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TESTO Non è importante avere dei beni, ma fare del bene

padre Raniero Cantalamessa

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/08/2007)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Il Vangelo di questa domenica fa luce su un problema fondamentale per l'uomo, quello del senso del agire e operare nel mondo, che il Qoelet nella prima lettura esprime in termini sconsolati: "Vanità delle vanità, tutto è vanità...Quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole?".

Un tale chiede a Gesù di intervenire in una lite tra lui e suo fratello per questioni di eredità. Come spesso quando presentano a Gesù casi particolari (se pagare o no il tributo a Cesare; se lapidare o meno la donna adultera), egli non risponde direttamente, ma affronta il problema alla radice; si colloca su un piano più alto, mostrando l'errore che è alla base della stessa domanda. Tutti e due i fratelli hanno torto perché la loro lite non deriva da ricerca di giustizia ed equità, ma da cupidigia. Tra loro due non esiste più che l'eredità da spartire. L'interesse mette a tacere ogni sentimento, disumanizza.

Per mostrare quanto questo atteggiamento sia sbagliato, Gesù aggiunge, come è suo solito, una parabola, quella del ricco stolto che crede di essere al sicuro per molti anni, avendo accumulato molti beni e a cui la notte stessa viene chiesto conto della vita.

Gesù conclude la parabola con le parole: "Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio". C'è dunque una via d'uscita al "tutto è vanità": arricchirsi davanti a Dio. In che consiste questo diverso modo di arricchire, Gesù lo spiega poco dopo, nello stesso Vangelo di Luca: "Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore" (Lc 12, 33-34). C'è qualcosa che possiamo portare con noi, che ci segue dovunque, anche oltre la morte: non sono i beni, ma le opere; non ciò che abbiamo avuto, ma ciò che abbiamo fatto. La cosa più importante nella vita non è dunque avere dei beni, ma fare del bene. Il bene avuto resta quaggiù, il bene fatto lo portiamo con noi.

Smarrita qualsiasi fede in Dio, molti si ritrovano spesso oggi nelle condizioni del Qoelet, che non conosceva ancora l'idea di una vita oltre la morte. L'esistenza terrena appare in questo caso un controsenso. Non si usa più il termine "vanità", che è di sapore religioso, ma quello di assurdo. "Tutto è assurdo!". Il teatro dell'assurdo (Beckett, Ionesco), fiorito nei decenni dopo la guerra, era lo specchio di tutta una cultura. Quelli che sfuggono alla tentazione dell'accumulo delle cose, come certi filosofi e scrittori, cadono in qualcosa che è forse ancora peggiore: la "nausea" di fronte alle cose. Le cose, si legge nel romanzo La nausea di Sartre, sono "di troppo", sono opprimenti. In arte, vediamo le cose deformate, oggetti che si afflosciano, orologi penzolanti come salami. Lo si chiama "surrealismo", ma più che un superamento, è un rifiuto della realtà. Tutto spira putridume, decomposizione. L'abbandono dell'idea del cielo non ha certo reso più libera e gioiosa la vita sulla terra!

Il Vangelo di oggi ci suggerisce come rimontare questa china pericolosa. Le creature torneranno ad apparirci belle e sante il giorno che smetteremo di volerle solo possedere, o solo "consumare", e le restituiremo allo scopo per cui ci furono date che è di allietare la nostra vita quaggiù e facilitarci il raggiungimento del nostro destino eterno. Facciamo nostra una preghiera della liturgia: "Insegnaci, Signore, a usare saggiamente i beni della terra, sempre orientati ai beni eterni".

Padre Raniero Cantalamessa

 

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