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TESTO Lui tutto in noi, noi tutti in Lui

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/11/2007)

Vangelo: Lc 20,27-38 (forma breve: Lc 20,27.34-38) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

La questione che i Sadducei stanno ponendo a Gesù potrebbe essere definita con Neatche "umana... ahi, troppo umana", poiché rivela come determinate classi sociali dell'epoca potessero prendere con troppa frivolezza e banalità argomenti in realtà molto profondi e impegnativi come quello della risurrezione dei morti. Domandano a Gesù.: se una donna è stata sposa di sette fratelli e tutti quanti sono morti senza lasciarle prole, al momento della resurrezione finale questa donna di chi sarà moglie?" Il riferimento di per sé non è fuori luogo, poiché cade sulla cosiddetta legge del "levirato", prevista dal libro del Deuteronomio 25, 5 – 10, per la quale se una donna restava vedova senza aver avuto figli dal marito era tenuta a sposare il cognato (in ebraico appunto "levir" da cui "levirato") per garantire la continuità della discendenza e pacificare le questioni di eredità. Anche il fratello defunto da parte sua doveva accettare di prendere in moglie la vedova e in caso di rifiuto subiva un particolare rito punitivo alla presenza dei sacerdoti. Il primogenito che scaturiva dalla nuova unione sponsale prendeva il nome del trapassato.

Quello che però presentano i Sadducei in merito alla legge del levirato è un caso limite anomalo e paradossale, costruito appositamente per mettere in crisi Gesù intorno al tema della resurrezione, quest'ultimorifiutato dagli spavaldi interlocutori.

Gesù è molto perspicace nel rispondere, poiché affrontando la conciliabilità fra la resurrezione e il levirato pone tutti i fondamenti per riflettere sul tema eloquente della resurrezione, che va affrontato molto al di là di una semplice prescrizione scritta: essa comporta una nuova dimensione finale nella quale verremo a trovarci al termine di questa nostra vita, un mondo rinnovato e definitivo nel bene che Dio ha promesso al termine della storia e che noi attendiamo come avvento pieno e definitivo del Regno di Dio. Pietro definisce questa dimensione da risorti con i termini di "cieli nuovi e terra nuova" (2 Pt 3, 13) che richiamano le promesse di Isaia e che delineano una situazione di benessere nella piena comunione con Dio che noi vedremo faccia a faccia e con cui instaureremo una comunione e ina familiarità illimitata che sarà la nostra salvezza; se Gesù descrive il legame di Dio con Abramo, Isacco, Giacobbe come quello di un vincolo definitivo di intimità e di indissolubilità ciò avviene perché in effetti questo promette la resurrezione, una consolidata gioia di comunione vincolante con Dio che saraà tutto in noi e noi tutti in lui.

La prima Lettura tratta dal lbro dei Maccabei, che racconta del martirio accettato senza riserve da sette fratelli che si oppongono alle idolatrie del re, accanto a molti altri testi scritturali sottolinea che la resurrazione finale non necessariamente avverrà per la vita: coloro che avranno operato il male risusciteranno infatti per un giudizio di condanna e agli empi spetterà la giusta retribuzione per aver vissuto contro Dio e lontani dalle aspettative dell'Amore; ma se "l'uomo è stato capace, e continua ad esserlo, di creare inferni, Dio crea soltanto i cieli" (M. G. Ballester) e ogni suo progetto verte alla salvezza dell'uomo e alla comunione di tutti con sé, ragion per cui la resurrezione che attende tutti nel volere di Dio è quella per la vita, la quale si avvarrà di ogni bene destinato all'uomo e in virtù dela quale tutti saremo "come gli angeli", ossia nella medesima condizione di uguaglianza e di parità di fronte a Dio raggiungendo tutti i traguardi.

Scriveva San Tommaso d'Aquino: "... i laici desiderano essere re, vescovi i chierici: lì avranno entrambe le dignità" per descrivere i benefici dell'unione perfetta con Dio che persiste già nella vita beata al termine di questo mondo per ogni singolo uomo.

Nella nuova terra scompariranno i criteri di divisione e di sezionamento che caratterizzano la nostra vita attuale; saranno superate tutte le barriere fra uomo e uomo e non avremo necessità di distinguerci neppure nei gradi di parentela e di consanguineità: davanti alla gloria di Dio tutti saremo simili a lui e fra i noi e ci riconosceremo immediatamente non più come marito, moglie, cognato, cugino, amico ecc ma semplicemente come figli di Dio. Conosceremo anche immediatamente quelli che nel notro tempo ci sono estranei.

La problamatica posta dai miscredenti sadducei quindi non regge, poiché nella resurrezione la pienezza di vita avrà superato le categorie terrene di unione matrimoniale per renderci tutti simili agli angeli nella visione beatifica di Dio; ma Gesù non intende soltanto smontare una concezione troopo umana del sadduceismo, poiché vuole invitare anche noi a considerare la gloria futura della resurrezione che ci attende alla fine dei tempi e per la quale ci impegnamo sin d'ora nella lotta di questa vita per esorarci alla perseveranza nel bene e alla contemplazione delle cose di lassù (Paolo) senza con questo distoglierci dagli impegni di questo mondo. La speranza nella resurrezione ci incoraggia infatti nella vita presente e ci rincuora nelle difficoltà di questo sistema di cose perituro e diventa ancora più qualificante se poi consideriamo che la nostra resurrezione ci collocherà nelle orme dello stesso Gesù Cristo Risorto che ha vinto la morte riscattandoci tutti per la vita

 

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