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TESTO Un furto prezioso

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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (25/11/2007)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

C'è un uomo che muore. Muore come tanti, come tutti. Non fa più notizia neppure il modo, la crocifissione. Non è novità per la gente che vi assiste.

Eppure qualcuno vede in quella morte qualcosa di straordinario. Marco parla di un Centurione che vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!". Luca riferisce di un malfattore crocifisso accanto a Lui.

Fedele alla sua scelta fino alla fine: nato tra gli ultimi, muore tra i delinquenti. Non poteva smentire, nel momento culminante della sua missione, il motivo per il quale era vissuto, quello di essere vicino ai peccatori.

Ed eccolo issato come i malviventi, tra i malfattori, con i peccatori, per dichiarare il suo accompagnamento fino alla fine della sua vita e indicare che c'è speranza fino all'ultimo respiro.

Era stata significativa, ma troppo comoda, la vicinanza alla tavola dei pubblicani, al pozzo con la peccatrice, alla sassaiola che avrebbe colpito l'adultera, ma non Lui. Ora è il momento di dimostrare che è anche benefica la comunanza alla loro sorte e che diventa altrettanto salutare il coraggio di condividerne la fine.
Per recuperarne qualcuno sale su di una croce.

Ed ecco tre croci e tre corpi che agonizzano fisicamente alla stessa maniera. Stessa sorte, stessi rituali di esecuzione, stessi colpi precisi assestati senza il minimo di delicatezza e di rispetto, ne va della professione di carnefice. Stesso dolore!

Eppure c'è qualcosa di diverso e non nel cuore delle madri o dei parenti. Negli stessi crocifissi.

E sarà questo qualcosa che, nonostante gli spasimi dell'agonia, conquisterà il cuore impazzito di un condannato.

Due malfattori e un giusto. Due meritevoli della condanna ed uno innocente. Ci saremmo aspettati due silenziosi ed uno imprecante. Ed invece i colpevoli sono lì a guardare l'innocente, come se fossero due angolature diverse della stessa realtà.

Uno vuole essere salvato da quella morte meritata, ma ugualmente ingloriosa, e chiede un gesto spettacolare, come lo chiede la gente che sfida la bravura, la potenza e la capacità di miracoli che ha Gesù.

E' la disperazione, infarcita di bestemmie, da parte dell'uomo che, vedendosi sfuggire la vita, chiede segni eclatanti per credere.

E Dio supererà infinitamente la richiesta, non schiodando un crocifisso ancora vivo, ma ridando vita a un crocifisso morto.

L'altro vede i segni e si abbandona non solo coraggiosamente nelle braccia della morte, ma fiduciosamente nelle braccia di un condannato come lui.

Delirio della morte o fiducia in ciò che vede? E quali segni avrà mai visto?

Ha visto varcare con dignità e soprattutto con fiducia e abbandono la soglia della morte.

Ma dove sono i segni di un re? Non certo nel cartello sul suo capo e nelle beffe del popolo e dei soldati.

Eppure dove nessuno del popolo, dei capi, dei soldati hanno visto la regalità, un malfattore, inchiodato come lui, non solo alla stessa croce, ma alla stessa morte, vi scorge qualcosa che non è di questo mondo. Come la scorgerà il Centurione.

La morte riporta inesorabilmente al punto di partenza, quando venimmo al mondo e non eravamo niente. Così lei ci spoglia lentamente di tutto quello che abbiamo faticosamente guadagnato.

Toglie i segni del prestigio e della differenza che avevano ricoperto come abiti la nostra persona, accomunandoci senza ritegno. E è fortunato chi trova un letto, altrimenti una strada, un traliccio, le scale di casa, per Lei sono la stessa cosa.

Rimane solo la dignità, quella che non ha bisogno di abiti e di scettri, ma che ci fa re di noi stessi.

Una dignità che non infierisce, ma che perdona nel momento delle sevizie, è il segno più forte di una potenza dall'alto. E un uomo che perdona ha vinto il male e la sua conseguenza, la morte, ed è strappato per sempre da Lei.

"Portami nel tuo Regno, portami da chi ti dà la forza del perdono!" è stata la felice espressione di un infelice morente.

E in quel momento un ladro ruba ancora la perla più bella della sua vita, un Regno che Gesù chiama Paradiso, cioè giardino, felicità, beatitudine, gioia.

Ancora una volta si realizza quello che in vita Gesù aveva detto: un ladro, che vuole salvare la propria vita a tutti i costi, la perde, un malfattore muore rubando il Paradiso.

 

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