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TESTO Essere umili per pregare

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/10/2007)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

1.La scorsa Domenioca venivamo istruiti sulla preghiera, espediente che rafforza la nostra fede in quanto da essa scaturisce. Oggi siamo invitati a considerare che una delle caratteristiche irrinunciabili della preghiera è l'umiltà. Per pregare adeguatamente e in ciò essere graditi a Dio occorre essere umili, anzi è il caso di dire che non si può mai pretendere di essere ascoltati da Dio quando nella nostra intenzione orante vi è l'altezzosità e la superbia, il falso orgoglio affinato alla presunzione di ergerci al di sopra degli altri.

Molte volte (così almno sembra) avviene che noi ci disponiamo davanti a Dio in preghiera con la sola intenzione di chiedere al Signore delle grazie solamente per noi stessi, dimenticandoci degli altri e omettendo di considerare che molte volte i problemi per cui ci rivolgiamo al Signore non sono paragonabili alle difficoltà e alle prove a cui altri nostri fratelli sono soggetti e comunque non di rado la nostra preghiera può anche diventare "egoistica" quando si limiti alle sole nostre richieste personali. Invece si dovrebbe nutrire la certezza di essere ascoltati da Dio proprio quando si prega non per noi stessi ma per gli altri: pregare per le necessità dei nostri fratelli comporta inevitabilemente che allo stesso tempo si preghi anche per noi stessi e siffatta preghiera verrà certamente ascoltata ed esaudita da Dio con molta più speditezza.

Ma l'errore più grave da parte nostra avviene allorquando ci si accosta alla preghiera omettendo di consideare davanti a Dio i nostri limiti, le eventuali mancanze e le pecchie morali che ci caratterizzano, gonfi della nostra spocchia e altezzosità mostrando così una sfacciataggine che non potrà mai essere gradita a Dio, pari a quella che sta mostrando oggi il nostro amico fariseo: la sua preghiera è infatti una sola esternazione della propria presunzione davanti a Dio; se Dio insegna che non si deve giudicare, lui non soltanto giudica il fratello pubblicano che gli sta accanto ma si raffronta a lui con sommo orgoglio, facendosi forte del solo fatto che osserva sempre e alla lettera le prescrizioni esteriori della legge.

In questa sua preghiera presuntuosa il fariseo non considera neppure minimamente la possibilità di essere stato egli stesso manchevole verso gli altri né si sofferma sulle immancabili defezioni che certamente lo caratterizzano almeno in quanto essere umano; neppure si pone il problema se pubblicano presente debba essere aiutato nel cammino di conversione e nell'emendamento della sua vita, come pure non considera quali possano essere le cause per cui egli sia così carente; semplicemente lo giudica e ringrazia il Signore di non essere come lui.

Come afferma in un suo commento P. Izquerdo, si tratta di una tipica preghiera settaria: quando in un gruppo tutti vantano prerogative e qualità che altri non possiedono presumendo di essere gli della verità mentre gli altri, non facenti parte sono solo profani, peccatori immeritevoli di salvezza si verifica un fenomeno di chiusura e di circoscrizione legato ad un forte senso di appartenenza al la comunità e di dipendenzqa dal leader condiziona la vita di ciascuno. Una setta appunto, in cui ci si crogiola nelle illusioni, nelle chimere e nell'eccessivo autocompiacimento ipocrita e tale era in effetti quella dei farisei dell'epoca, che si vantavano della loro altolocata posizione di sapienti eruditi intorno alla Legge mosaica elevando se stessi al di sopra dei "comuni mortali"e ingenerando la convinzione di essere soltanto essi i veri giusti destinati alla salvezza.

Nel caso del fariseo in preghiera, non si condanna il fatto che questi si rivolga a Dio (essendo questa una legittima prassi della sua fede) ma che lo faccia nel modo più meschino e ridicolo, avvalendosi della propria personale vanità e presunzione; egli è di richiamo anche a che noi tutti, che calpestiamo settimanalmente ( e anche quotidianamente) i pavimenti della chiesa di appartenza per il culto religioso, soffermandoci davanti al Signore con la corona del rosario fra le dita collocando l'offerta nell'apposita fessura della cassa votiva delle elemosine, possiamo rivedere il nostro stato di fedeli davanti a Dio: siamo certi di essere davvero più meritori degli altri? Siamo convinti che la nostra preghiera sia autentica e cristiana, ossia scevra da falso orgoglio, pregiudizi, illazioni nei confronti degli altri?

E soprattutto: nella nostra attività orante siamo soliti considerare noi stessi davanti a Dio, sempre e comunque, come peccatori?

Poiché infatti è cosa certa che la preghiera autentica e sincera si realizza sempre esternando a Dio il proprio peccato, non omettendo la richiesta di perdono per le nostre colpe e proponendoci di riqualificare sempre la nostra vita e se ci facciamo caso non vi è Santo oggi venerato sugli altari che non abbia pregato definendo se stesso peccatore davanti a Dio.

Esercitare cosìl'umiltà manifestando la propria debolezza al Signore conduce a vincere l'orgoglio e a rendere più genuina la nostra preghiera scongiourando il pericolo che giudichiamo gli altri e ottenenedo il miglioramento di noi stessi; non per niente Gesù giustifica il pubblicano che, contraiamente al vicino fariseo, si batte il petto in preda al panico per i continui peccati commessi e tale confessione è garanzia che egli uscendo dal tempio possa impegnarsi nel ravvedimento di vita.

Sarebbe allora suggeribile che si preghi sempre con umiltà predisposta e con cuore libero da arroganti presunzioni e che quando si chieda a qualcun altro di pregare per noi si scelgano persone veramente umili, mansuete e ben disposte a cui affidare questo servizio, poiché è certo che la loro orazione si eleverà a Dio "penetrando le nubi" (I Lettura).

 

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