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TESTO Commento su Luca 11,1-13

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XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (29/07/2007)

Vangelo: Lc 11,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 11,1-13

1Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

4e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione».

5Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

La preghiera non conosce un metodo unico, ma una relazione unica. Quella verso il Padre, mediante il Cristo, per opera dello Spirito Santo. Esordiamo con una domanda: perché pregava Gesù? Come viveva e intendeva la preghiera e il pregare? Nessuna intenzione di dare risposte esaustive a interrogativi dal calibro assai forte, ma di offrire delle linee di riflessione che hanno intrecciato la vita dei discepoli con quella di Gesù e la sua con quella del Padre.

I primi a prendere l'iniziativa sono i discepoli, non il maestro. Apparentemente è questo il quadro che si può leggere in superficie nel brano dell'evangelista Luca. Ma ponendo maggiore attenzione, non solo linguistica ma anche interiore, si coglie un particolare che Luca ci rivela: "Si trovava in un luogo"; un discepolo chiede a Gesù di insegnare a lui e agli altri di pregare dopo che lo ha visto pregare. Ma di quale luogo si parla, quale topografia vuole presentarci Luca? Il primo messaggio che Gesù ci vuole dare in merito alla preghiera è il seguente: il pregare è come l'aria che i polmoni respirano, non ne possono fare a meno e tanto meno disgiungersi da essa. Così l'uomo: non ha un solo luogo per pregare ma è lui stesso, grazie anche al corpo, a divenire tempio di preghiera. Disgiungere, in fin dei conti, fede e vita, tempio e casa, può portare al disorientamento e al ripiegamento su se stessi.

Gesù non si limita a pregare ma fa della sua vita uno stile di preghiera. Per lui il tempio è uguale all'incontro per la strada con la donna vedova che ha perso sua figlia; la sinagoga simile alla casa di Marta e Maria; il gesto dell'offerta per il sacrificio paragonabile al dono della vista ai ciechi incontrati nel triennio del ministero. A livello pastorale è quanto mai essenziale saper cogliere in questa scelta di Gesù l'idea che la preghiera è saper pregare con e nella vita quotidiana. Saper pregare vuol dire far propri tutti quei verbi maestri che hanno caratterizzato la vita di Gesù di Nazareth: perdonare, vivere, donare, accogliere, scegliere, indicare, ecc. Per cui sia in casa che per strada, al lavoro e negli ambienti di vita siamo posti dinnanzi all'invito alla preghiera, a tessere autentiche e feconde relazioni dove il collante è il Signore, la sua Parola.

Anche nella solitudine di un monastero o in una cappellina in parrocchia la preghiera è persistentemente relazione. Pregare Dio significa veder fiorire il volto del fratello che chiede, ha fame di prossimità. Ecco perché Gesù porta come esempio l'andare da un amico a mezzanotte per chiedere il pane per un altro amico. La preghiera è l'amicizia profonda che si tesse tra Dio e l'uomo, tra l'amico che giunge a mezzanotte, il Padre, da un amico che è già ha letto con i bambini, l'umanità che si rivolge a Dio con insistenza. Alquanto significativo il paragone dei tre amici citati da Luca, la simbologia dei tre pani che vengono chiesti e l'ora del cuore della notte. La preghiera non è mai chiedere per sé, ma saper chiedere a Dio che si mostri a noi tramite gli altri. L'insistenza non indica l'impazienza di non saper attendere o un invito ad essere testardi finché non la si spunta, ma quel saper rafforzare nel proprio cuore la fiducia in Dio. È un insistenza che dice di maturare nella relazione ciò che si chiede nel silenzio del proprio cuore.

Da qui il plurale dei "chiedete, cercate, bussate". La preghiera personale nel segreto del proprio cuore e nelle mura di una cella monastica non sono che l'antipasto dei quei tre pani che saranno consumati assieme nella preghiera comunitaria e assembleare: l'eucaristia. Nel mangiare da soli ci si sfama, nel condividere insieme ci si nutre. In ambito ecclesiale si educhino i bambini, le giovani generazioni e le famiglie a vivere la preghiera sia nella dimensione personale che in quella comunitaria. Espressioni come "prego bene solo se da solo" oppure "vado in chiesa quando non c'è nessuno" ed ancora "non riesco a pregare con altri" possono essere indice di una preghiera mal concepita e pensata, troppo chiusa in se stessa, rischiando di divenire come una pietra da cui non entra e ne esce nulla. La vita cristiana è quell'essere concepiti alla vita, l'uovo donato al figlio che ha fame, in una costante ottica di comunità che fa rinascere ogni giorno l'uomo e in esso la Chiesa.

Commento a cura di don Giacomo Ruggeri

 

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