto che compiamo noi siamo tenuti a conservare la nostra dignità.

L'ordine della giustizia esige che gli inferiori ubbidiscano ai loro superiori: altrimenti la convivenza umana non potrebbe sussistere. Tuttavia la sottomissione di un uomo a un altro riguarda il corpo soltanto, non l'anima, la quale rimane libera. Terzo punto.

Don Lorenzo Milani ha potuto dire: "L'obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, quando obbedire è rinuncia a giudicare, è alibi, è rifiuto di responsabilità."

Un non cristiano come Gandhi ci insegna cose importanti a questo riguardo. Egli un giorno confessò: "Io sono fedele soltanto alla verità, e non devo obbedienza a nessuno salvo che alla verità." Ma già san Tommaso d'Acquino insegnava: "Nelle cose riguardanti i moti interiori della volontà non siamo tenuti a ubbidire agli uomini, ma soltanto a Dio.".

Nella Repubblica di Platone sono enumerati i segni della decadenza democratica: i governanti sono sopportati dai sudditi solo a patto che autorizzino i peggiori eccessi; chi obbedisce alle leggi è chiamato stupido; i padri hanno paura di correggere i figli; i figli oltraggiano i loro genitori; il maestro ha paura dello scolaro e lo scolaro disprezza il maestro; i giovani si danno aria di essere anziani e gli anziani si rimpinzano di barzellette per imitare i giovani. Le donne appaiono uomini al vestito, eccetera...

La soluzione a questi cedimenti morali non sta in una svolta autoritaria e nell'accentuazione dell'obbligo indiscriminato, ma nel ritorno alle sorgenti della verità.

Gesù è venuto in questo mondo per rendere testimonianza alla verità; per questa verità Egli ha subito il martirio; per questo può chiedere a noi di ascoltarlo e di fargli l'ossequio della nostra obbedienza. Le parole e la vita di Gesù ci rivelano la vera vocazione dell'uomo, ci descrivono in maniera incomparabile la nostra dignità e la meta del nostro operare.

Scegliendo di obbedire a Cristo e quindi adottando la sua visione religiosa della vita, non ne risulta diminuita la nostra libertà, al contrario ci viene garantita la vera felicità che non può fare a meno dell'approvazione della coscienza che trova il suo riposo solo nel bene.

 

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