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TESTO Tu sei proprio quello che giudichi

Marco Pedron   Marco Pedron

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/10/2007)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La parabola di oggi segue quella di domenica scorsa e descrive due modi e due atteggiamenti di vita. Uno, il fariseo, è giudicante, si sente a posto, non conosce la propria verità e si nasconde il proprio lato ombra (il pubblicano che c'è in lui). L'altro, invece, il pubblicano, (che santo non è!) riconosce la propria realtà e la propria situazione.

Gesù deve aver detto questa parabola ai farisei come critica a ciò che facevano. Spesso troviamo Gesù che si scaglia in maniera aperta, decisa e forte contro il comportamento "cieco", incoerente e falso dei farisei.

Poi Lc l'ha applicata alla preghiera, sul come pregare e sul come non pregare.

Il racconto si struttura sul confronto di Gesù su due comportamenti molto diversi.

Per la gente, per la mentalità comune del tempo, il fariseo era un santo, un esempio di uomo pio e positivo. Molti dei farisei erano addetti alle funzioni religiose, erano rispettati e quasi venerati.

Il pubblicano, invece, era l'esempio negativo per eccellenza. Lavorava con i nemici Romani e per loro raccoglieva i soldi dagli ebrei (il tutto non era privo di imbrogli e di interessi personali).

La stessa parola fariseo, 'perusim', voleva dire separato. I farisei erano coloro che si separavano dalla gente comune perché, rispettando tutte le leggi, erano puri. Per rimanere puri e non corrotti neppure si facevano toccare dalla gente, per non essere contaminati. Ma era proprio vero che erano puri? A dire di Gesù sembra proprio tutto il contrario.

Guardiamo a come il vangelo ci presenta i due personaggi e il loro modo di pregare.

Quello che il fariseo dice e fa è perfetto. Non gli si può veramente imputare niente: quello che dice è vero. Lui fa così.

Quello che dice: prega in piedi come tutti i buoni ebrei (a quel tempo si pregava così) e ringrazia Dio ("Ti ringrazio..."). E' una preghiera perfetta: la Bibbia, infatti, consigliava sempre di pregare ringraziando Dio. E lui fa così. Il Talmud riporta una preghiera praticamente simile. La sua preghiera è ovvia, quella di tutti.

La sua preghiera è lunga, piena di parole e ben costruita. Mio nonno diceva: "Senti che predica!". "Io non ho capito niente. Cos'ha detto, nonno?". "Non lo so, ma non hai sentito che parole forbite e che termini che ha detto?". Lui rimaneva impressionato dalla capacità oratoria.

Un parroco anni fa ha iniziato il suo sermone così: "Nell'escatologia e nella teologia apofatica, Maria l'Odigiatra...". Nessuno ha capito niente, né dell'inizio né del resto (nessuno mai capiva niente, ma lui era considerato un gran teologo!). Io mi sono chiesto: "Ma che intenzioni hai dentro di te? Devi dimostrarmi quanto sai? O mi devi spiegare il vangelo?".

Vale sempre il principio del teologo Leonardo Boff: "Se mia madre (che ha la terza elementare) non capisce quello che dico, non lo dico". Certi libri di teologia, di spiritualità, invece di farti venire voglia, desiderio, passione per Dio ti fanno scappare. Certe prediche sono prolisse, producono sonno e antipatia per il meraviglioso mondo dello Spirito; in certe non si capisce niente; in altre non c'è capo né coda; altre ancora sono teologicamente perfette ma non riscaldano il cuore e non suscitano amore.

La preghiera del fariseo è un esempio liturgico di preghiera per tutti gli ebrei. E' un modello da imitare, da elogiare. Eppure una preghiera formalmente, liturgicamente perfetta può benissimo essere una bestemmia a Dio. Dipende! Dipende da cos'hai tu dentro, dipende dal perché la dici, dipende dalle motivazioni per cui tu preghi. Non è perché tu canti i Salmi, reciti il Breviario, partecipi all'eucarestia o a chissà quale incontro che tu stai pregando.

Ciò che Gesù critica è che nella casa di Dio (nel tempio) c'è una preghiera senza Dio. La preghiera non è fare/dire qualcosa in maniera perfetta. La preghiera è questione di cuore: di quanto tu sei coinvolto in quello che fai, in quello che dici; di quanto ti apri all'Altissimo e lo lasci entrare dentro di te.

Quello che fa il fariseo: è un credente "d.o.c." che digiuna due volte la settimana e paga le decime. Il digiuno era obbligatorio solo in alcuni giorni e nel giorno dell'Espiazione. Lui, invece, digiuna due volte la settimana, più di quello che era prescritto (questo digiuno era in genere per espiare i peccati del popolo). Paga la decima parte sul raccolto del frumento, dell'olio, del vino e sul primogenito del bestiame.

Il fariseo elenca tutti i suoi meriti, tutte le sue buone opere, tutti i suoi fioretti. Il fariseo dice: "Hai visto che bravo che sono!"; come può non amarlo Dio – pensa lui – uno così?

Certe persone dicono sempre: "Io non rubo e non faccio del male a nessuno; io vado a messa tutte le domeniche; io non ho mai alzato le mani con nessuno; con tutte le preghiere che dico; che religioso, che pio, che bravo che sono". Ho piacere che tu sia così, è buono, dubito, però, se tu hai bisogno di dirlo sempre, di ostentare ciò che fai, di condannare e giudicare chi non fa come te. Perché in quel momento tu stai dicendo: "Che gentaglia, chi fa così" e lasci intendere, non dicendolo apertamente: "Chi non fa come me".

Fate attenzione all'espressione del vangelo "pregava tra sé" che, in greco, è: "pregava sé", cioè non stava pregando Dio, non si rivolgeva a Lui, ma in realtà stava pregando se stesso, stava facendo nient'altro che un elogio a sé. Il fariseo è un teatrante: fa di tutto per mettersi in mostra e per essere ammirato. Il fariseo è più preoccupato dell'immagine di sé e non di quello che fa.

Al ristorante: un ragazzino di otto anni rincorre fra i tavoli il cuginetto. La cosa è simpatica e non crea problemi a nessuno. Il padre lo prende e gli urla: "Stai fermo qui, cosa dirà la gente?". Ecco cosa accade quando sei più preoccupato di te che di quello che sta accadendo.

In chiesa: alcune persone durante la liturgia con il vescovo esprimono liberamente la loro preghiera dei fedeli. A fine messa un membro del consiglio pastorale dice: "Hanno fatto tante preghiere ma nessuno ha pregato per la chiesa né per i sofferenti". Sei più preoccupato della forma (dell'immagine tua, della parrocchia) che della vita!

Tra amici: una donna invita i suoi amici a cena. La cena è ottima, ma brucia il secondo. Non riesce a darsi pace per ciò che è successo e questo gli rovina la serata. Sei più preoccupata di te (della figura che farai) che della vita!

Devi trovarti con gli amici di scuola delle superiori. E' tanti anni che non li vedi. Ti fermi in autogrill e bevendo il caffè ti procuri una piccola macchia nei pantaloni. Così per questo motivo, torni a casa e non vai all'appuntamento. Sei più preoccupato della tua immagine che del piacere di incontrarli.

Gesù non si poneva mai la domanda: "Ho fatto bene/giusto o ho fatto male/sbagliato? Ho fatto bella figura? Sarò accettato?". Gesù si chiedeva sempre: "C'è vita qui? E' vero quello che dico/faccio/vivo?".

Il pubblicano era per eccellenza l'esempio negativo. Dire ad uno: "pubblicano" era come dirgli "mafioso". Era un lavoro non solo disprezzato ma addirittura maledetto.

Osserviamo due cose della sua preghiera: 1. non prega bene perché prega in maniera concisa, con parole proprie e non come comanda la Scrittura (si batte il petto, chiede perdono e non ringrazia); 2. la sua preghiera è in seconda persona: "Abbi (Tu) pietà di me". Mette al centro Dio (Tu) e non se stesso. Inoltre parla di sé e non dei suoi meriti (non ne ha!). Sa ciò che è: un peccatore e un poco di buono. Di certo non digiuna e non paga le decime (anzi!). E quando tornerà fuori dal tempio continuerà a rubare alla gente. Non è per niente uno stinco di santo, né un generoso o un buon credente; e neppure si converte. Eppure la sua preghiera viene accolta mentre quella del fariseo no. Perché?

Perché il pubblicano è vero con sé, non si mente e non si dice bugie. Il fariseo, invece, si nasconde. La differenza è tutta qui: non è che il pubblicano sia un santo ma vede, riconosce quello che è e quello che fa. Mentre il fariseo ha gli occhi chiusi su di sé.

Il fariseo non accetta di essere pure lui "un pubblicano". Il fariseo è un uomo che si è costruito la sua immagine di uomo rispettabile, religioso, stimato e onorato. Con quest'immagine si attira ammirazione, riconoscenza e accettazione (in una parola amore). Chiaro che non vuole perderla: lui è diventato quell'immagine lì. Se gliela sottrai, gli togli tutto, si sente perso. Si è costruito tutta una impalcatura per dirsi che è una persona perbene, che fa tanto del bene e niente di male. Ma è tutta una montatura, è tutto un palco, è tutto uno sbrodolamento.

Il fariseo fa due cose: 1. si giustifica; ma giustificarsi (giustificare=fare giusto) è sempre il contrario della verità. Lui non può vedere la verità che anche lui è come tutti. Se un uomo non può parlare di sé parlerà di quello che fa', di quello che ha o non parlerà.

2. Si distingue, si mette sopra: "Io non sono come quest'uomo...". Questo vangelo, allora, è un grande invito: guardati, vediti, apri gli occhi sulla tua condizione di peccatore. Fai verità nella tua vita: non sei così perfetto come credi. Ti credi "a posto" solo perché non ti conosci.

C'è un ragazzo di otto anni che è un disadattato: non riesce a leggere, parla come un bimbo di tre anni, non fa altro che ridacchiare in maniera "stupidina". Non è scemo, ma lo diventerà se qualcuno non vede. I suoi genitori lo lasciano tutto il giorno dai nonni e quando sono con lui dalle otto alle nove di sera, lo trattano come un deficiente (cioè come uno che ha dei deficit: ma lui non ne ha!): "Copriti bene; non fare questo; questo non sei capace di farlo; questo lo faccio io; lascia stare; sei un bambino". Ma non vedi? Apri gli occhi! Guai parlare con loro o fargli notare la cosa. "Noi – dicono loro – facciamo di tutto per nostro figlio".

C'è un uomo che "non ha bisogno di venire in chiesa". Lui è religioso, non fa male a nessuno, pensa ai propri affari e non si intromette nella vita degli altri. Tutto questo è vero, ma non si accorge di quanto freddo è. E' una pietra, è freddo come un sasso, è duro come un macigno. Ma non vedi che sei inavvicinabile, morto dentro? Ma non c'è verso perché non vede: andare in chiesa, per lui, è una perdita di tempo, a lui non serve.

Accettarsi vuol dire vedersi per quello che si è. Non ci piace solo perché lo giudichiamo. Se imparassimo ad amarci veramente, potremmo iniziare a vedere anche i nostri lati-limite e i nostri punti-oscurità.

Sei un pubblicano: anche tu a volte hai la tentazione di "fregare gli altri", di intascarti soldi, fama, onore, riconoscenza.

Sei un pubblicano: anche tu a volte fai pensieri sporchi, sconci, perversi e desideri certe cose.

Sei un pubblicano: anche tu ascolti con la testa altrove e sei disinteressato di chi si apre a te.

Sei un pubblicano: anche tu hai odio e rabbia, che non vuoi sentire perché non è bello (vero!) vedersi così. Meglio sostenere la maschera di colui che perdona, vero!

Sei un pubblicano: anche tu non sai perdonare certe persone e certe cose te le sei "legate all'orecchio".

Sei un pubblicano: anche tu giudichi, condanni, sei spietato con certe persone e ti senti superiore.

Sei un pubblicano: anche tu usi gli altri a tuo piacimento, per te, per il tuo piacere e per i tuoi interessi.

Sei un pubblicano: non è vero a volte godi del male che succede agli altri? "Se la sono cercata!; male che vuole non duole; potevano pensarci prima; ognuno ha ciò che semina; ognuno ha quello che si merita".

Sei un pubblicano: non è vero che sei gentile nei modi in realtà aggressivo perché vuoi sempre aver ragione e importi?

Sei un pubblicano: non è vero che qualche persona, fosse per te, la elimineresti (per il bene di tutti!)?

Sei un pubblicano: non è vero che non ti senti chissà chi ma non sei certamente come "certa gente"?

"Chi è senza uno di questi peccati, scagli la prima pietra (8,7) contro di lei", disse Gesù.

Ci sono delle persone che non riescono a far silenzio, che non riescono a chiudere gli occhi e ad ascoltarsi, che devono sempre fare fare, che - dicono loro - "non son fatta per queste cose" spirituali, che sono più pratiche. Perché? Perché non possono vedersi, quindi non si possono fermare; se lo facessero si troverebbero faccia a faccia con se stessi.

Accettarsi vuol dire: "Questo sono, mio Signore. Amami così". "Sì, figlio mio, ti amo così". Questo è l'amore vero e unico: Qualcuno che ci ama per quello che siamo.

Questa è la verità per ciascuno: potersi vedere per quello che si è, luce/ombra, santità/peccato, parti sane/ferite, spirito/materia, aspetti sviluppati/infantili, maturità/incongruenza, verità/ambiguità, conquiste/orrori, fede/paura; amarsi non per quello che si vorrebbe ma per quello che si è.

Quindi se voglio essere vero con me, mi devo fermare e guardarmi allo specchio e accettare ciò che vedrò. Questo è accettarsi, questo è vedersi, questa è consapevolezza, questa è spiritualità.

Tanti dicono: "Neanch'io sono perfetto!". Ma in realtà spesso è solamente un modo per dire: "Sono perfetto". Infatti il nostro cervello non conosce la negazione "non". Per cui quando dico: "Non sono perfetto" sto dicendo proprio il contrario: "Sono perfetto". Invece di dire così, dì: "Sono anch'io un peccatore; anch'io sono geloso; anch'io sono invidioso; anch'io tradisco la fiducia; anch'io sono competitivo e aggressivo". Mettiti davanti allo specchio e ripetilo ad alta voce: "Io sono...". All'inizio una voce dirà: "No, non è vero; solo in parte; un po'; tutti lo sono, ecc.". Fallo finché ti dici: "E' vero, io sono così". Allora non avremo più bisogno di doverci "mostrare" farisei e potremo vederci per quello che siamo realmente. La realtà è vita, il resto è illusione.

E poi congiungi le mani e rivolgiti a Dio e digli: "Ecco cosa sono". E senti la sua voce: "Sì sei così, ma questo non cambia il mio amore. Io ti amo e sono con te lo stesso".

Quando uno dei figli sta male la madre si prende più cura di quel figlio. Dio ama tutti; ma quando sono peccatore, quando riconosco la mia povertà e la mia miseria, Lui mi è più vicino.

Quello che rifiuti in te lo condanni negli altri. Chi non sa vedere "nero" in sé lo vede negli altri e li giudica. E' quello che fa il fariseo: condanna il pubblicano perché non vede che anche lui è un pubblicano e un peccatore.

Condannare è spesso un modo per "separarsi" da chi fa il male, come dire: "Tu hai fatto il male; io non c'entro". Come se il male, le azioni degli altri, non ci riguardassero minimamente.

Pensate a quando succede un fatto di cronaca che colpisce l'opinione pubblica (cfr. Cogne; automobilista che travolge pedone; motociclista che uccide bambino): si scatena una vera e propria caccia alla strega. Tutti sono in fibrillazione finché non viene trovato il colpevole. Trovato, poi, non si vede l'ora di sanzionare una condanna dura, per poter tornare poi tranquillamente alle nostre cose. Il colpevole è stato trovato, l'abbiamo separato e messo in prigione, il problema è risolto.

Condannando lui, in realtà, scagioniamo tutti noi. Ma non è questa la realtà. Si, lui ha compiuto quel fatto. Ma non è vero che anch'io sfreccio come Raikkonen sull'autostrada o sulle vie cittadine? Non è vero che amo l'alta velocità, sono imprudente e se posso "farla" la faccio? Non è vero che anch'io mi vendico su mio figlio (non così per fortuna) in molte altre maniere?

Facciamo come i farisei: isoliamo il male, lo condanniamo, cerchiamo di distruggerlo e di eliminarlo. Il male è fuori di noi, è negli altri; noi ci "separiamo" dal male perché non ci riguarda. Ma è proprio così?

Sono stati fatti tanti esperimenti in questo senso: un gruppo "che non vede" ha sempre un capro espiatorio su cui scaricare le proprie colpe o una strega da bruciare, che impersonificano tutto il male.

Gli ebrei una volta all'anno mettevano i peccati del popolo su un capro e lo mandavano a morire nel deserto: ecco il capro espiatorio, quello che si prende i peccati, le colpe e il male di tutti. In un gruppo, in una società, c'è sempre "un capro espiatorio": è quello su cui tutti si scaricano.

Ciò che si è visto nell'esperimento è che se il capro espiatorio se ne va, il gruppo ne crea un altro. Cioè: chi non è consapevole dei propri peccati, errori ed orrori, trova qualcuno su cui "scaricare" il proprio male.

E' come la "valanga relazionale": il capo è frustrato e si scarica sul caposettore, che scarica tutto quello che ha preso addosso ai suoi dipendenti (aggiungendovi le sue frustrazioni); i dipendenti tornano a casa e scaricano tutto sulla moglie, la quale "si addossa" tutto e lo scarica sul figlio (aggiungendovi il suo). Se il figlio ha un fratello più piccolo, bene per lui e male per il fratellino, che altrimenti si prende tutto (e non è roba sua!). L'ultimo le paga tutte: il capro espiatorio.

La stessa cosa vale per vari disagi familiari: l'elemento più debole, più fragile, le paga tutte.

Ambiente familiare: nonni, zii, genitori con notevoli e consistenti immaturità personali su cui si sono sempre rifiutati di crescere. La catena è debole e il più fragile paga l'immaturità familiare. Infatti un figlio è diventato schizofrenico. Il problema sembra solo suo: ma non ci si accorge che lui è solo la punta di un iceberg, e tutti ne sono parte.

In un altro ambiente familiare c'è un matto (non è pericoloso ma è proprio pazzo!). La stessa famiglia e parentela lo isola. In realtà tutti in quella famiglia hanno delle parti di pazzia, di stranezza, di eccentricità. Tutti vivono un certo disagio e una pressione interna, solo che non viene riconosciuta. E' chiaro che la catena si spezza nell'elemento più debole, il matto, e lui le paga tutte. Così la famiglia può dire: "Lui è pazzo", sottintendendo "e noi no!".

Noi giudichiamo negli altri quello che non accettiamo in noi.

Un giorno, all'imbrunire, un contadino sedette sulla soglia della sua umile casa a godersi il fresco. Nei pressi, si snodava una strada che portava al paese, ed un uomo passando vide il contadino e pensò: "Quest'uomo è certo ozioso, non lavora e passa tutto il giorno seduto sulla soglia di casa...". Poco dopo, ecco apparire un altro viandante. Costui pensò: "Quest'uomo è un dongiovanni. Siede qui per poter guardare le ragazze che passano e magari infastidirle...". Infine, un forestiero diretto al villaggio disse tra sé: "Quest'uomo è certamente un gran lavoratore. Ha faticato tutto il giorno ed ora si gode il meritato riposo". In realtà, noi non possiamo sapere granché sul contadino che sedeva sulla soglia di casa. Al contrario, possiamo dire molto sui tre uomini diretti al paese: il primo era un ozioso; il secondo un poco di buono; il terzo un gran lavoratore.

Pensateci un attimo: ma cosa sa il fariseo del pubblicano? In base a cosa dice ciò che dice? Come fa a sentirsi superiore se neppure si sono parlati, se neppure lo conosce?

Tutto quello che dici parla di te. E quando parli degli altri, in realtà, tu parli di te. Poiché il cervello non conosce che se stesso, anche quando tu credi di parlare degli altri tu stai parlando di te. Quindi, ascoltati bene e ti capirai.

Un giorno ho sentito una donna che diceva, con cattiveria, della sua vicina di casa: "E' un'incapace, non sa badare a suo marito né ai suoi figli; è arrogante e presuntuosa; e poi tutti quegli uomini che girano in casa...". In realtà di quella vicina non so nulla, ma della donna che ha parlato, ho capito molto.

C'è un signore anziano che brontola e giudica ferocemente tutti perché nessuno fa niente per gli anziani. Un giorno il comune gli propone di tenere aperto il centro anziani, con anche un rimborso spese. "Ah no, non ho mica tempo da perdere io!". Quello che lui giudica e condanna negli altri è quello che lui non sa vedere di sé. Giudica gli altri perché non sono disponibili; ma in realtà è lui che non è disponibile.

Una signora ha da dire su tutti perché tutti sono terribilmente egoisti. Un giorno parlando insieme dice (penso che neppure se ne sia resa conto): "Ah, padre, con tutto questo male che c'è in giro, in Paradiso mi ritroverò da sola".

Non sono gli altri gli egoisti: è lei, e lo è così tanto da credersi così perfetta che sarà l'unica ad andare in Paradiso. Vi pare che non sia da egoisti pensare di essere gli unici ad andare in Paradiso?

La gente che continua a gettare fango sugli altri, da dove lo tira fuori? Si tira ciò che si possiede. Dall'amore non esce fango; dalla bontà non esce calunnia; da un cuore pieno di luce non escono insinuazioni. Chi getta fango, chi "sputtana", chi crea illazioni sta gettando il proprio fango addosso agli altri. Parla di sé!

C'è un uomo che è ossessionato dalla pulizia. La sua casa è perfetta, pulitissima, ogni giorno la pulisce. Naturalmente giudica "sporche" tutte le altre case. Ma è proprio questo il punto: non si rende conto che lo "sporco" c'è proprio dentro di lui, che neppure lui è così "pulito" come vuol far vedere.

Quando si fanno i gruppi di crescita personale, alcune persone dicono: "Ah, per fortuna che la mia infanzia non è come quella di certa gente che sento qui. La mia è stata un'infanzia felice e i miei genitori mi hanno amato tantissimo". Si può essere certi che lì dietro ci sarà di tutto.

Un dito puntato verso gli altri sono tre verso di te. Quando giudichi ti stai condannando.

Chi vuol essere solo santo (i farisei) finirà per creare il diavolo (hanno ucciso Gesù).

Pensiero della settimana
La cosa migliore che si può fare per un altro

non è semplicemente condividere con lui le proprie ricchezze,
ma rivelargli le sue.
(Benjamin Disraeli)

 

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